Dentro i testi delle canzoni che cantano la denuncia
Questo è un articolo difficile, per questo, si percorrerà la strada della semplicità. Le parole dei testi, senza particolari spiegazioni, saranno la predominante per un tema, trattato in poche, anzi pochissime canzoni: la violenza su* minori. Argomento complesso per un genere musicale a cui si richiede, troppo spesso, l’intrattenimento puro. Ma una domanda frulla nella testa: abbiamo ancora la speranza per un pop sociale, che mentre racconta, sensibilizza su una specifica causa, anche quando impegnativa ed, eticamente, inaccettabile? Come si può cantare ciò che non è, facilmente, raccontabile?
Troppe volte, le vittime di un abuso, sia esso verbale e/o fisico, tendono a tacere, per insabbiarlo, come se non fosse mai accaduto. La strada verso la consapevolezza è un viaggio di dolore e di conquista graduale, che Ermal Meta ha compiuto fino in fondo, se denuncia le violenze della sua infanzia con un pezzo, in cui l’uso della seconda persona lo pone ad una distanza dai fatti. È risolto e risoluto, quando canta “lo sai che una ferita si chiude e dentro non si vede Che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare”. Da qui, da un inizio nasce la possibilità di vivere in un modo nuovo, “e scegli una strada diversa e ricorda che l’amore non è violenza Ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire, vietato morire Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai E ricorda che l’amore non ti spara in faccia mai Figlio mio ricorda bene che La vita che avrai Non sarà mai distante dell’amore che dai Ricorda di disobbedire Perché è vietato morire“.
Di una morte e di un funerale, canta, invece, Carmen Consoli. Una fine che ha il sapore della liberazione, un giorno di festa in cui “ho messo un rossetto rosso in segno di lutto E un soprabito nero Era un uomo distinto, mio zio”. Ormai cresciuta, la nipote abusata è in grado di consolare la “madre” che ha sofferto insieme a lei, “non piangere, ingoia e dimentica Le sue mani ingorde tra le mie gambe, adesso Sta in grazia di Dio”. Come dimenticare quella violenza che avveniva come un gioco? “Brava bambina fai la conta Più punti a chi non si vergogna Giochiamo a mosca cieca Che zio ti porta in montagna”. Come non porgere “l’estremo saluto ad un animo puro Un nobile esempio di padre, di amico e fratello”? Dentro c’è un fuoco di rabbia, oltre il tarlo dei ricordi, e diventa ribrezzo verso chi ha scoperto tutto e ha taciuto, “e sento il disprezzo profondo, i loro occhi addosso Svelato l’ignobile incesto E non mi hanno creduto”. Oggi è un giorno da onorare, per questo, “ho messo un rossetto rosso carminio E sotto il soprabito niente in onore del mio aguzzino”.
Scartata al Festival di Sanremo, la canzone dei Dear Jack e Pierdavide Carone mette a fuoco le strategie dell’inganno con cui l’adulto aggancia la sua vittima “<Dammi la mano, bambino, e vieni nel bosco> <No, che non sono un estraneo, io ti conosco> <Vengo dal tuo stesso posto>”. La memoria dell’incontro riaffiora, “nel mio silenzio un ricordo di cose più belle Il colore delle stelle, mentre prendi la mia pelle In cambio un sorriso e due caramelle”. Nella testa, un pensiero si fa preghiera, “ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare Ti prego, fallo in fretta senza farmi male Ti giuro, non avrò niente da raccontare Però fa’ in fretta, così torno a respirare”.
Fabio Concato affronta la violenza fisica di un genitore sul figlio, nel momento in cui si compie, raccontandola, anche in questo caso, dal punto di vista della vittima: “su babbo smettila di bere non mi picchiare un’altra volta che ogni volta ho piu’ paura e quando cerco di scappare non arrivo mai alla porta mi raggiungi e sei una furia non centro niente coi tuoi guai, non c’entro con i dispiaceri, non ti ricordi, ieri, che mi portavi al mare?”. L’alcool contribuisce alla perdita del limite e scatena un sentimento incontrollato che va oltre la rabbia, una furia che trasfigura chi ci dovrebbe amare in un mostro abusante. Due elementi caratterizzano le relazioni di abuso: lo squilibrio e l’asimmetria dei ruoli nella relazione fra i soggetti coinvolti.
Così, nel bullismo si determinano comportamenti di prepotenza, ripetuti e continuati nel tempo, tra ragazzi non di pari forza, per cui chi subisce non è in grado di difendersi da solo. Ce ne parla Vasco Rossi nella sua mitica canzone, “mi ricordo che sì, si escludeva per motivi che oggi fanno solo ridere mi ricordo che sì, si escludeva per primi quelli che facevano paura: chissà perché?!? mi ricordo che sì, si escludeva …sempre il più debole mi ricordo che “non si voleva” però neanche i più brutti come me…”. Gigi d’Alessio disegna, invece, l’identikit del bullo, “hei amico bullo ti senti un vero mito capace di lottare, vincere e schiacciare; di diventare primo, primo ad ogni costo usando la violenza che poi mi sputi addosso”, mentre Eros Ramazzotti ci presenta Nino, determinato nella volontà di raccontare la sua storia. “Io mi chiamo Nino e tu devi ascoltarmi: è da quando esisto che su di me alzano la voce e anche le mani Il male che fa dentro tu non sai quant’è”. Perciò, per tutto questo dolore, “non possiamo chiudere gli occhi, guarda li cosa succede, non possiamo chiudere gli occhi, dillo a chi non vuole vedere”.
Anche grazie alla musica, possiamo imparare di realtà nascoste, silenziate, che si consumano nei margini. Così i bambini di Paola Turci, coinvolti nelle guerre delle quali non capiscono nemmeno i motivi, “bambino Armato e disarmato in una foto Senza felicità Sfogliato e impaginato in questa vita sola Che non ti guarirà”. “Ragazzini corrono sui muri neri di città”, costretti a spacciare, rubare e a vendere perfino il loro corpo per sopravvivere, “sanno tutto dell’amore che si prende e non si dà Sanno vendere il silenzio e il male La loro poca libertà Vendono polvere bianca ai nostri anni e alla pietà Bambini, bambini”, che non sanno più di essere tali, violati in un sacrosanto diritto, su cui tutto il genere umano è chiamato ad averne cura e responsabilità.
Francesco Penta
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