A tu per tu con il cantautore napoletano, al suo esordio festivaliero con il brano “Tuo padre, mia madre, Lucia“
Tra i protagonisti di Sanremo 2022 c’è Giovanni Truppi, alfiere della canzone d’autore capace di coniugare stati d’animo e parole che si rincorrono con spirito agonistico, trasmettendo un senso di pace, leggerezza e autenticità. “Tuo padre, mia madre, Lucia” è un brano che trasmette pace e autenticità, a metà strada tra il recitato e il cantato.
Ciao Giovanni, bentrovato. “Tuo padre, mia madre, Lucia” è il titolo del brano che hai scelto di presentare in gara al Festival, cosa ti ha spinto a confrontarti con altri autori e a scegliere proprio questo pezzo?
«A parte Marco Buccelli e Giovanni Pallotti con i quali sono abituato a collaborare da tempo, ho avvertito l’esigenza di confrontarmi con ulteriori punti di vista. Pacifico e Niccolò Contessa sono due autori puri di canzoni, l’approccio con loro è stato di portare del materiale mio e svilupparlo insieme. Ho realizzato con entrambi sessioni separate, ad un certo punto è emersa questa canzone, la mia casa discografica mi ha chiesto se avessi un brano per Sanremo e così ho pensato subito a “Tuo padre, mia madre, Lucia”».
La tua proposta musicale è sicuramente differente dalle altre, anzi, probabilmente non si va a sovrapporre con nient’altro che è stato presentato in settant’anni al Festival. In un epoca particolare e frenetica come quella attuale, il fattore originalità può essere ancora considerato un vantaggio?
«Credo che l’originalità sia un fattore indispensabile per fare un percorso artistico, per crearlo in realtà. Si arriva ad avere una propria voce, una propria identità. Quello che mi interessa è fare un percorso artistico, quindi penso che sia una cosa importante, adesso come come sempre».
Penso che sia giusto dare spazio a musica evasiva, disimpegnata, cosiddetta leggera, così com’è giusto che ci sia anche una musica che non semplifichi i concetti più elaborati. Tu cosa ne pensi?
«Assolutamente, non ho alcuna difficoltà a fare anche questo tipo di divisione, anche se sicuramente io mi metto nel girone della musica leggera, non dimentichiamo che c’è Stockhausen. Più che altro dividerei la questione in musica bella che piace e musica che non piace. Di certo c’è anche musica concepita a tavolino, a livello industriale, e musica più istintiva. E non è detto che anche una canzone costruita ad hoc non possa emozionare, anzi. La verità, forse, è che queste distinzioni hanno anche poco senso».
Per la serata delle cover hai deciso di interpretare insieme a Vinicio Capossela “Nella mia ora di libertà” di Fabrizio De Andrè. A cosa si devono le scelte del brano e dell’ospite che hai voluto al tuo fianco?
«Ho scelto “Nella mia ora di libertà” perché è una canzone che mi rappresenta molto testualmente, penso sia un condensato di tutta una serie di cose in cui credo e che per me sono importanti. Al di là dell’aderenza umana a queste parole, questo pezzo si avvicina artisticamente al mio mondo. Nel mio piccolo ho cercato di occuparmi di una serie di tematiche, mi sembrava importante andare in questa direzione in un’occasione del genere, raccontando anche questa parte di me. Dal momento che l’inedito che canto per la maggior parte delle sere è una canzone d’amore, ho cercato di individuare una cover con altre caratteristiche. Vinicio Capossela è un artista che ammiro tantissimo, con il quale ho da sempre desiderato collaborare. onostante sia distante dal Festival e non ci sia mai stato in gara, pensato che potesse essere la scelta giusta».
Per concludere, in concomitanza con la tua partecipazione festivaliera, il prossimo 4 febbraio uscirà “Tutto l’universo”, antologia che raccoglie questi tuoi primi dieci anni di carriera. Le raccolte suggeriscono e chiamano in causa una sorta di resoconto, qual è il tuo personale bilancio del tuo percorso sino ad oggi?
«Sono molto contento perché non era scontato di essere ancora qui a fare questo mestiere dopo dieci anni. Quando è iniziata non ero affatto sicuro che questo sarebbe accaduto. In più quando mi guardo indietro, cosa che non faccio tanto spesso, vedo la verità di un percorso fatto di errori e di crescita. Mi sono sempre preso dei rischi durante questi anni, questa è una cosa di cui vado veramente fiero».
Nico Donvito
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