giovedì 21 Novembre 2024

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C’è sempre una canzone (d’amore): Scrivile scemo

Raccontiamo l’amore con una canzone

Quando ti lanci con il paracadute, quando ti tuffi da uno scoglio, quando stai per decollare e l’aereo prende velocità, quando sali sulle montagne russe in prima fila, non devi pensare mai che sotto di te c’è il nulla. Senti l’adrenalina girare nel tuo corpo, chiudi gli occhi, urli, mastichi una gomma. Poi, dopo un attimo, la paura non c’è più perché hai raggiunto la quota o sei arrivata nelle acque cristalline del mare.

Oggi vi parlo di una canzone che ha come protagonista di una delle paure delle quali tutti siamo stati vittime almeno una volta nella vita, una paura alla quale non interessa l’età, perché ci fa tornare tutti tredicenni con i brufoli, con i ciuffi fucsia e vestiti discutibili. La paura di fare il primo passo.

Ritornano in rubrica i Pinguini Tattici Nucleari che, dopo aver parlato di Bergamo, ci deliziano con un pezzo uscito nel loro ultimo album, “Ahia!”, un pezzo che ci è difficile non ballare e cantare e che con suo rimo incalzante può facilmente farci trovare ubriachi a dichiarare il nostro amore a quella persona lì. Se non lo avete capito, la canzone in questione è “Scrivile scemo” in assoluto la mia preferita del nuovo album: un mantra da seguire, una luce guida.

“Scrivile scemo, stanotte non dormi
Tu chiamali sogni, ma sono ricordi
Scrivile scemo, è colpa del vino
Se basta uno sguardo e ritorni bambino”

Allontaniamoci per un attimo dalle storie d’amore lunghe e durature, dalle relazioni folli e impossibili, dagli amori persi per un pelo e da quelli che tirano da anni la corda ma non si spezza mai. Torniamo con i piedi per terra e pensiamo a quelle migliaia di “Ti amo” mai detti, a tutte quelle parole sospese a mezz’aria. A quegli sguardi che si accendono e diventano vivi solo dopo qualche bicchiere di vino, quando le paure ci sembrano scomparire e ritorniamo per un attimo bambini. Come i bambini, ci buttiamo: non abbiamo paura di fare domande, di abbracciare quella persona, di metterci a ballare in mezzo ad un locale. Come i bambini diciamo la verità e i nostri occhi parlano più di qualsiasi lettera mai scritta quando eravamo sobri. E poi, quando ritorniamo in noi, quei ricordi diventano preziosi, come i sogni che custodiamo nel cassetto.

Tutte quelle parole che “pesano e uccidono” e “ballano dentro la bocca un ritmo cubano”, che sono ferme piantate nella gola e che non riusciamo a dire perché abbiamo paura. Paura di che cosa poi? Di rovinare tutto. Di essere un giorno inseparabili e il giorno dopo due persone che vanno per le loro strade.

“Scrivile scemo tre parole in croce, poi scappa lontano e poi perdi la voce”

Non deve essere per forza un monologo d’amore o una dichiarazione da film, spesso quello che ci manca di più è sentire qualcuno che ci chieda semplicemente come stiamo o com’è andata la giornata. Un messaggio, un meme, un piccione viaggiatore, qualsiasi cosa, tre parole in croce che ci fanno capire che in questa vita, in questa sfiga, non è tutto perduto. E come a noi farebbe piacere leggere ogni tanto un “come stai?” o un “sei arrivata a casa?”, sono sicura che là fuori c’è una persona che sta aspettando proprio quel messaggio da noi. Noi che siamo qui a litigare con il cellulare, a scrivere e cancellare, a pensare a tattiche della serie: questa sera gli scrivo, ma domani no perché deve iniziare lui.

“Scrivile scemo un finale migliore per quella puntata della Melevisione,
interrotta da torri che andarono in fiamme e bimbi che facevano domande”

Quella puntata della Melevisione la ricordiamo tutti, abbiamo ben presente dove eravamo e cosa stavamo facendo. Ecco quello del quale abbiamo paura. Che ogni volta in cui ci esponiamo, finisca tutto maledettamente interrotto come quando aspettavamo Tonio Cartonio e invece è arrivata l’edizione speciale del TG. E se fosse che per una volta il finale andasse diversamente? Perché poi dobbiamo sempre e solo pensare a quella puntata?

“E metto Bon Iver se sono giù,
e lo pronuncio sbagliato proprio come fai tu
e scusa per l’ansia, mi mangia da dentro
e per il cane che scappa con il cancello aperto”

Così crediamo di risolvere il problema del nostro nodo alla gola creando playlist deprimenti, mangiando gelato al cioccolato e pensando che sicuramente la persona che amiamo starà girando per la città con una ragazza sicuramente più bella di noi, più simpatica di noi, più intelligente di noi, che ha un lavoro più bello del nostro e sicuramente più impegnata culturalmente. Noi ci vediamo solo come un groviglio di ansia e di insicurezze, abbiamo così troppe cose nella testa, così tante imperfezioni che nelle nessuno mai ci manderebbe un mazzo di fiori o un regalo inaspettato. Quelli sono per le persone speciali, che non hanno paura. Io, ad esempio, ho davvero un Jack Russell di quattro mesi che scappa se lascio il cancello aperto e pronuncio sbagliato Bon Yver, specialmente la domenica, specialmente quando ascolto le sue canzoni nelle mie playlist create appositamente con l’obiettivo di scioglierlo questo nodo ma invece si rinforza sempre di più.

Non siamo bravi a fare restare chi ci vuole bene, però sappiamo aspettare. Ma a volte, però, vale la pena rischiare. Quindi, cari lettori con quel nodo in gola, con quei punti esclamativi che vi si leggono sulla fronte, prendete quel telefono e scrivete, se è quello che vi fa stare bene e se è quello che vi fa sentire più liberi. Poi, schiacciate play, lasciate in disparte Bon Yver e ascoltate questa canzone, vi ritroverete a ballarla come se foste in mezzo alla sala di una birreria, un sabato sera.