giovedì 21 Novembre 2024

ULTIMI ARTICOLI

SUGGERITI

Aiello: “Se la fiamma è grande nessuno può spegnerla” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore calabrese, al suo debutto al Festival di Sanremo con il brano “Ora”

Esordio sul palco dell’Ariston per Aiello (qui la nostra ultima intervista), tra gli artisti più ispirati degli ultimi tempi. Si intitola “Ora” il brano che abbiamo avuto modo di ascoltare e apprezzare nel corso della 71esima edizione del Festival della canzone italiana. A poche ore dalla sua ultima esibizione, abbiamo il piacere di ritrovarlo via Zoom, per scoprire il suo stato d’animo alla vigilia della serata finale di Saneremo 2021.

Ciao Antonio, bentrovato. Immagino tu sia un po’ provato dalle tante interviste, dalle prove e dall’intera settimana sanremese. Come lo stai vivendo questo Festival?

«Molto bene, una grande palestra, intensa e faticosa, ma emozionante. Le sensazioni a poche ore dalla finale sono un misto fra stanchezza, carica, adrenalina, voglia di riposo totale, ma anche voglia ancora di musica, perchè quella non finisce mai (sorride, ndr)».

La tua prima esibizione è stata molto passionale, ha sicuramente giocato l’emozione di ritrovarti su quel palco dopo un anno di astinenza forzata dai live. Le altre sere è andata meglio, no?

«Sì, assolutamente. Tornassi indietro l’unica cosa che farei è star lontano dalla telecamera, evitare di sbattere quasi il viso sull’obiettivo. Questo ha trasformato quell’urlo di dolore in un qualcosa di comico, la viralità che si è poi generata ha creato considerazioni un po’ gratuite sulla mia performance, che poi  hanno inficiato su tutto il resto. Devo dire però che, già nelle ore successive, è arrivata un’ondata di affetto, ma anche di scuse, da parte di persone che si erano fatte prendere inizialmente da questo vortice, ma che si sono poi innamorate del pezzo e della mia musica. Ecco, questa è stata la cosa più bella che potesse accadere».

Da calabrese doc, che significato ha avuto per te riportare a Sanremo il genio di Rino Gaetano nella serata delle cover? 

«Un grande privilegio, un grande onore, anche se con Vegas Jones ci siamo esibiti alle due di notte purtroppo, però abbiamo trasformato l’Ariston in un piccolo club, per cui resterò sicuramente un bellissimo ricordo. Ammiro molto Rino Gaetano, mi ci rivedo nel suo coraggio e nella verità che riuscita a trasmettere nel cantare, nell’esprimersi».

Il titolo del tuo secondo album è “Meridionale”, un omaggio alla tua terra?

«Assolutamente sì, è il viaggio che ho voluto fare nelle mie radici, tra spagnoli e greci, bizantini normanni e comunità balcaniche. Ho mescolato diversi generi, come faccio solitamente. Questa volta ho fatto incontrare il pop con l’R’n’B, il flamenco con il clubbing. “Meridionale” per me è un gran bel disco, spero che dal 12 marzo possiate dirlo anche voi!».

Il cast di quest’anno si divide un po’ in due fazioni, chi ha dichiarato di patire l’assenza del pubblico in sala e chi, al contrario, ha raccontato di sentirsi a suo agio. Tu da che parte ti schieri?

«La mancanza del pubblico è un danno, una mancanza per qualsiasi performance, perchè senti l’obbligo di dover riempire un vuoto in realtà incolmabile. Tecnicamente, proprio a livello di audio, rappresenta un problema in più perchè c’è un ritorno nelle cuffie che, in qualche modo, ti disorienta».

Pensi che i numerosi problemi avuti nel corso delle serate siano dovuti a questa assenza?

«Sì, ma anche perchè quel palco fa tremare le gambe a tutti. Ho sentito colleghi straordinari che stimo moltissimo, chi più e chi meno hanno avuto delle imperfezioni. Ad alcuni viene perdonato tutto, ad altri si fa l’analisi chirurgica della propria esibizione, ma questo è un po’ il gioco del piccolo e del grande. Dopo questa esperienza, mi sento comunque con le spalle ancora più larghe (sorride, ndr)».

In una nostra precedente intervista, mi hai raccontato che nel 2011 avevi sfiorato la partecipazione al Festival tra i giovani. Alla luce delle porte in faccia che hai preso nel corso del tempo, che effetto fa essere lì dieci anni dopo tra i big?

«E’ un motivo di grande orgoglio, una soddisfazione importante. Pensavo e credevo che non ci sarei mai salito su quel palco, perchè il mio pop non è molto sanremese, in più ho una visione non proprio classica della musica. Eppure sono qui, ne sono felice perchè c’è stata un’accoglienza calorosa e un apprezzamento importante che, forse, mi fa pensare di aver fatto bene a provarci».

Questo è sicuramente un bel messaggio per tanti ragazzi che, come te, non mollano e continuano a credere nel proprio sogno. Cosa ti senti di dire a chi, a volte, viene scoraggiato da quelle stesse porte in faccia?

«Che bisogna ascoltare il tipo di vocazione, il tipo di spinta e il tipo di sogno che abbiamo dentro. Se la fiamma è grande nessuno può spegnerla, quindi, il messaggio è quello di andare sempre dritti per la propria strada, di non lasciarsi abbattere o scalfire dalle delusioni, bensì di trarne sempre insegnamento».

Per concludere, quali sono gli elementi e le caratteristiche che ti rendono orgoglioso di “Ora”?

«Il fatto di aver scelto di portare in gara un pezzo molto coraggioso vocalmente, perchè “Ora” non è una canzonetta. Poi, soprattutto, essere riuscito a raccontare una storia vera, che mi è costata, perchè non è assolutamente facile affrontare i propri mostri davanti a milioni di italiani. In più, come ti dicevo prima, il fatto che non si tratti della classica canzone sanremese, ma un esperimento musicale di contaminazione tra pop, urban e clubbing, che spero possa abbracciare sempre più persone nel corso del tempo».

The following two tabs change content below.

Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.