A tu per tu con la giovane cantautrice classe ’98, fuori con il suo disco d’esordio intitolato “SOS”
A pochi mesi di distanza dalla nostra precedente intervista realizzata in occasione del lancio del singolo “Tre assassine”, ritroviamo con piacere Valeria Fusarri, in arte Ciao sono Vale, per parlare dell’album che segna il suo esordio discografico, intitolato “SOS”. Un viaggio introspettivo e personale che assume una valenza universale, un lavoro prodotto da Matteo Costanzo per Honiro Ent, disponibile in streaming e su tutte le piattaforme digitali a partire dallo scorso 24 gennaio. In scaletta dieci canzoni che affrontano tematiche differenti ma tra loro collegate, che raccontano i pensieri e il malessere di una ventunenne in maniera chiara ed esplicita, con un linguaggio rigorosamente plurigenerazionale, piuttosto ispirato e trasversale.
Ciao Valeria, bentrovata. Partiamo dal tuo album d’esordio intitolato “SOS”, che tipo di segnale hai voluto lanciare attraverso queste dieci canzoni?
«”SOS” è l’acronimo di “save our souls“, che tradotto in italiano significa “salvate le nostre anime”, il mio è quasi un grido di rivolta per cercare di mandare un messaggio, magari farmi portavoce di persone che non riescono a parlare dei propri problemi. La mia è una richiesta di aiuto, un segnale affinché ciascuno possa aprire ulteriormente la propria mente, per dare speranza e futuro alla mia generazione, ma non solo. Ultimamente manca tutto questo, aiutateci e aiutiamoci ad essere meno razzisti, omofobi e sessisti, meno violenza psicologica, il mio è un grido per aiutare tutta questa gente che vuole poter tirar fuori tutte queste emozioni, ma in qualche mondo si sente bloccata».
Prodotto da Matteo Costanzo per Honiro Ent, l’ho trovato un disco davvero interessante, è un manifesto, più di quanto tu possa immaginare, perché è vero che racconti di te, del tuo sentirti diversa, ti assicuro che proprio per questo motivo assume una valenza universale. Riguardo il processo creativo, com’è stato tirar fuori questo tipo di tematiche? Immagino non sia stato facile…
«No, non è stato assolutamente facile, anche perché sono partita cinque anni fa da tutto un altro genere, ero sicuramente più superficiale, avevo paura a tirar fuori quello che sono realmente, perché quando sei più giovane ti lasci un po’ intimorire dalla cattiveria che c’è in giro, per cui fai fatica a liberarti. Personalmente mi sono impegnata tanto, ma adesso che ci sono riuscita non mollo, perché davvero tutto quello che ho realizzato insieme a Matteo e il mio team mi identifica, mi rappresenta al 100%, sono veramente contenta di questo risultato, perché rappresenta il primo passo verso qualcosa che, magari, si potrà creare».
Ti va di raccontare brevemente traccia per traccia? Perché alla fine credo che le canzoni vadano ascoltate, ma in un’epoca così frenetica dove ciascuno di noi ha sempre meno tempo da dedicare a sé stesso e in questo caso alla musica, penso che le canzoni vadano anche un po’ indotte, invogliate…
«Assolutamente sì. La prima traccia si intitola “Delay”, uno dei pezzi secondo me più riusciti, che ho scritto in quindici minuti, le parole sono uscite una dietro l’altra, quasi in freestyle, uno dei pezzi che mi rappresenta di più, aver avuto la possibilità di presentarlo sul del Primo Maggio è stato incredibile. “Superficiale”, a dispetto del titolo, parla del mondo come lo vedo io, un invito a tirare fuori noi stessi. “Tre assassine” credo sia il testo più bello di questo album, scritto insieme a mia sorella, un pezzo che per me ha un’importanza che và oltre ogni cosa, perché ci tengo a trasmettere un messaggio ben preciso riguardo alle malattie mentali, non bisogna mai sottovalutarle, così come screditare le persone che soffrono di questo genere di patologie.
“Giorno buio” affronta un mio momento di down, il tutto impreziosito da una base che parla da sola e che si sposa alla perfezione con le parole. “Cliché” parla in maniera un po’ astratta dell’amore, l’ho scritta pensando e immaginando una storia logora arrivata alla fine del suo ciclo vitale. “I’m paralyzed” racconta del sentirsi paralizzati dai preconcetti e dai giudizi delle persone, uno dei pochi pezzi cantati, tra i più personali per me, così come “Margherita”, un pugno nello stomaco, l’ho scritta pensando a mia nonna, scomparsa qualche anno fa per via dell’Alzheimer, anche se il testo può essere declinato a varie situazioni, ciascuno può identificarsi come meglio crede.
“Là fuori” è un altro bel viaggio introspettivo, l’ho scritto alla fine di un rapporto di amicizia, è stato un po’ uno sfogo, perché a volte ci fidiamo delle persone sbagliate, diamo troppo a chi non lo merita. Per questo pezzo ci tengo a ringraziare Marco Masini che mi ha dato un bel po’ di consigli per quanto riguarda la melodia, cambiare e spaziare qualcosa, un aspetto su cui lavorerò di più d’ora in poi, visto che la fase di scrittura ormai è ben rodata. “Singolo d’amore” è il brano più pop dell’album, il contenuto è un pochino più leggero, uno di quei pezzi che può arrivare a chiunque, comodo per tutte le situazioni. Infine, “Non rispondi al cellulare” l’ho scritto in un momento in cui ero in lite con la mia ragazza, sottolineando l’importanza di non dare mai per scontate le persone che ti stanno accanto».
Per concludere, c’è una lezione in particolare che hai appreso dalla musica?
«Essere me stessa, la musica mi ha dato la libertà di mettermi a nudo davanti a tutti, cosa che prima non riuscivo a fare. Scrivere e buttare già i miei pensieri attraverso le canzoni mi ha fatto sfogare, mi ha permesso di accettare determinate situazioni. La musica mi ha preso per mano e mi ha permesso di mostrare al mondo chi sono veramente, ad essere se stessi non si ha mai nulla da perdere, poi come và và».
Nico Donvito
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