lunedì 25 Novembre 2024

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La Municipàl: “La musica è sempre uno specchio della società” – INTERVISTA

A tu per tu con il duo pugliese, in uscita con il secondo progetto discografico intitolato “Bellissimi difetti”

A tre anni di distanza dal precedente album d’esordio “Le nostre guerre perdute”, i fratelli Carmine e Isabella Tundo tornano sulla scena musicale per dar vita ad un nuovo tassello discografico de La Municipàl, una delle più interessanti realtà indipendenti, apprezzate sia dalla critica che dal pubblico. “Bellissimi difetti” è il titolo del progetto pubblicato lo scorso 29 marzo, anticipato dal singolo “Finirà tutto quanto”. Reduci dalla reinterpretazione de “La canzone di Marinella” nel disco di cover “Faber nostrum” e dall’esibizione sul palco del Primo Maggio, esperienza bissata dopo la vittoria del contest 1M NEXT dello scorso anno, i due artisti di Galatina sono pronti a portare in giro dal vivo questo nuovo loro lavoro. Per conoscerli meglio, abbiamo raggiunto telefonicamente Carmine, voce maschile nonché fondatore del duo.

Partiamo dal vostro secondo album “Bellissimi difetti”, quali tematiche affronta?

«E’ un disco che affronta diverse tematiche, dalla politica ad argomenti delicati come l’aborto; abbiamo cercato di parlare dei problemi della nostra generazione, quella dei trentenni, senza tralasciare brani più romantici in cui ci siamo messi più a nudo. “Bellissimi difetti” è come se fosse una raccolta di tante piccole storie che vanno a sviscerare il nostro modo di essere».

A livello di sonorità, invece, che tipo di ricerca c’è stata?

«In questo album abbiamo cercato di avvicinare il suono di un disco in studio alla nostra attitudine live, andando un pochettino controcorrente rispetto al nostro primo progetto. Sia noi che i musicisti che hanno collaborato in questo lavoro, proveniamo da diverse band, un background musicale diverso e abbastanza rock, l’intenzione è stata quella di ricreare la stessa atmosfera che si percepisce nei nostri concerti, per cui il risultato è molto più suonato ed energico rispetto al precedente».

Quali innovazioni possiede rispetto a “Le nostre guerre perdute”?

«Sicuramente è un disco un po’ più maturo dal punto di vista dei contenuti, le storie che raccontiamo appartengono a chi si affaccia ai trent’anni, non è un album per adolescenti, la narrazione è molto più vissuta».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

«Il momento in cui mi rendo conto di aver composto qualcosa senza sapere come, molte volte capita di scrivere di getto e di lasciarsi trasportare dall’ispirazione, ritrovandosi con una canzone praticamente fatta e finita, senza nemmeno ricordare l’istante preciso della creazione. Tutto questo mi affascina molto, mi stimola e mi spinge a produrre cose nuove».

Com’è stato cimentarsi con un capolavoro assoluto come “La canzone di Marinella”?

«Molto difficoltoso, all’inizio c’è stata un po’ di paura perché quando vai a toccare un classico di questo calibro, interpretato in innumerevoli salse, ti esponi a critiche e inevitabili confronti. Quello che abbiamo cercato di fare per superare l’ansia da prestazione è seguire il nostro flusso emotivo, partendo dall’arrangiamento, senza farci troppe seghe mentali su quello che poteva piacere o meno. Abbattendo qualsiasi tipo di sovrastruttura, ci siamo abbandonati all’istinto del momento».

A vent’anni dalla scomparsa di Fabrizio De Andrè, secondo te, cosa manca maggiormente della sua poetica?

«La sua capacità nel riuscire a spingere l’ascoltatore a ragionare, a farsi delle domande e darsi delle risposte. Adesso tutto va molto veloce, c’è poco tempo per fermarsi a sviluppare un pensiero, la forza di De Andrè è quella di catalizzare l’attenzione e spronare una riflessione, questo accade ancora oggi ogni volta che ci concediamo il lusso di ascoltare una sua canzone».

Come se la sta passando la canzone d’autore?

«Per quanto riguarda il panorama indipendente c’è sempre qualcosa di buono, proprio perchè non segue regole o schemi. Il problema è che c’è pochissimo spazio, di conseguenza si rischia di realizzare progetti incompiuti, di far uscire un primo progetto e non avere la possibilità di proseguire un discorso, per cui le band si sciolgono o gli artisti mollano il colpo e abbandonano il circuito, perché il sistema non presta attenzione a determinati generi. La musica è sempre uno specchio della società, probabilmente in questa fase ci sono tematiche diverse da raccontare».

Tu Carmine hai partecipato nel 2010 a Sanremo con lo pseudonimo di Romeus, ti piacerebbe ritornarci con questo progetto de La Municipàl? 

«Guarda, per me quel Sanremo è stato un trauma, mi sono ritrovato con in mano un disco che non mi rappresentava, essendo molto giovane non sono riuscito ad imporre ciò che volevo fare. Di conseguenza ho partecipato al Festival con un brano che tutt’ora non mi piace, l’ho vissuto un po’ male, ma per fortuna sono riuscito a ricominciare da zero e iniziare fare la musica che mi rappresenta, senza che nessuno mi dicesse cosa e come scrivere. Manca un anno e poi, per fortuna, quel ricordo andrà in prescrizione (sorride, ndr). Per quanto riguarda il futuro, sicuramente mi sentirei più a mio agio a propormi con La Municipàl, senza scendere più a compromessi, prenderei in considerazione l’eventualità solo con il brano giusto, ma se non succede va bene uguale, nel senso che il percorso che abbiamo intrapreso con Isabella va in un’altra direzione, un processo molto lento e più a testa bassa».

Nella vostra musica affrontare temi sociali e politici, cosa che accade sempre più raramente oggigiorno, un po’ come se si avesse paura di esporsi o il timore di non essere compresi. Per quanto vi riguarda, come riuscite a liberarvi da questo tipo di zavorre concettuali?

«La scelta è quella di non censurarci e credo che sia la nostra forza, perché citiamo nomi di persone e cose reali, cercando di dire quello che pensiamo, il modo migliore per sentirsi se stessi. Naturalmente si racconta ciò che si vive, in un momento particolare come questo, in cui avvertiamo la necessità di buttare fuori qualcosa, senza farci troppi problemi. Oggi come oggi è importante esprimere il proprio pensiero, manifestandone anche il dissenso. “Bellissimi difetti” nasce anche con lo spirito di contrastare l’accanimento che si respira sui social network, dove tutti vogliono apparire e dire la propria, c’è molta conflittualità in questo preciso momento storico. Cerchiamo di distinguerci e non far parte del clan dei leoni da tastiera, apparteniamo ancora alla scuola di chi cerca un dialogo con le persone, non uno scontro».

Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che sentite di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?

«Quello che abbiamo cercato di racchiudere nel concpet di questo album, apprezzare quelli che sono i nostri difetti piuttosto che nasconderli, perché ci differenziano e ci rendono unici. All’inizio, soprattutto quando sei più giovane, tendi ad emulare e assomigliare agli altri, omologandoti ad una moda, poi crescendo intraprendi un percorso interiore e sviluppi la tua propria indole, imparando a stare bene con te stesso e, di conseguenza, con gli altri».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.