venerdì 22 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: chiedimi chi era Gaber

Raccontiamo l’attualità con una canzone

Lo conobbi quando ero piccolo. Me ne stavo lì, sul sedile posteriore della macchina, con mio padre che premeva l’acceleratore verso chissà quale destinazione. Me ne stavo lì sul finestrino, cercando di capire se è la luna che insegue la macchina o la macchina che insegue la luna – dubbio che, a detta dei terra piattisti, non sono ancora riuscito a spiegarmi. Insomma, me ne stavo lì con i miei sette anni spalmati in un corpo più o meno ridicolo, quando mio padre mise quel cd e allora lo sentì: Giorgio Gaberscik. In arte, Giorgio Gaber. In sostanza, un genio.

Mi ricordo che lasciai perdere la luna inseguitrice e mi prestai, forse per la prima volta, ad ascoltare una canzone che non conoscevo. Si chiamava “Mani”, ed era, nella maniera più pura e semplice, un concentrato di follia e assurdità. Quel piano che va da tutte le parti. Quella tromba che più che suonare sembra stia gridando come un bambino in una piazza vuota; mi dicono ora che quella cosa si chiama dolcezza, e ci credo. Con quella canzone, per la prima volta nella mia vita, mi misi a ballare. Ma a ballare davvero. In maniera libera, esagerata e ridicola. Ascoltando Gaber capì che si poteva ballare anche in quel modo, anche in una macchina, anche con la luna che ti insegue.
Stop. “Però non toglierti la cintura”. “Va bene, papà”. Play. E si balla.

In questi giorni, navigando su internet senza una vera meta, mi imbattei in questo libro: “Chiedimi chi era Gaber” scritto da Ombretta Colli, per chi non è nel giro, sua moglie. In quei casi i muscoli involontari del mio corpo bypassano le procedure psichiche elementari e, prima che me ne rendi davvero conto, ho già ordinato il libro e tracciato il pacco. E così me lo sono letto

Leggere questo libro è un’esperienza a dir poco singolare. È come se entrassi a casa di un amico che non vedi da molti anni. E a dirla tutta, l’amico non c’è neanche. C’è sua moglie al suo posto, una donna con un’energia e una vitalità che fanno venire i brividi, ma piena di una dolcezza e un’umanità fuori dal comune. Tu entri in questa casa ed è come se vedessi le vecchie foto da giovane, gli oggetti, l’arredamento, insomma, la sua vita dietro la sua vita, ecco. Poi ti siedi sulla poltrona insieme ad Ombretta, e ti immergi nella vita di Gaber. E non ne esci più.

Giorgio Gaber, che tipo. La faccia di uno che non ha mai pienamente superato l’adolescenza. Uno di quei giovani speranzosi che generalmente dopo i vent’anni sono costretti a piegarsi al cinismo e alle imprevedibili pieghe della vita. Solo che ci sono persone che hanno vent’anni per sempre. Lui era uno di questi. Quelle persone che se riescono ad innamorarsi di una cosa, partono e non li fermi più. Da piccolo gli hanno regalato una chitarra, così lui è partito, e non si è più fermato. Tantissimi gli aneddoti spassosi sull’infanzia del cantautore milanese. Cito testualmente: “Una volta fu punito per aver suggerito alcune riposte ad un compagno durante un’interrogazione. Fu mandato all’ultimo banco. Dopo alcuni giorni la punizione gli fu alleggerita: aveva la possibilità di avere un compagno di banco. Quando il professore chiese chi volesse sedersi accanto a lui, tutti alzarono la mano”. Come fai a non volere bene a uno così? Poi il libro passa a raccontare la loro storia d’amore, la loro figlia Dalila, e tutta l’atmosfera musicale intorno, disegnando un ottimo quadro di quel che era l’Italia degli anni 60’ e 70’.

E poi si passa dal televisione al teatro, ed ecco che cambia musica. Per farvi capire: se qualcuno al bar si lamenta della politica, il massimo che può ottenere da me è un’alzata di spalle se sono d’accordo, o un sospiro prolungato se sono contrario. Solo che se a parlare di politica, lo fa Gaber, allora ti incazzi. Prendi, prepari striscioni e sei pronto ad invadere la piazza in segno di protesta; poi però ti ricordi che non puoi fare assembramenti e per questa volta passi, ma solo per questa volta eh. Se qualcuno al bar parla d’amore è di certo un bel momento, ma se lo fa Gaber, allora diventa l’elevazione di tutti i tuoi pensieri amorosi che forse non hai il coraggio di dire a voce alta – mannaggia a te. Lui era così. Diceva quelle frasi semplici, ad un passo dall’essere frasi qualunque dette da uno qualunque; ma che si fermano giusto un attimo prima, così che, senza che te ne rendi davvero conto, subito dopo averti strappato una risata con la sua ironia pungente, ecco che ti apriva una nuova finestra sul mondo. Tipo: “Secondo me gli italiani non sono affatto orgogliosi di essere italiani, e questo è grave. Gli altri invece sono orgogliosi di essere inglesi, francesi e anche americani… e questo è gravissimo!” 1-0. Seconda battuta: “Chi non ha mai commesso l’errore di togliersi i pantaloni prima delle scarpe… costui non sa niente dell’amore!” Un grande, grandissimo.

Finisci di leggere questo libro e pensi che uno così vorresti conoscerlo. Non importa se prima non sapevi neanche chi fosse. E adesso che sono circa 17 anni dalla sua scomparsa, ti rendi conto di quanto ci vorrebbe uno così, ora. Un intellettuale che dubita, uno showman buono, un uomo sempre in direzione ostinata e contraria (cit). Leggendo questo libro impari a leggere quelle sfumature che adoravo di Gaber quando ero un bambino: perché non ho mai ascoltato una sua canzone o un suo monologo senza ballare, anche nei testi più tristi (e ci sono) non si smette di ballare. Io non c’entravo, io non so ballare, ma lui sì e non c’era verso di farlo smettere. E quando se ne vanno quelli con cui hai ballato metaforicamente o no, c’è qualcosa della tua bellezza che se ne va per sempre.

Ho imparato – e questo libro aiuta molto a ricordarselo – che fare teatro e fare canzoni in generale, è una faccenda di generosità, un gesto senza vergogna, una mossa imprudente e un riflesso sproporzionato; se non è così, tutt’al più, è fare show. Ho scoperto, ascoltandolo, che i sentimenti possono essere repentini, le passioni devastanti, le donne infinite; che le illusioni non sono degli errori, i dubbi non sono dei nemici, e la libertà, se esiste, non è un diritto ma un sogno: tutte cose che non mi avevano dato in dotazione quando mi hanno spedito a vivere.

Leggetevelo, questo libro. E poi ascoltatelo, questo Gaber. Così: per incazzarvi, per innamorarvi, per ridere, e soprattutto, per ballare. Mi sono ascoltato tutti i suoi spettacoli teatrali in questi giorni, ed è stato come ascoltare da un’orchestra una musica che avevo sentito alla chitarra. Lì ho capito che c’è solo un modo di ballarla: sudando. Con la camicia fradicia, dunque, continuerò a ballare e poco importa se la luna mi inseguirà con imbarazzo: sono dettagli. Tutt’al più può capitare che un amico mi chieda chi fosse questo Giorgio, e all’occorrenza, sarà un nulla trovare due luci e un parquet su cui farci portare via tutti e tre: io, il mio amico e Gaber.