Le canzoni possono raccontare la politica? E gli artisti devono parlarne?
1994. E’ l’anno chiave. Lo è per la musica e lo è, contemporaneamente, anche per la politica. Perlomeno per quella italiana. Di musica e politica, d’altronde, vorrei scrivere oggi per cui occorre partire proprio da qui: il 1994.
Chi c’era (o chi ha studiato un minimo della storia recente di questo nostro Paese) certamente ricorderà l’archiviazione definitiva dell’esperienza della cosiddetta ‘Prima Repubblica’ in seguito alla vicenda giudiziaria denominata “mani pulite”. Il ’94 è, dunque, l’anno in cui lo scenario italiano si popola di nuovi leader (molti tutt’ora presenti sulle scene) pronti ad incamerare il consenso degli elettori con una vera e propria rivoluzione del linguaggio politico.
Ed è ancora nel 1994 che vengono pubblicate due opere imprescindibili per questa nostra riflessione. Entrambe portano, forse casualmente o forse no, lo stesso titolo: Destra e sinistra. La prima di queste opere è targata Norberto Bobbio, filosofo e politologo che giunge alla conclusione che, malgrado l’apparente crisi dei valori politici tradizionali che in molti riconoscevano nell’allora attualità, la distinzione tra destra e sinistra non sia affatto desueta o démodé. Per Bobbio, in particolare, la distinzione tra i due schieramenti sopravvive ed è ancora attuale se si considera la questione dell’eguaglianza (di classe, razza e sesso): un principio che tutt’ora differenzia sostanzialmente la destra dalla sinistra politica.
La seconda opera che viene pubblicata nel 1994 e che per titolo porta ancora ‘Desta e sinistra’ è quella curata da Giorgio Gaber. Il grande cantautore pubblicò proprio nel ’94 un brano che, con un importante contenuto ironico, si proponeva di riflettere sull’inattualità della tradizionale distinzione tra destra e sinistra all’interno dell’emisfero politico di quegli anni. Per Gaber: “l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia: è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché con la scusa di un contrasto che non c’è”. Se l’ideologia ancora esiste, del tutto inesistente appare, agli occhi della penna del cantautore milanese, un suo riflesso sul piano del concreto, un contrasto vero capace di legittimare una dicotomia tutta teorica ed ideologica.
Che centra il 1994 con il 2019? D’altronde sono passati 25 anni e la situazione si è evoluta a tal punto da risultare, forse, impegnata sulla discussione di temi ben differenti da quelli di allora. O forse no… Lascio a voi la riflessione su questo punto. E poi che c’entra Bobbio con Gaber ad esclusione del fatto che entrambi, forse, concordano, almeno superficialmente, su di un’apparente smarrimento delle abituali catalogazioni degli schieramenti politici? E, soprattutto, cosa ha a che fare la politica con la musica? La domanda vera, probabilmente, è proprio questa e necessita, forse, di altri riferimenti per trovare una risposta completa. Riferimenti che potrebbero tirare in ballo lavori come “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (album tutto dedicato al tema del ’68), la “Viva” degli Zen Circus (secondo cui “la democrazia semplicemente non funziona”), “Non siete stato voi” di Caparezza, “Il lungo sonno” de Il Teatro degli Orrori, “Una questione politica” cantata dai Ministri, l’idea di “Quali alibi” di Daniele Silvestri, “L’uomo nero” di Brunori Sas, la “Rivoluzione” di Renato Zero o di Frankie HI-NRG sbarcata persino sul palco del Festival di Sanremo proprio come quel “Il Paese è reale” degli Afterhours. Insomma la musica sembra aver avuto spesso a che fare con la politica. Bobbio e Gaber sono soltanto un esempio di come musica e politica, a volte, si siano trovate impegnate su di uno stesso tema pur giungendo, magari, a conclusioni differenti.
A questo punto la questione, però, si sposta su di un territorio ancor più filosofico, concettuale ed astratto: l’arte ha il diritto (o, persino, anche il dovere) di occuparsi di politica? Gli artisti sono legittimati a schierarsi, a prendere posizione, a scrivere e cantare le loro convinzioni? E’ una questione spesso intricata e delicata che nel corso del tempo ha subito oscillazioni continue capaci di andare da un “assoggettamento” dell’arte ai più diversi regimi politici ad una totale contrarietà a questi. Pensiamo a Madonna schierata contro Trump o l’architettura di Albert Speer agli ordini di Hitler. Ma non tralasciamo nemmeno il rovescio della medaglia: la politica è legittimata ad occuparsi di musica? Altra questione spinosa…
Ecco, oggi viviamo forse nell’epoca che ha fatto maggiormente suoi i valori dell’opportunismo e dell’apparentemente cauto (e conveniente) disinteresse incorporando, in questo senso, quella disaffezione alla politica che la comune cittadinanza sembra aver maturato in larga parte negli ultimi anni. Gli artisti non si schierano più, non cantano quasi mai di società e tanto meno di politica: nelle proprie canzoni si affidano alle lodi dei sentimenti, del moralmente giusto, dell’inconsistenza assoluta dei messaggi di cui, oramai, non sono più veicolanti e non perchè non ne abbiano la forza mediatica ma perchè tali messaggi non sussistono. L’artista medio di oggi si trova ad essere privo di contenuti di ogni ordine e genere: un modello che inconsciamente viene esposto nudo al pubblico per un periodo di tempo relativamente breve e sufficiente, al massimo, per ricercarne uno più giovane e bello da esporre e sfruttare per il proprio aspetto più che per il proprio pensiero. D’altronde la riflessione ed il pensiero necessitano di tempo per essere sviluppati ed oggi di tempo, nella musica, non ce n’è e, soprattutto, non lo si vuole dare.
Poi c’è chi, va detto, non rinuncia alla propria coscienza e alla propria profondità intellettuale e si applica per dare spazio, all’interno della propria musica, a versi lodevoli e meritevoli che, però, non si sa mai il perchè, raramente vedono la luce della popolarità, dei passaggi televisivi o radiofonici. Recentemente ci hanno provato anche Levante con “Andrà tutto bene” (“mi chiedo ancora quanti sogni devo allo Stato in questo stato: questo è il futuro che sognavi per te? […] Hai perso il desiderio della rivoluzione”) o Fiorella Mannoia con il suo “Il peso del coraggio” (“allora stiamo ancora zitti che così ci preferiscono: tutti zitti come cani che obbediscono”) ma, pur godendo di una grande popolarità, i loro gridi di attualità sono passati quasi totalmente inosservati. Che sia, dunque, il “popolo bue”, come lo soprannominò Mussolini, a non avere più orecchi per la denuncia sociale e politica?
Notizia di ieri è che anche Lorenzo Fragola ha preso partito e si è schierato contro l’attuale Ministro degli Interni, Matteo Salvini, sentenziando su Twitter “Salvini merda” (qualche mese fa lo fece pure Nina Zilli). Un episodio che non è passato certamente inosservato (nemmeno al diretto interessato che prontamente ha ribattuto) e che, però, riapre per l’ennesima volta la riflessione sul rapporto tra questi due universi. Da una parte c’è chi sceglie di esporsi (con tutti i rischi che ne conseguono) dall’altra chi, invece, pensa semplicemente ai propri brani: ricordate quando Vasco Rossi disse proprio a Matteo Salvini “La propaganda politica via dalle mie canzoni” per l’utilizzo di un suo brano come spot in un comizio elettorale? Ecco.
Che poi c’è pure l’altra faccia della medaglia perchè lo stesso vice-premier (anche se pare che lo sarà ancora per poco) lo scorso febbraio si “dissociò”, per così dire, dalla vittoria di Mahmood al Festival di Sanremo sostenendo, piuttosto, la causa di Ultimo ed ergendolo a vittima di un gioco anti-salviniano della kermesse canora guidata da un poco affine Claudio Baglioni. E come dimenticare Gasparri contro Fedez o, di nuovo, Salvini avverso al genere rap/trap? Chi più ne ha, più ne metta.
Da che parte stare, dunque? Se da una parte sembra di vivere “tempi deserti di coraggio“, almeno per quel che riguarda gli artisti, dall’altra un futuro di nuovo dissenso e protesta artistica sembrano aprirsi all’orizzonte… chissà che non porti con sé almeno dei nuovi contenuti di rilievo per la nostra musica a prescindere che essi siano di destra o di sinistra perchè prima del contenuto del pensiero occorre occuparsi del suo concepimento! E di questi tempi non è poi così scontato riuscire a pensare…
Ilario Luisetto
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