Il giallo del secolo che ispirò “La dolce vita” è indissolubilmente legato alla musica. A cominciare da uno dei sospettati…
È una storia da dimenticare
È una storia da non raccontare
È una storia un po’ complicata
È una storia sbagliata
Una storia sbagliata, F. De André e M. Bubola
Fabrizio De André si è concesso raramente alla televisione e ancor meno alle commissioni, come un pittore rinascimentale libero di creare sotto l’ala di un mecenate. Nel 1980 la RAI lo convince a una deroga dalle sue abitudini per un’offerta irrinunciabile: comporre una sigla per uno speciale dedicato alle tragiche scomparse di Pier Paolo Pasolini e Wilma Montesi.
È un brano speciale per Faber, il primo dopo il rapimento subito in Sardegna. Il cantautore coinvolge l’amico Massimo Bubola e nasce “Una storia sbagliata”, l’inno delle verità negate a suon di depistaggi e poi bisbigliate distrattamente, magari sfogliando un giornale scandalistico. I due artisti si concentrano su Pasolini. D’altronde il barbaro omicidio del poeta bolognese è ancora fresco, “La morte di Pasolini ci aveva resi quasi come orfani” dirà De André. Il brano, però, si allarga anche al caso della giovane: primo scandalo mediatico dell’Italia repubblicana ed emblema dell’ipocrisia del potere. Ma chi era Wilma Montesi?
Un caso quasi chiuso
È la mattina dell’11 aprile 1953. Il giovane muratore Fortunato Bettini avvista sul litorale di Torvaianica il corpo di una ragazza arenato sulla riva, ormai privo di vita. In breve la ragazza viene identificata dalle autorità: si tratta di Wilma Montesi, una 21enne di famiglia modesta ma rispettabile, prossima al matrimonio. Suo padre teme un suicidio. A suo dire la ragazza non avrebbe retto all’ormai prossimo allontanamento dai genitori per trasferirsi in Calabria, dove il promesso sposo prestava servizio come carabiniere.
Iniziano a farsi avanti alcuni testimoni. la ragazza sarebbe stata avvistata poche ore prima del decesso a bordo di una navetta diretta ad Ostia, a circa 20 km dal luogo del ritrovamento. Nonostante alcune evidenti incongruenze (i difficili incastri temporali e l’assenza di alcuni indumenti della ragazza) il caso viene archiviato. Le indagini si concludono: la Montesi avrebbe sofferto di una irritazione ai talloni e per alleviare il dolore si sarebbe recata sul litorale per un pediluvio. A causa dell’ingestione di un gelato, che le avrebbe provocato una congestione, la giovane sarebbe scivolata in acqua e dunque annegata. Una particolare combinazione di correnti marine, infine, avrebbe consentito ai resti l’approdo a Torvaianica. Questa catena di sfortunati episodi non convince però la stampa e così, mentre il caso sembra chiuso, le voci iniziano a circolare…
…ma la musica cambia!
A mischiare le carte è l’entrata in scena di “biondino“. L’uomo consegna alla polizia gli indumenti mancanti della ragazza senza fornire grosse spiegazioni. Le autorità non battono colpo, la stampa sussurra maliziosamente. Le voci però non si placano perché il “biondino” in questione è Piero Piccioni, giovane e talentuoso compositore jazz nonché futuro artefice di colonne sonore memorabili, ma soprattutto figlio di Attilio Piccioni, vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e uno dei più influenti dirigenti della Democrazia Cristiana.
Il “Roma“, quotidiano monarchico di Napoli, è il primo organo di stampa a rompere un tacito patto di non diffusione della notizia. Silvano Muto, direttore del settimanale “Attualità”, si spingerà oltre, arrivando ad accusare le autorità di coperture e depistaggi. Grazie alla collaborazione di due preziose confidenti, l’aspirante attrice Adriana Concetta Bisaccia e Annamaria Moneta Caglio, subito ribattezzata dai cronisti “il cigno nero” per la sua eleganza e le frequentazioni altolocate, Muto riconduce la morte della giovane a uno scenario raccapricciante di festini a base di droga. Protagonista l’alta società romana, tra membri della nobiltà capitolina, figli di politici (tra i quali lo stesso Piccioni) e aspiranti attrici. Gli incontri rituali si sarebbero tenuti a Capocotta, nella tenuta di caccia del marchese Ugo Montagna, ex collaboratore dei nazisti e amante della Caglio. La Montesi non era lontana dagli ambienti cinematografici avendo lavorato come comparsa negli studi di Cinecittà.
Lo scandalo e il processo
Lo scandalo è servito. Attilio Piccioni, ministro integerrimo ed austero, evocato più volte come possibile segretario della DC, si dimette. La sua carriera politica è stroncata. La magistratura riapre il caso e conferma le ipotesi divulgate dalla stampa. Complice il regime fascista, che per un ventennio aveva censurato ogni notizia di cronaca nera, il giallo della ragazza sul litorale diventa una vera bomba mediatica. Per mesi il caso Montesi è in prima pagina. Tutti ne parlano e ne scrivono, i testimoni si centuplicano e spesso le riviste spacciano per preziose esclusive informazioni poco o nulla rilevanti. Nelle sedute parlamentari più movimentate, l’opposizione inizia ad additare i membri della Democrazia Cristiana come “capocottari“. Il leader socialista Pietro Nenni arriverà a dire “Capocotta sarà la Caporetto della borghesia”.
Non sarà così: dopo tre mesi di prigione preventiva Piccioni jr verrà scagionato da ogni legame con la morte della Montesi per assenza di prove. A suo favore testimonia anche Alida Valli, diva del cinema e al tempo fidanzata del compositore. Si rifarà abbondantemente: una volta messosi alle spalle la vicenda, Piccioni diventerà uno dei più importanti autori italiani di musica da film, lavorando ad alcune delle più celebri pellicole di Alberto Sordi (da “Fumo di Londra” a “Lo scopone scientifico“) ma anche, paradossalmente, al cinema di denuncia politico-investigativa di Francesco Rosi.
Anche il losco Montagna ne esce indenne, e anzi querela per diffamazione Silvano Muto e Annamaria Moneta Caglio. Vince il marchese con una sentenza paradossalmente opposta alla precedente che pur senza condanne aveva ritenuto verosimile lo scenario illustrato dalle loro testimonianze. Il caso Montesi finisce come inizia. Com’è morta Wilma? Molti anni dopo qualcuno ha provato a riaprire il caso: Rino Gaetano.
La profezia sulle nuove generazioni
Le canzoni non sono testi politici e io non faccio comizi. Questo è uno sfottò. Insomma, Nuntereggae più è la canzone più leggera che ho mai fatto
R.Gaetano
Sono passati oltre vent’anni dal ritrovamento del corpo di Wilma e dall’esplosione del caso Montesi, quando il cantautore calabrese si appresta a debuttare a Sanremo. Il brano scelto per affrontare la competizione festivaliera è “Nuntereggaepiù“, una sarcastica rassegna stampa dei mali italiani attraverso l’elenco di eventi, nomi, partiti ed aziende. Il brano, destinato a fare scalpore, viene più volte rimaneggiato per eliminare riferimenti troppo espliciti a scandali ancora scottanti come i traffici del faccendiere Michele Sindona e il caso Lockheed. Alla fine la RCA convince l’artista a partecipare con la più innocua “Gianna“, per evitare grane.
Nonostante siano in molti a guardare di traverso il canzonatorio “J’accuse” di Rino Gaetano il brano ottiene grande popolarità e tutt’ora è considerato uno dei maggiori successi dell’indimenticato cantautore. Il testo evoca tra le altre cose la spiaggia di Capocotta, un chiaro riferimento al mistero irrisolto della Montesi e al sistema di coperture atto a proteggere i potenti. Nel 1979 l’artista sceglie di esibirsi proprio a Capocotta, annunciando il momento di “Nuntereggaepiù” con una celebre e misteriosa profezia solo parzialmente avveratasi.
«C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale! E si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta».
Tutto rimane da risolvere
Il 2 giugno 1981 Rino Gaetano muore tragicamente in un incidente stradale, a soli trent’anni. La prematura scomparsa ma anche la pretesa di fare luce sulla società italiana attraverso le canzoni, avvicina indubbiamente l’artista calabrese a Luigi Tenco, altro protagonista di una storia sbagliata. Come predetto con estrema lucidità e lungimiranza, oggi le nuove generazioni conoscono, amano e cantano i suoi brani, eppure i tanti misteri d’Italia giacciono ancora oltre il muro dell’indefinito e dell’irrisolto. Wilma Montesi è ancora lì, spiaggiata sul litorale di Torvaianica e fra le righe di una hit che il cantautore ha lasciato in eredità alle nuove generazioni, ancora in attesa di essere raccolta e decifrata.
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