venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura 45 giri: Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro e Appino

Un libro, una canzone: insieme

E’ curioso come le persone sappiano creare tra loro quella sorta di calore umano, e così rapidamente. E’ possibile che queste persone, in particolare, siano semplicemente unite fra loro dalla aspettativa della serata che li attende. Ma invece io immagino piuttosto che la cosa abbia maggiormente a che fare con questa abilità di scambiarsi battute scherzose. […] Dopotutto quando si pensa alla cosa, non si ha la sensazione che si tratti di una attività poi così sciocca alla quale potersi dedicare – in particolare se accade che in tale scambio di battute si trovi il segreto del calore umano…”.

Io, che tutto sommato ho avuto modo un po’ di conoscermi, non mi considero un romantico. Certo, a volte mi scappa qualche frase tenera, e talvolta la penna con la quale scrivo le mie idiozie giovanili tende a sbrodolare in lettere d’amore e in pensieri innamorati ed eterni: ma nel complesso, no, non mi considero un romantico. Ho sempre lasciato i lucchetti dell’amore a Moccia e a tutto ciò che dimora a tre metri sopra il cielo. Ma cosa voglia dire essere o non essere romantico, su questo è meglio investigare. Nei fatti, è presto e facile dire di una persona che, nel caso non fosse romantica, allora debba essere per forza di cose infelice. Giacché il romanticismo è il motore che muove un po’ tutte le cose; senza di quello si pensa spesso che l’uomo si riduca a misero automa, senza slancio né creatività da elargire al prossimo.

Non vorrei dire che la pensassi così anch’io, perché è sempre bene nominare un pensiero comune per poi distaccarsene dimostrando a tutti le proprie capacità di pensatore libero e indipendente, però va beh… la pensavo così anch’io. Fino a che mi ritrovai tra le mani questo libro: Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro. Premetto subito che quando trovo titoli del genere mi sale una rabbia incommensurabile perché sono davvero troppo belli e dovrebbero quantomeno censurarli – a patto che non siano miei. Non è invidia la mia: è semplice giustizia nei miei confronti che celebri scrittori non si sono ancora degnati di comprendere. Ma andiamo oltre.

Ho finito di leggere questo libro e me ne sono rimasto lì, in silenzio, a scrutarlo per un’unità di tempo incommensurabile. È l’esatta trasposizione di una standing ovation nella letteratura. Me ne stavo lì, con davanti un libro che mi è entrato dentro e mi ha rubato qualcosa, qualcosa di enorme. Solo le grande opere sanno fare questo tipo di furto. Mi salì un forte sgomento perché d’un tratto pensai “ma come diamine farò a parlare di questo libro giovedì?” Sulle prime mi è venuto in mente di rubare un’idea dell’altra collega di questa rubrica nella speranza che poi non se ne accorgesse, ma ho presto rinunciato: troppo sveglia quella ragazza. Allora ho pensato di recensire un altro libro, ma non potevo farlo perché ho la testa e il cuore solo per questo ora. E quindi? Che faccio?

Potrei dirvi, certo, che la storia è quella di un maggiordomo e della sua prima settimana di vacanza dopo una vita concentrata solo sul suo lavoro e non sulle relazioni interpersonali. Ma con questo? Posso dirvi che non si può non amare alla follia ogni personaggio di questo romanzo perché sono (dal maggiordomo Stevens, alla governante Keaton, al nazista opportunista) tutti dannatamente unici nelle loro sfumature, nelle loro contraddizioni umane. E quindi? Potrei approfondire il film che ne hanno fatto e di come Emma Thompson e Antony Hopkins siano tremendamente bravi. Ma no… la verità è che questo libro sfugge a qualsiasi tipo di recensione.

Non si può trovare l’angolazione giusta per inquadrarlo perché il cuore del racconto sfuggirebbe in un vicolo cieco: la verità è che va letto e punto. Non ce n’è. Un sentimento strano: non avere le parole per descrivere un furto. Una cosa che prova a cantare anche Appino nel suo “Rockstar

L’unica cosa che ho capito, leggendo questo libro, è che noi umani siamo dannatamente fuori tempo per tutto ciò che comporta l’amore. L’amore per la vita, per una donna, per un lavoro. Lo percepiamo, lo ammettiamo ma lo capiamo sempre e solo dopo una lunga odissea di tempo. Perché siamo tutti un po’ mister Stevens: uomo che impiega tutta una vita per uscire via di casa per poi ritornarci più “confuso” di prima. Ma allora torno alla domanda che ha fatto da premessa all’articolo: cosa vuol dire essere o non essere romantico? Ognuno ha le sue teorie, certo. Qualcuno può dire che è guardare le occhiaie giganti di una persona e dirle comunque che è bella, oppure regalare un cappello a qualcuno perché altrimenti prende freddo, oppure rispondere al Cosa pensi? con Niente (grossa balla, non fidatevi mai) oppure…

Io ancora non lo so. Però non posso non guardare il modo in cui mister Stevens si prende cura della casa del suo signore, senza provare un minimo di invidia nei suoi confronti. Perché tutti noi abbiamo bisogno qualcuno che si prenda cura di noi come fossimo una grande casa. Così mi sale un dubbio: alla fine forse non ci capiremo mai niente, dell’amore, del romanticismo e di tutte questo cose qui; quindi tanto vale mettere a posto la casa, le relazioni, qualche litigata seminata in giro qua e là, con un po’ di tenerezza, con ogni sorta di dolcezza e umanità, aspettando la sera. Magari è questo quello che conta. Magari è questo quello che resta del giorno.

Scusate queste digressioni. Vi dovevo recensire un libro e invece mi perdo nei miei pensieri viaggiando di continuo con la testa nelle nuvole. Ma del resto si sa, i romantici sono così.