A tu per tu con la talentuosa e poliedrica artista romana, in uscita con il suo nuovo singolo “Ritratto“
Se in amore la prima volta è quella che non si scorda mai, nelle interviste la seconda è sempre la più bella, perché tendi ad approfondire la conoscenza con l’artista, si instaurata una certa confidenza, si riesce a sviscerare molti più aspetti e dettagli sia professionali che personali. A tal proposito, ritrovare Sara Galimberti è stato davvero un piacere, nei suoi modi e in ciò che dice c’è l’ardore di chi ha tante cose da raccontare, che sia attraverso il canto oppure tramite la fotografia, passione diventata per lei un vero e proprio mestiere. “Ritratto” è il titolo del brano contenuto all’interno della compilation “Cocktail Italy vol. 2” di Papik (qui la nostra ultima intervista), un pezzo che mette in grande risalto la poderosa vocalità dell’interprete romana, che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare sin dalla sua partecipazione tra le Nuove Proposte a Sanremo 2007.
Ciao Sara, bentrovata. Partiamo da “Ritratto”, come ti sei trovata a reinterpretare questo bellissimo brano di Franco Simone?
«E’ stata una proposta improvvisa che ho subito accolto con entusiasmo, sono ormai anni che collaboro con Nerio Poggi e devo ammettere che è sempre un piacere lavorare con lui, ogni volta che mi chiama per propormi qualcosa accetto senza battere ciglio, certa che si tratti di un’idea molto interessante. “Ritratto” non lo conoscevo, sono sincera, anche perché ha partecipato al Festival di Sanremo a febbraio dell’85, io sono nata il mese dopo, quindi in quel momento mi trovavo nella placenta (ride, ndr), nel momento in cui l’ho ascoltato è stato amore a prima vista, nessun brano più di questo poteva raccontare il mio stato d’animo attuale».
Il singolo fa parte della compilation “Cocktail Italy vol. 2” di Papik, il progetto musicale nato dall’idea di Nerio Poggi. Com’è stato lavorare nuovamente con lui e cosa ti colpisce in particolare di questo suo progetto che accomuna artisti di estrazione diversa?
«Lavorare con Nerio è sempre un piacere, oltre ad essere una persona umile, nonostante il suo talento, si avvale di musicisti di grande livello, una garanzia di qualità che ti spinge a dare il meglio di te in fase di incisione. Sono onorata della sua stima, che è assolutamente reciproca, un’amicizia che si è sviluppata negli anni, mi fido ciecamente di lui e, ogni volta, mi lascio portare per mano nel mondo che ha deciso di ricreare su misura per me. Il suo è un contributo importante e speciale per la musica, fa un’operazione intelligente nei confronti delle nuove generazioni, riproponendo brani eccezionali che fanno parte della nostra tradizione italiana e non solo».
Se Franco Simone riscrivesse oggi questa canzone, probabilmente il titolo sarebbe “Selfie”, in riferimento sia all’evoluzione tecnologica che a quella sociale. Mi ricollego alla tua attività da fotografa che porti avanti ormai da qualche anno con impegno e professionalità. Come riesci a coniugare queste due diverse forme di comunicazione?
«In realtà è venuto tutto in maniera molto naturale, da quando sono piccola ho sempre avuto una grande passione per la fotografia, fino a diventare oggi per me un lavoro a tutti gli effetti. E’ stata anche un’esigenza trovare uno sbocco professionale che fosse anche più concreto, mi viene spontaneo conciliare il tutto. Ho fatto tanti sacrifici, ho investito molto in questo campo, ho studiato all’Istituto Superiore di Fotografia di Roma, poi ho specializzato la tecnica sul campo, anche se non si finisce mai di imparare, soprattutto nell’era digitale, l’evoluzione tecnologica è in continua crescita, bisogna stare al passo coi tempi. Credo che, alla fine, l’arte parli da sé. Cantare o fotografare è un po’ come raccontare storie, due tipi di narrazione diverse, ma molto più simili di quanto si possa immaginare. Sai, anche la musica, non l’ho mai vissuta in primo piano, non ho mai avuto manie di protagonismo, quando canto mi metto al suo completo servizio, proprio come succede dietro l’obiettivo, avere i riflettori puntati non mi è mai interessato».
Questo spirito è fondamentale perché le aspettative ci rovinano, a volte più quelle degli altri che le nostre…
«Di questi tempi c’è troppo esibizionismo mediatico, un’esponenziale voglia di protagonismo che falsifica tutto ciò che viviamo, personalmente cerco di vivere l’arte senza sovrastrutture. Non ti nascondo che di recente si era prospettata la possibilità di prendere parte ad una trasmissione televisiva inerente alla musica, ma non me la sono sentita perché non lo reputavo il percorso che desidero fare veramente, senza nulla togliere a chi sceglie di farlo. L’attività da fotografa ha cambiato completamente il mio approccio alla musica, in meglio. Non mi sento in dovere di fare qualcosa giusto per farla, se scelgo di cantare un brano è perché mi emoziona, non per convenienza o per logiche di marketing, senza pensare alle vendite oppure ai like, cose che ci stanno pure per carità, ma che ti fanno vivere questo mestiere con troppe ansie da prestazione. “Ritratto” l’ho sentito addosso, punto, è un pezzo che mi ha commosso, in maniera semplice e immediata».
Che ruolo gioca per te la musica nella vita di tutti i giorni?
«E’ fondamentale, ancora oggi. Ho un pianoforte in camera, ogni tanto mi ci metto, suono e “scrivacchio” qualcosa, in più è parte integrante anche del mio lavoro di fotografa, non scatto mai senza musica, creo delle playlist apposite per ogni persona con cui faccio un incontro preliminare per approfondire la sua conoscenza. Mi piace scoprire l’anima del soggetto che andrò ad immortalare, anche attraverso le sonorità e per me è fondamentale, motivante, qualcosa che crea ancora più empatia con chi ho di fronte. La musica mi accompagna praticamente sempre, continua ad essere un filo conduttore, un valore aggiunto. In più agevola anche il lavoro di post produzione, che non è poi così creativo, anzi piuttosto meccanico, quindi ascoltare delle belle canzoni mi rilassa e mi aiuta. E’ una questione di frequenze, se dovessimo aprire una parentesi su questo argomento staremo qui a chiacchierare fino a domani».
E che problema c’è? Apriamola ‘sta parentesi
«Con piacere. Guarda, mi sento in dovere di ringraziare il maestro Elio Polizzi perché, molti anni fa, durante il percorso di Castrocaro partecipai ad un seminario di psicosonica. Incuriosita da questo argomento, ho cominciato una serie di ricerche personali, approfondendo il discorso della frequenza benefica, sono capitata per caso a vedere un video di Giorgio Costantini, un grandissimo compositore che ha tradotto in musica il suono dei pianeti, realizzando degli studi interessantissimi sull’universo. Tutto ciò nella musica è molto importante, direi determinante, perché siamo letteralmente bombardati da un certo tipo di frequenza distonica, addirittura dissonante per il nostro emisfero celebrale, non ce ne rendiamo conto purtroppo perché nessuno ce lo spiega. Ahimè, c’è uno studio di marketing dietro tutto questo».
Spesso non ci pensiamo, ma sia la sfiducia globale che questa deriva del benessere che tutti viviamo, può essere indotta anche attraverso i colori e i suoni che ci vengono proposti attraverso le immagini e la musica…
«Assolutamente sì, mi è stato spiegato anche nel doppiaggio moderno che sono cambiati i parametri fisici della frequenza, come dici anche nell’uso dei colori per le immagini, c’è un eccesso in tutto e molti di noi non ne sono consapevoli. Credo che l’uso che viene fatto di tutto questo, influisca notevolmente a turbarci. A livello scientifico è stato riconosciuto che la frequenza degli 8hrz, la stessa dei delfini e delle balene, fino ad arrivare al multiplo dei 432 hrz, ossia la frequenza della terra, utilizzata da tutti i compositori classici e da alcuni contemporanei, viene da tempo utilizzata nelle terapie neonatali per i bambini nati prematuri. E’ stato provato che sottoponendoli a questo tipo di frequenze si riesce ad agevolare la loro crescita, anche senza l’incubatrice, favorendone lo sviluppo. Questo per dirti quanto possa influire sul nostro organismo questo tipo di discorso, non solo sull’umore. Invito chi ci legge ad approfondire questo argomento, perché lo considero davvero molto interessante».
Quale significato attribuisci oggi alla parola “artista”?
«Credo che l’arte sia una forma d’espressione che appartenga a tutti, quindi chiunque può esserlo potenzialmente. L’artista è un osservatore che riesce a vivere in maniera abbasstanza comune, dotato di una sensibilità piuttosto sviluppata, che riesce a tradurre tutto ciò che osserva e prova, lanciando un messaggio anche universale in cui tutti si possono riconoscere. L’artista è un comunicatore a 360 gradi che riesce ad andare in profondità attraverso un atto di creatività puro, semplice e onesto. Il resto è ego, personalmente mi reputo una persona abbastanza risolta e appagata, frutto di un grande lavoro su me stessa, non uso l’arte per cercare approvazioni, conferme o per mettermi sul piedistallo, odio e detesto tutto ciò».
Parlando dell’attuale settore discografico, oggi va tutto così velocemente che capita di considerare già vecchia una canzone uscita sei mesi fa. Ti sei data una spiegazione a riguardo? Personalmente lo trovo inconcepibile…
«E’ tutto contestualizzabile e ricollegabile al sistema in cui viviamo, al consumismo emotivo e affettivo tipico di quest’epoca. Le varie forme d’arte si sono adattate alle tempistiche commerciali, ai ritmi televisivi, a tutto ciò che non dovrebbe essere legato così strettamente a qualsiasi tipo di opera, che sia musicale, letteraria o cinematografica. Per quanto riguarda la discografia, in Italia, si potrebbero aprire numerose parentesi, la crisi è diventata sempre più dilagante, arrivando a rifugiarsi nella rassicurante immediatezza, spostando l’attenzione su prodotti dinamici e, a volte, anche usa e getta, per abbracciare un pubblico sempre più giovane che ha assunto nel tempo un vero e proprio potere d’acquisto attraverso gli smartphone. Personalmente non sono contraria alla tecnologia, ne faccio un uso quotidiano anche per la fotografia, dipende da come si utilizzano gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione, bisogna farne buon uso e cercare di non lasciarsi usare a nostra volta».
Avendone la possibilità, rinasceresti in questa precisa epoca o c’è un particolare decennio che consideri più vicino al tuo modo di intendere la musica?
«Beh, sicuramente negli anni ’70 o negli anni ’80, amo molto la musica di quegli anni, mi sarebbe piaciuto vivere quell’atmosfera, quella voglia di rinascita, quei colori e quella positività che si respirava in giro. A livello musicale c’era più autonomia e indipendenza nel linguaggio, ma se sono nata invece in quest’epoca un motivo ci dovrà pure essere (ride, ndr)».
In cosa senti di essere cambiata rispetto alla Sara Galimberti che ha partecipato a Sanremo 2007?
«Non sono cambiata nei modi, perché metto la stessa identica passione in tutto ciò che faccio, sono sempre mossa dalla voglia di comunicare quello che ho dentro, l’autenticità è una forma di onestà intellettuale nei confronti dell’arte, per cui mi sento grata alla vita per tutte le belle occasioni che mi sono capitate. Oggi come oggi sono più radicata, ho imparato ad abbandonare un po’ di sovrastrutture, sia le esperienze positive che quelle negative mi hanno fatto crescere e mi hanno portato ad avere i piedi bene per terra, il che non vuol dire necessariamente smettere di sognare, anzi, ogni volta che entro in studio e canto qualcosa di emozionante io mi commuovo, nulla di quello che accade intorno può cambiare questo. A volte mi sento di aver vissuto tante vite da quel Sanremo in poi, cambiando più volte pelle e cercando sempre di evolvermi, con la massima trasparenza. Ho imparato ad amarmi di più, ad incontrarmi nella mia totalità, a ritrovare totalmente me stessa».
Credi di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere? Se sì, come hai fatto?
«Sì, assolutamente sì. Ho fatto un bel percorso su me stessa, sono andata ad aprire il mio vaso di Pandora, ho guardato in faccia il dolore, non nascondo di aver vissuto tanti momenti di sofferenza, anche in campo musicale, soprattutto quando ero molto più piccola, situazioni che mi hanno portato per un periodo ad allontanarmi e a non credere più in questa forma d’arte. Sono stata fortunata perché ho avuto sempre la mia famiglia e gli amici dalla mia parte, ringrazio tante persone che hanno creduto in me, sicuramente in primis Tommaso Martinelli e Luigi Migliucci, che reputo i miei due angeli custodi, così come Rossella Deliso. Non ho mai mollato, anche nei momenti difficili mi sono messa in discussione, ho avuto coraggio a tirare fuori ciò che mi provocava dolore, ho fatto pace con le mie fragilità e ho cercato di ripartire da me.
Si fa presto a puntare il dito oppure a piangersi addosso, alla fine le cose succedono sempre per un motivo, non bisogna fasciarsi troppo la testa perdendo la lucidità e ricommettendo sempre gli stessi errori. Perdonare è fondamentale, anche chi ti ha fatto del male portandoti scompiglio, accettare e lasciar correre, tutti lavori molto complicati ma necessari per arrivare a volerti davvero bene, fino a raggiungere il mio attuale equilibrio. Nella vita possono succedere cose importanti ogni giorno, basta saperle cogliere, essere pronti a vivere determinate situazioni. La nascita di mia nipote mi ha sconvolto d’amore, così come altri avvenimenti che mi hanno portato a ristabilire il mio tempo, decidendo di vivere il più possibile in maniera essenziale e autentica».
Per concludere, qual è la lezione più importante cha hai appreso dalla musica in questi anni?
«Penso che l’arte sia l’aspetto della nostra vita che più ci ricorda chi siamo, nella maniera più semplice possibile, riportandoci alla purezza di quando eravamo bambini. E’ lo strumento attraverso il quale ci possiamo rendere conto di quanto ogni nostra singola esistenza sia meravigliosa, non bisogna cedere a chi quotidianamente cerca di deturparla distogliendoci dalla sua bellezza. Ho fatto un percorso personale, ho lavorato molto su me stessa, credo che ci si debba sempre migliorare, traendo anche spunto dalle esperienze negative, facendo un minimo di autoanalisi. A livello di immagine, sono arrivata a sentirmi finalmente a mio agio anche senza trucco, in maniera semplice, mostrandomi per quella che sono, proprio come dice la canzone. Imparare ad amarsi è fondamentale. In particolare la musica mi ha insegnato a concentrarmi sulle cose importanti, a restare perennemente collegata al mio cuore».
Nico Donvito
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