L’interprete siciliana ci racconta il suo ultimo progetto discografico prodotto da Mario Biondi, del suo desiderio di tornare al Festival di Sanremo e dei generi musicali che vorrebbe sperimentare in futuro.
Quarantacinque anni di carriera e non sentirli, con questo spirito Marcella Bella è tornata dal suo pubblico dopo un lustro di assenza dalle scene, con l’album “Metà amore metà dolore”, prodotto da Mario Biondi e disponibile nei negozi e nei digital store a partire da venerdì 29 settembre. In occasione della pubblicazione di questa sua venticinquesima fatica discografica (di cui vi abbiamo fornito tutti i dettagli qui), abbiamo incontrato l’artista siciliana che ci ha raccontato di questo suo entusiasmante ritorno.
Ciao Marcella, partiamo da questo tuo nuovo progetto discografico, torni dopo cinque anni e ti metti alla prova con un genere per te in parte nuovo, scegliendo come tuo compagno di viaggio il miglior crooner sulla piazza. Com’è stato lavorare con Mister Biondi?
«Un’esperienza fantastica, oltre che interessante. Mario è il produttore del disco, ha curato tutti gli arrangiamenti insieme a Max Greco, scrivendo anche alcuni pezzi. Lui è molto pignolo, non lascia niente al caso, cura ogni singolo in maniera maniacale ogni aspetto di ogni singola traccia e quando si mette in testa qualcosa fa di tutto per realizzarla. Un giorno è arrivato con un bel mazzo di lillà, perché non volevo cantare una certa canzone e lui mi ha pregato in tutti i modi».
A quale traccia del disco ti riferisci?
«Nessuna di quelle presenti! Nel senso che l’ho fatto contento, l’ho cantata ma non l’ho inserita… Perché alla fine vinciamo sempre noi donne! Scherzi a parte, magari la faremo uscire in un progetto futuro…».
In tutto il disco ti sei messa in gioco e in qualche modo “biondizzata”, mentre nel duetto che da il titolo all’album è stato Mario a “marcellizzarsi” cantando una canzone con melodia molto riconoscibile e riconducibile allo stile e alla tradizione della famiglia Bella. Quanto contano per te le contaminazioni?
«Moltissimo, si tratta di una canzone a cui sono molto legata, perché scritta dai miei fratelli Rosario e Gianni, con un testo meraviglioso di Mogol che parla di un amore molto passionale, di due persone che non riescono a stare né lontane né vicine. Per quanto mi riguarda, le contaminazioni sono la cosa più bella nella musica e, in generale, nel mondo. Come io mi sono messa alla prova con un genere che ho sempre amato ma che non ha mai cantato, stessa cosa ha fatto Mario, che ha sempre ascoltato la mia musica e ha cominciato la sua carriera proprio come corista di Gianni».
E’ stato difficile convincerlo a cantare in italiano?
«Ho faticato un pochino, all’inizio non era così tanto d’accordo, poi ha cominciato a cantare e si è entusiasmato anche lui. Mario non vuole ancora rischiare con se stesso a cantare in italiano, non si sente ancora abbastanza sicuro, la mia presenza lo ha in qualche modo rassicurato ed è venuto fuori un qualcosa di eccezionale perchè, secondo me, ha una voce talmente calda ed elegante che può permettersi di cantare qualsiasi genere, qualsiasi canzone e in qualsiasi lingua».
Il tuo precedente lavoro “Femmina bella”, prodotto da Cristiano Malgioglio, rappresentava un omaggio alla musica cubata. Com’è stato passare da quelle sonorità spensierate e leggere a un genere decisamente più impegnativo?
«Guarda, io mi diverto a cambiare genere, mi sento abbastanza versatile e predisposta perché, soprattutto, sono un’interprete e ho sempre spaziato cantando davvero di tutto. Poi ho la fortuna di avere un timbro di voce che si adatta non solo al pop, ma anche al soul e al blues, due generi che mi hanno sempre affascinata, tant’è che da ragazzina ho cominciato con mio fratello a fare proprio quel tipo di musica, Stevie Wonder è sempre stato il nostro mito».
Quanto è importante la tua famiglia, sia nella vita che nella musica?
«Moltissimo, infatti in questo disco sono presenti i miei fratelli, che ho voluto ancora una volta con me in questo viaggio. Dopo la malattia di Gianni avevo deciso di smettere completamente di cantare, per me è stato un trauma molto grande. Poi, un giorno, il mio amico Cristiano mi ha portato a Cuba, con la scusa di farmi svagare, lì è nato per gioco il mio precedente album e devo dire che mi sono divertita molto . Poi con mio fratello Rosario abbiamo deciso di concentrarci su qualcosa di completamente diverso ed eccoci qui. Nella mia carriera ho ricominciato un sacco di volte, mi sono sempre assentata per dedicarmi alla mia famiglia, a crescere i miei figli. Ho avuto un percorso altalenante, ogni volta ricomincio da zero e questo non mi spaventa, anzi, mi entusiasma parecchio, perché ho i miei cari che mi danno la forza di rimettermi in gioco».
Non posso non chiederti di Sanremo, siamo in tanti a voler rivedere sia te che i veri Big sul palco dell’Ariston. Sinceramente, pensi che con una produzione importante alle spalle come quella di Mario ci siano possibilità di rivederti per la nona volta al Festival?
«Sai, c’è un grande punto interrogativo perché è ancora tutto da vedere e da scoprire. Il prossimo anno ci sarà un collega, ma ancora non sappiamo niente, l’annuncio ufficiale di Baglioni è arrivato pochi giorni fa. Io, chiaramente, ho qualche pezzo che ho tenuto fuori dall’album e che mi piacerebbe far ascoltare a Claudio, ma vediamo. Io parto sempre con molto entusiasmo nel fare le cose, poi magari sono gli altri che me lo tolgono».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Che la musica non ha alcun confine, spaziare è bellissimo. Dal pop al blues, dal jazz al soul, o anche al fado portoghese, insomma, la musica è bella senza confini e io voglio cantarli tutti questi generi, qualcuno l’ho già interpretato ma c’è ancora tanta strada da fare e tanti mondi da esplorare».
Nico Donvito
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