venerdì 22 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: La prostituta e il suo cielo

Raccontiamo l’attualità con una canzone

La chiamavano Stella. O meglio, io la chiamavo Stella. Era per via di un fiore giallo che le spuntava tra i capelli. Ignaro si trattasse di una primula, mi incantavo davanti a quella romantica visione come se si trattasse di una scheggia di luna precipitata sul corpo della donna più docile e bella che questa terra abbia mai visto. Onde per cui, era chiaro perché mi apparisse come una Stella.

Sotto la scheggia di luna, il lavoro costante e senza sosta delle rughe scavatrici riempivano di anni la già anziana donna. Un cappello a pois, una gonna vistosamente grande, sigaretta sulla mano sinistra, e infine, il suo sorriso. Quando sorride Stella c’è poco da fare. Tutte le donne e gli uomini, prima o poi, sorridono, e a volte non ci si fa neanche troppo caso. Ma quando, a sorride, è Stella, ci fai caso eccome. Un istinto irrefrenabile nasce da una parte del corpo che non sapevi di avere, ed ecco che vorresti lanciare tutto te stesso in quel sorriso, così, per illuderti, anche solo per un secondo, che in quel sorriso, fai parte anche tu.

Se siete fra i tanti che non hanno avuto la fortuna di conoscerla – vigliacco mondo che rende popolari solo i calciatori e gli influencer – vi narrerò le poche cose che so di lei. Non si sa quando è nata, non si sa come si chiami davvero, non si sa neanche dove e con chi ha vissuto. Solo due cose si sanno: era una prostituta, molto molto vecchia, e amava guardare il cielo stellato.

Devo ammettere che da quando ascoltai “Marinella” da bambino, ho sempre avuto un debole (poetico, ovviamente) per le prostitute, ma con Stella è diverso. La poesia, con lei, sorgeva spontanea. Per spiegarmi meglio: ogni giorno, alle 9 di sera, Stella usciva di casa, si sedeva sulla sua sedia di legno vecchia quasi quanto lei, si accendeva la sua sigaretta e aspettava, così come si aspettano le belle notizie, i suoi amanti. Capite? Ogni santo giorno. Non una pausa la domenica, o una serata del tipo “Scusate ma stasera c’è Fiorello in televisione”. Ogni santo giorno. Un orologio svizzero. Alle 9 in un punto, Stella preparava il suo invito in bella vista, e aspettava chi doveva aspettare. Un rito. Un nobile schiaffo alla vita e ai suoi malanni. Nel frattempo, si divertiva a passare il tempo con il suo hobby preferito: guardare il cielo… era una meraviglia, potevi ammirarla all’infinito mentre specchiava i suoi occhi all’universo. Alcune donne non sono di questo mondo. Guardando Stella ho capito questo. E tutta ciò che ci fosse fra Stella e il cielo, è materiale buono per poeti e filosofi.

Ci sono canzoni che nascono per raccontare delle storie. Non mi spiegherei altrimenti il motivo per cui sia nata “Madeleine” di Paolo Conte. Stella preparava la sedia, si metteva a posto il trucco, ma in cuor mio sapevo che in realtà, dalla sua bocca così bella e così preziosa, uscivano queste parole.

Allons, Madeleine
Certi gatti o certi uomini
Svaniti in una nebbia o in una tappezzeria
Ta-ta-ra-ta-ta-ta.

Addio addio, mai più ritorneranno
Si sa, col tempo e il vento tutto vola via
Ta-ta-ra-ta-ta-ta.”

E poi ecco che arrivavano: i clienti. Non uno che camminava senza l’aiuto di un bastone o di una sedia a rotelle. Se li guardavi bene, dietro i vari diabeti e osteoporosi, non c’erano uomini, ma falene che si avvicinavano alla luce di un lampione. Stella li accoglieva con un saluto e un sorriso dei suoi. Non di raro ci scappava un bacio. E poi entravano in casa. Ancora adesso non ho la più pallida idea di che cosa facessero dentro, lei e i suoi clienti. E forse neanche mi interessa tanto saperlo, in verità. So che chiunque entrava lì dentro, ne usciva felice. E spesso dimenticava un bastone o una dentiera così da avere la scusa per ritornarci.

Un’ora al giorno, quei vecchi ritornavano a sentirsi uomini. Un’ora al giorno, la strada davanti ai piedi di Stella non era mai sporca. Un’ora al giorno, il mondo non era poi quel posto grigio e tetro che vediamo nei telegiornali. Credo che abbia a che fare con qualcosa che centri il “fottere la morte”. Ci provano in tanti. Stella ci riusciva da Dio.

E poi la strada inghiotte subito gli amanti
Per piazze e ponti ciascuno se ne va
E se vuoi, laggiù li vedi ancora danzanti
Che più che gente sembrano foulards
Tutto il meglio è già qui
Non ci sono parole

Chiedendomi come abbia passato questa quarantena Stella, sono passato davanti su quella via alle 9 in punto. Non l’ho trovata. In cambio, però, davanti a casa sua, c’era la sua vecchia sedia di legno, vuota. E su di essa, la sua primula, il suo fiore giallo, la sua scheggia di Luna. Per un attimo, il mio cuore si è messo a piangere – ammesso che a livello cardiovascolare, un cuore che pianga non faccia venire un infarto o un soffocamento interno – ma poi ho visto arrivare i clienti. Andavano lì, uno a uno, aiutati con i loro bastoni e le loro sedie a rotelle. C’era chi guardava da lontano, chi lasciava un’altra primula, chi versava due lacrime e chi, con lo sguardo triste e fiero tipico dei vecchi, ripensava alle nottate romantiche passate con lei. Alla fine non ho resistito, e mi sono messo a parlare con uno di loro. Non ho capito molto in verità, però quello che mi pare di aver colto è questo: ogni sera, alle 9 in punto, tutti questi vecchi clienti spengono le luci di casa propria e anche quelle del giardino, per un’ora intera. Le spengono e basta, in onore di Stella, così che il cielo che lei guardava così tanto, possa apparire ancora più luminoso. Un modo molto bello per dire: ‘addio Stella, luce di molti e amica di tutti’.

Non per buttarla sul sentimentale, ma mi è venuta in mente una cosa. Se proprio vuoi sapere chi ti ama davvero – ma davvero – guardati intorno e cerca uno che spegne la luce del giardino, la sera, perché tu possa veder le stelle più lontano che puoi, nel cielo. Sarà strano, ma dalle nove alle dieci di sera, le stelle sono bellissime. Ce n’è anche una che sembra stia sorridendo. Che sorriso, però.