L’invito alla musica affinché recuperi un ruolo di centralità nella continua costruzione della società civile
E se fossero davvero soltanto ‘canzonette’ come le aveva definite, non senza un velo di polemica, nel 1980 Edoardo Bennato? Verrebbe da sospettarlo, ammettiamolo, se ci si limitasse all’ascolto dell’alta rotazione radiofonica attuale ma anche semplicemente scorrendo qualsivoglia classifica di vendita o di riconoscimenti musicali ed artistici d’oggi giorno in cui non è rimasto alcuno spazio per il racconto del sociale, dell’impegno, dello schierarsi, della denuncia e del chiaro posizionamento a favore o contro pratiche e pensieri più o meno condivisi.
La musica, ma meglio sarebbe dire l’arte in generale, si è spesso trovata a fare i conti con la politica ma spesso, anzi tutti i giorni, si ritrova a farli con la società che rappresenta per un qualsiasi artista il proprio pubblico, la destinazione del proprio prodotto commerciale. E allora perché oggi gli artisti in larghissima parte sfuggono dalla società rifiutandosi di cantarla davvero nelle proprie canzoni?
Il problema, ancora una vota, potrebbe trovare una semplice ed inoppugnabile soluzione, a mio modesto parere, nelle esigenze del mercato discografico. Quello stesso mercato che gli artisti d’oggi sono stati costretti (o hanno scelto volontariamente) ad ergere a propria divinità assoluta, a punto di riferimento costante e a primo motore immobile, per dirla secondo i termini della filosofia aristotelica, del proprio agire artistico per convenienza e riscontro economica ancor prima che etico ed artistico. Il necessario prima del bello dunque, ma anche del giusto e doveroso.
Raramente oggi tra le canzoni troviamo storie diverse da quelle degli amori strappalacrime, delle feste in spiaggia e dei cocktail alcolici da sorseggiare d’estate. Viceversa, sempre più di frequente, invece, vediamo la società e la politica stessa invischiarsi nelle questioni e nelle logiche discografiche (è successo negli ultimi giorni ad Elodie ma le cronache sono piene a partire dalle recenti questioni sorte attorno a Sergio Sylvestre, Mahmood, Sfera Ebbasta, Fiorella Mannoia, Paola Turci o Ultimo). Una tendenza del tutto anomala nello scenario internazionale dove, ancora oggi, spesso la musica sa dire la sua con chiarezza a proposito dei temi sociali tracciati da cives e politica. Una tendenza che potrebbe, alla lunga, risultare pericolosa e svilente per la nostra arte, i nostri artisti e la nostra stessa società che necessita di una voce forte capace di esprimersi liberamente, come sempre l’arte ha fatto nel corso del tempo, su quanto accade intorno a noi.
Il timore di perdere consensi, di finire in prime pagine pericolose o nella rete delle offese gratuite che il web di oggi garantisce a tutti coloro i quali sanno dimostrarsi capaci di prendere posizione frenano, forse, la volontà di schierarsi degli artisti che, poi, sono sempre più spinti a ragionare in termini di convenienza, di riscontro e di massimizzazione del profitto da chi, dal dietro le quinte, consiglia loro le mosse più prudenti ed appropriate per non rischiare di scontentare nessuno rimanendo sempre imparziale. I social, certo, spesso si sono fatti veicolo di un qualche tipo di schieramento ma le canzoni, invece, quasi mai. Non è un caso che i brani di protesta in Italia continuino da anni a rimanere sempre gli stessi complice lo scarso coraggio che i nostri cantautori ed i nostri interpreti hanno dimostrato di avere. Nemmeno il rap, quel genere nato dalla strada per esprimere il disagio e la ribellione, riesce più ad intersecare il racconto della quotidianità più cruda e violenta ma preferisce crogiolarsi tra il racconto d’illusioni e l’autocelebrazione fittizia. Il successo, insomma, obbliga ad un appiattimento dei contenuti che gli artisti scelgono costantemente e consciamente di sottoscrivere.
Urge un nuovo movimento d’espressione, nuove voci e nuove penne capaci di raccontare il dissenso, di cantare il sociale nei suoi problemi più veri e sentiti a prescindere dal colore politico di riferimento o dal punto di vista con il quale questi verranno raccontati e presentati al pubblico. Urge che l’artista torni a fare l’artista prendendosi le proprie responsabilità ed esponendo le proprie visioni sulle cose per adempiere al compito che da sempre l’arte ha in sé: incaricarsi della formazione e della guida della continua evoluzione della società civile. Parafrasando Marx (e non per la sua declinazione politica), artisti di tutto il mondo, unitevi!
Ilario Luisetto
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