A poche ore dalla conclusione dell’ultima serata della popolare kermesse, ecco il nostro personale bilancio
Sarà ricordato come il Festival della compartecipazione, di un parziale e ragguardevole ritorno alla normalità, questo Sanremo 2022 seguito ibridamente sia in presenza che in DAD. Un’edizione resa unica da numeri record, sia in termini di share televisivo che di riscontro discografico registrato sin dalle primissime ore nei confronti delle venticinque canzoni in concorso.
Come dimenticare le immagini dello scorso anno, di quel Teatro Ariston a tratti irriconoscibile, senza pubblico e con gli applausi registrati? In questa settimana è stato bello ritrovarsi, seppur solo con gli occhi e con gli sguardi. Il Festival di Sanremo è da sempre sinonimo di incontro, nell’edizione 2021 era venuta a mancare l’aggregazione, ovvero l’ingrediente primario di questa storica rassegna.
Sanremo si è sempre visto in compagnia di amici o di parenti, mentre lo scorso anno in molti lo hanno seguito in completa solitudine. Certo, la tecnologia e i social network sono venuti in nostro soccorso, ma parliamo di due cose diverse. Per questa ragione, sono certo che i riscontri straordinari rilevati dagli indici di ascolto siano frutto di questa ritrovata e rinnovata compartecipazione.
Il merito più grande, però, è da attribuire alle scelte artistiche di Amadeus che, al suo terzo mandato festivaliero, è riuscito nell’impresa di coniugare un cast colossale con canzoni sopra la media degli ultimi anni. Coadiuvato dalla sua squadra, dalla Rai, dagli ospiti e da splendide presenze femminili, ha saputo mettere in scena cinque serate di spettacolo puro, gioioso, piacevole e diversivo.
Trionfa la musica plurigenerazionale
Vince l’alchimia contemporanea di Mahmood e Blanco, confermando quelle che erano le aspettative e i pronostici della vigilia. “Brividi” è una classica canzone sanremese 3.0, una retrospettiva nitida e rappresentativa sul panorama musicale e sociale di oggi. La coppia ha funzionato, dispensando emozioni al pubblico più giovane, ma un bel pugno nello stomaco anche a quello più adulto.
In un Festival colmo di brani up tempo e dal forte retrogusto pop-dance, la loro ballad si è distinta e ha messo d’accordo all’unanimità le tre giurie coinvolte. Un risultato che accontenta tutte le età, con un podio altamente rappresentativo, che mette a confronto generazioni differenti. Medaglia d’argento per Elisa, che è tornata in Riviera a ventuno anni di distanza dalla sua unica e vittoriosa partecipazione.
L’augurio è che il suo coraggio serva da esempio e sia d’ispirazione affinché sempre più artisti decidano di tornare a rimettersi in gioco, adeguandosi alla velocità e alle odierne logiche del mercato discografico. Discorso analogo per il terzo classificato Gianni Morandi che, con i suoi sessant’anni di carriera alle spalle, ha trasmesso al pubblico tutto il proprio entusiasmo e la voglia di divertirsi.
Reduce da un anno non proprio facile, l’eterno ragazzo si è messo in discussione con solarità e la spinta dell’amico Jovanotti. In tal senso, è bene sottolineare il valore umano di questa edizione, perché diversi cantanti in gara vengono da un periodo di vita difficile, per differenti problemi personali e di salute. Un Sanremo del riscatto, dunque, così profondamente e simbolicamente attuale.
Conquistano i pezzi dei giovanissimi, da Irama a Sangiovanni, passando per Aka 7even, Rkomi, Matteo Romano, Highsnob & HU, Ana Mena, Tananai e Yuman, oltre alle incursioni canore di autentici monumenti della canzone italiana come Iva Zanicchi e Massimo Ranieri. Emozionanti e convincenti, inoltre, le performance di Emma, Fabrizio Moro, Michele Bravi e Giovanni Truppi.
Tanti i brani che stanno già spopolando in radio, pensiamo a La Rappresentante di Lista, a Dargen D’Amico, alla coppia Ditonellapiaga e Rettore, ad Achille Lauro, a Noemi, a Le Vibrazioni e a Giusy Ferreri. Insomma, ricorderemo un po’ tutto di questo Festival, comprese le ospitate di Fiorello, Checco Zalone, Laura Pausini, Cesare Cremonini, Marco Mengoni, dei Meduza e dei Maneskin.
Un successo targato Amadeus
Un Sanremo all’insegna dell’italianità, una grande festa di cui tutti avvertivamo un gran bisogno. La chiusura di un cerchio o l’inizio di una nuova fase? Difficile stabilirlo oggi, nel senso che tutti ci auguriamo che Amadeus decida di andare avanti ma, a differenza dello scorso anno, se così non fosse la sua scelta sarebbe più facile da comprendere e da accettare.
A lui il merito di aver attribuito a tutte le sue tre edizioni una narrazione diversa. Per anni siamo stati abituati a pronosticare il cast dei partecipanti cercando di sostituire i concorrenti dell’anno precedente con proposte simili e sovrapponibili. Il direttore artistico Amadeus ha sparigliato le carte, componendo mosaici dalle tessere cangianti e inaspettate.
Il Festival di due anni fa ha rappresentato la fine di un’era, quello dello scorso anno è stato anomalo e indimenticabile, mentre in questa edizione è tangibile la voglia di ripartire, tutti insieme. L’augurio è che Sanremo 2022 rappresenti davvero l’inizio di un ritorno alla vita, la colonna sonora di una ricostruzione sia individuale che collettiva, il volano per la ripresa economica di un intero settore.
Considerati i risultati record, chiunque si ritroverà ad organizzare la prossima edizione avrà una bella gatta da pelare. Un’eredità decisamente pesante da raccogliere, anche per l’eventuale Ama-quater. Quello che ci vuole è un progetto concreto, magari un rinnovo che non contempli la solita e annuale conferma interinale, proprio come è accaduto le volte precedenti.
Chiunque arrivi, si spera porti una progettualità più a lunga durata, un po’ come era stato per il triennale di Carlo Conti e come si è rivelato essere a posteriori per Amadeus, che si è dovuto guadagnare la “pagnotta” a suon di risultati straordinari. A bocce ferme e con tranquillità, si spera vengano prese le decisioni più giuste per questo evento musicale che è ancora oggi nel cuore di milioni di italiani.
Quale futuro per Sanremo 2023?
Decennio dopo decennio, la rassegna canora è sopravvissuta a realtà similari che non hanno saputo rinnovare il proprio linguaggio. In questi settantadue anni di storia, il Festival ha raccontato il nostro Paese attraverso una narrazione in continua evoluzione, attirando pareri sia favorevoli che contrari in un avvincente dibattito che tiene viva la fiamma dell’interesse.
In fin dei conti, la verità è che Sanremo si critica perchè lo si guarda… questo è un po’ il suo segreto. Finché interverranno sponsor pronti ad investire in questa grande macchina organizzativa e finché ci saranno telespettatori desiderosi di rivolgere la propria attenzione nei confronti della musica, potremo continuare a godere di questo spettacolo.
L’errore più grande che potrebbe commettere chi si ritroverà ad amministrare la 73esima edizione del Festival della Canzone Italiana sarebbe quello di lasciare tutto così com’è, perchè Sanremo non può non considerare i continui mutamenti della società e della discografia, così come non può nemmeno aprirsi alle grandi rivoluzioni se non in maniera graduale.
Pensiamo ad esempio al FantaSanremo, quest’anno è stato un gioco che ha divertito e appassionato tutti, ma che piega potrebbe prendere in futuro questo fenomeno? Ovvio che gli organizzatori non potevano immaginare un tale riscontro, ma la situazione potrebbe anche sfuggire di mano, andando al di là dell’aspetto goliardico che tanto ci ha appassionato per tutta la settimana.
Finché parliamo di outfit floreali e di qualche frase sparata a caso sul palco, tutto sotto controllo, ma chi esclude la possibilità che qualche artista possa costruire la propria proposta musicale attorno a questo fenomeno? Alla fine è anche quello che accade con Tik Tok, molti versi vengono costruiti metricamente con parti da quindici secondi, e questo trovo che sia triste oltre che limitante.
Il rischio più alto è quello dell’omologazione, ve li immaginate tra le canzoni in gara titoli come “Papalina” o “Ciao zia Mara”? Ora, senza estremizzare troppo, bisogna prendere in considerazione l’evoluzione di un fenomeno di tale portata, che rappresenta sicuramente un segno dei tempi. Per il momento, però, godiamoci queste venticinque canzoni che rappresentano un fedelissimo spaccato del nostro Paese.
Nico Donvito
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