A tu per tu con la cantautrice romana, fuori con il suo personale singolo-inno alla vita “Magari muori“
Incontrare Romina Falconi è sempre un piacere, dopo la lunga chiacchierata realizzata lo scorso marzo in occasione dell’uscita dell’album “Biondologia“, la ritroviamo come sempre in splendida forma per parlare del suo nuovo singolo “Magari muori” (qui la nostra recensione), la sua personalissima proposta per l’estate 2019. L’ironia della cantautrice romana non è passata inosservata, infatti, questo brano segna l’inizio del sodalizio con la storica etichetta indipendente Mescal, sempre molto attenta alla novità e all’avanguardia. In occasione di questa nuova uscita, abbiamo incontrato l’artista per una speciale e confidenziale videointervista.
Ciao Romina, bentrovata. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Magari muori”, sottotitolo “tiè”, com’è nato?
«Nasce come la maggior parte delle canzoni che scrivo, con un periodo di incubazione lunghissimo. Anni fa ho letto un’inchiesta che avevano fatto a delle persone in punto di morte, chiedendo loro che cosa avessero fatto se fossero tornate indietro, la maggior parte delle risposte ruotava sul rimpianto di non aver vissuto una vita giusta per se stessi, più che per gli altri. Questa cosa mi è rimasta impressa, personalmente anche io ho perso tanto tempo dietro a cose che non avevano molto senso e persone che non avevano voglia di crescere insieme. Diciamo che i rimorsi e i rimpianti rappresentano un po’ il mio tallone di Achille, per cui mi sono ripromessa di scrivere un inno alla vita, ma non sono una che ama la retorica o le cose stucchevoli e buoniste.
L’occasione è arrivata subito dopo l’uscita del mio ultimo album, quando mi ha contattato Riccardo Pirrone, il social media manager di Taffo Funeral Service, ormai famosa come pagina ma in realtà una grande azienda che si occupa di pompe funebri, chiedendomi se mi andava di scrivere un brano per loro, allora mi sono detta “con chi altro potrei scrivere un inno alla vita se non con chi ha a che fare tutti i giorni con la morte?”. A volte ci dimentichiamo che la nostra esistenza, come direbbe mio nonno, è un mozzico, per cui ho deciso di raccontarlo alla mia maniera un po’ grottesca».
La prima volta che l’ho sentito devo ammettere di essere rimasto colpito da riferimenti abbastanza diretti, tipo il cartello all’alluce, sentirsi freddo, avvolto nel legno, eccetera eccetera. Arrivando alla fine della canzone, però, viene fuori in maniera prepotente il bellissimo messaggio che hai voluto lanciare. E godiamocela sta vita, no?
«Assolutamente sì, in più mi piace parlare di argomenti che possono essere scomodi per qualcuno. La morte è un argomento tabù perché tutti abbiamo paura, ma se ci pensi arriva in un attimo e poi siamo fissati con delle regole che ci imponiamo continuamente, viviamo male per morire bene, non ha proprio senso. Ogni giorno deve essere voluto e scelto, ogni decisione deve essere ponderata, bisogna seguire ciò che amiamo fare, purtroppo non siamo così liberi come crediamo, alle volte decidiamo di accontentarci di una relazione sbagliata solo perché è da tanto tempo che la trasciniamo, o accettiamo un lavoro che non ci piace perché il precariato ci fa paura. Secondo me dovremmo non accontentarci, so benissimo che non è così facile, ma dovremmo provare a cercare il giusto compromesso».
In un mercato estivo in cui assistiamo ad uno tzunami di tormentoni, di brani con sonorità sempre più simili, cantati da artisti diversi ma con autori e produttori in multiproprietà diciamo, quanto è importante distaccarsi dalla massa, uscire dal coro, proporre qualcosa di differente?
«E’ importantissimo e difficilissimo, perché non c’è cosa più sfiancante della ricerca della libertà, ho imparato questa cosa a mie spese. Più sei “omologabile” e più è facile avere opportunità, ma il rovescio della medaglia è che diventi interscambiabile e chiunque può sostituirti in qualsiasi momento. Bisogna cercare di osare pur rimanendo sempre onesti, quello che cerco di inserire attraverso una canzone sono le stesse cose che ti direi davanti ad una pizza, ad un caffè. Questa totale sincerità mi fa superare tutto, dispiaceri compresi, la libertà ha un prezzo e viviamo in un momento storico in cui tutti vogliamo far vedere che siamo meglio degli altri. Voglio pensare che, un domani, i miei nipoti o i miei figli mi riconoscano nelle canzoni che ho inciso, nel bene e nel male. Non cercherò mai di darmi un tono per fare bella figura, ogni volta che ci ho provato è venuta fuori una tragedia, evidentemente è un segno, non fa per me».
Personalmente, in questo preciso momento della tua vita, credi di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?
«Adesso sì, dopo tre anni e mezzo di duro lavoro, di voli pindarici e di frustrazioni enormi. La gente evita il dolore come la peste, con i social viene dato alle nuove generazioni un messaggio completamente sbagliato, si postano solo le cose belle perché dobbiamo apparire tutti come vincenti, ma per me quello veramente figo è chi è caduto venti volte e si è rialzato ventuno. Non bisogna vergognarsi di aver sofferto, il dolore è una ferita di guerra da mostrare con orgoglio, io stessa mi reputo una sopravvissuta e non ho alcun timore a dirlo al mondo».
Per concludere, qual è la lezione più grande che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Se non hai le idee chiare e se non pensi a te stesso nessuno lo farà al tuo posto, questa è una cosa che ho imparato dalla vita in generale. Mi sono confrontata con tantissime persone che non avevano ben chiaro il tipo di percorso da intraprendere, lasciandosi facilmente plasmare. Bisogna rimanere fedeli a se stessi ma anche studiare, non dobbiamo mai essere convinti di sapere tutto, di essere arrivati all’apice della nostra lucidità, perché ogni situazione è ribaltabile. Tutte le persone che ho amato in vita mia e stimato artisticamente, hanno sempre fatto l’opposto di quello che andava fatto.
Se qualcuno vuole proprio ferirmi, la cosa più brutta che può dirmi è che somiglio a qualcun altro, perché su questo aspetto ho incentrato tutta la mia vita e lotterò sempre per portarlo avanti, anche se fossi sola al mondo. La figata e che da qualche mese a questa parte ho scoperto di non esserlo più, dopo l’uscita di “Biondologia” mi ha contattato la Mescal e non è vero quando dicono che sei strano non puoi essere capito, con loro ho iniziato un nuovo percorso e ho capito di non essere sola».
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Nico Donvito
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