venerdì 22 Novembre 2024

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Cordio: “Cerco di andare più in profondità senza restare troppo in superficie” – INTERVISTA

A tu per tu con il giovane cantautore catanese, in uscita con il singolo “Almeno tu ricordati di me”

Dopo averlo conosciuto in occasione della sua partecipazione a Sanremo Giovani (qui la nostra precedente intervista), ritroviamo Pierfrancesco Cordio per parlare del suo nuovo singolo intitolato Almeno tu ricordati di me”. Il brano, scritto a quattro mani insieme a Simone Pavia, prosegue idealmente il percorso intrapreso con il precedente La nostra vita e anticipa l’uscita del suo primo progetto discografico, edito da Mescal, di prossima pubblicazione.  In occasione del lancio di questa nuova bella canzone, abbiamo raggiunto telefonicamente l’artista, che possiamo tranquillamente considerare come una delle più promettenti e giovane promesse del nostro cantautorato.

Ciao Pierfrancesco, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Almeno tu ricordati di me”, cosa racconta?

«Racconta di quando ti ritrovi a condividere una serie di esperienze con qualcuno che poi, per mille motivi, perdi di vista. Parla del bisogno umano del continuare a vivere nei ricordi delle persone, del desiderio di non essere dimenticati e della mia incapacità nell’affrontare la fine delle cose, spesso cerco di non approcciarmi a determinate situazioni consolandomi in un ricordo che, in maniera astratta, rende eterne le cose che hai vissuto».

Già nel precedente singolo hai affrontato il concetto dello scorrere frenetico di questo nostro tempo, restare impressi nella memoria di qualcuno con cui abbiamo condiviso qualcosa di importante è un bel messaggio, per certi versi può rappresentare oggi un’utopia? 

«Non è un’utopia, ma credo che siamo tutti un po’ in pericolo, viviamo in una tale frenesia che ci rende distratti e timorosi della profondità, in balia di troppa superficialità. In qualsiasi momento, ormai, guardare il cellulare è diventato un modo per evadere dai propri pensieri, rimandare riflessioni importanti. Continuando a vivere così si rischia che le cose si perdano, fermarsi a pensare significa lasciare sedimentare le cose a cui teniamo, far sì che non vengano spazzate via».

Rispetto a “La nostra vita”, quali analogie riscontri? 

«La principale analogia è quella che hai colto anche tu, il desiderio di scambiarsi qualcosa di vero e di abbattere il muro del tempo, lasciarsi trasportare dalle cose importanti. Normalmente al venerdì sera si esce si va a bere una birra, tra gli argomenti che vengono fuori si parla di chi sarà il nuovo allenatore della Juventus e si commentano i nuovi giudici di X Factor, ma cosa resta di questo genere di conversazioni? Personalmente mi piacciono molto i confronti, amo parlare con le persone di tematiche che abbiano un peso, i miei amici mi prendono in giro perché davanti ad una birra parlo di esistenzialismi cosmici, cerco di andare più in profondità senza restare troppo in superficie».

L’estate è alle porte, in un momento in cui gli artisti si mettono in costume e propongono il proprio tormentone tu ti sei vestito con un bell’abito elegante. Andare controcorrente può rappresentare un modo per essere ricordati?

«Penso proprio di sì, personalmente non vado controcorrente per scelta o perché voglio necessariamente fare l’alternativo, cerco solamente di essere me stesso. Nel caso specifico di questa canzone ho cercato di raccontare un pensiero nostalgico che, magari, può accompagnare anche qualcuno di ritorno dal mare, perché no? “Almeno tu ricordati di me” me la immagino da ascoltare alle sette, quando il sole sta per tramontare, con la pelle che sa ancora di sale e l’asciugamano per non bagnare i sedili della macchina».

Alle volte si tiene conto un po’ troppo della social media strategy e delle tendenze del mercato…

«Ma sai che secondo me non paga? Le canzoni che colpiscono il pubblico nel repertorio di un artista sono sempre quelle più vere che, puntualmente, rimangono poi nel tempo e superano le varie stagioni. Da fruitore di musica, ho bisogno di sapere che il piatto che propone un determinato cantante è fatto con i pomodorini del suo orto, se mi offre da mangiare prodotti surgelati o finti io me ne accorgo. Di conseguenza, quando realizzo le mie canzoni ragiono pensando che, alla fine, le persone la pensino ancora come me, perché c’è fame di musica biologica a chilometro zero».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip?

«Il video è stato realizzato dai Cinepila, un collettivo di Catania strepitoso, dei ragazzi talentuosissimi, pieni di creatività e cultura. Secondo me hanno realizzato un piccolo capolavoro, questo video lo amo perché esprime quel senso di eternità tipico del condividere esperienze di vita con gli altri, racconta sia quei momenti che la fase successiva, l’attimo in cui subentrano i ricordi, la malinconia a cui si va incontro quando ci separa, l’inevitabilità. E’ un video che lascia volutamente libera interpretazione a chi lo guarda, lo considero più evocativo che narrativo e questo lo trovo molto poetico».

Che ruolo ha la musica nella tua vita? Come scandisce il tuo quotidiano?

«Abbastanza centrale, quasi l’unica cosa che faccio. Mi sveglio pensando alla musica, scrivo o canticchio qualcosa, all’interno di una mia giornata tipo ascolto almeno un disco per intero di un artista che mi piace e suono per diverse ore. Il mio è un rapporto abbastanza morboso, la musica è la mia fidanzata (ride, ndr)».

Coltivi altre passioni?

«Si, ma decisamente più deboli. Pratico sport, gioco a tennis e vado a correre. Amo passeggiare, guardare film e leggere. Mi piacciono i romanzi, in particolare quelli russi, il mio regista preferito è Wes Anderson e l’ultimo film che ho visto “L’isola dei cani”».

Ermal è una figura importante nel tuo percorso, se potessi “rubargli” una sua canzone quale sceglieresti e perché?

«Non è una scelta facile. Guarda, c’è un pezzo del 2010 inciso con “La fame di Camilla” che si intitola “Sperare”, racconta una sorta di contraddizione tra l’inquietudine e la voglia di essere felice, sembra scontato optare per quest’ultima ma, a volte, restare nella tristezza è molto più comodo. Del suo repertorio da solista, invece, apprezzo molto “Umano”, perché parla dell’anima e mi tocca ogni volta che l’ascolto».

A distanza di un po’ di mesi, cosa ti ha lasciato l’esperienza di Sanremo Giovani? 

«Mi ha mostrato quanto devo ancora studiare (sorride, ndr), mi ha lasciato in qualche modo impreparato, ho capito quali sono le cose su cui devo maggiormente lavorare, sia in termini di scrittura che di interpretazione. Misurarsi con un’esperienza del genere ti aiuta a comprendere e trovare la tua giusta collocazione, personalmente ho avvertito la sensazione di non riuscire ad esprimere un determinato concetto come avrei voluto, mi è rimasta un po’ questa amarezza, la sensazione di dover fare ancora dei passi in avanti. La considero una cosa bellissima, perché mi ha spinto a riflettere e ad affrontare al meglio il mio processo di crescita».

Sai che non l’avrei mai detto? L’idea che mi dai è quella di un artista che ha già una propria base di identità, invece mi stai dicendo che ne sei ancora alla ricerca?

«Mi fa piacere quello che dici, il punto è che la mia identità cambia nel tempo, il mio obiettivo è quello di esprimermi per quello che sono adesso. Una ricerca che, di conseguenza, mi porterò dietro per tutta la vita».

Dove desideri arrivare con la tua musica?

«Fondamentalmente non credo di avere un’ambizione particolarmente originale, desidero arrivare dove sono arrivati i cantautori che mi hanno preceduto, ossia nel cuore delle persone e far sì che la mia musica possa essere uno strumento di conforto».

Ti reputi ambizioso?

«In termini di fama no, la mia speranza è di condurre una vita normale, uscire e farmi una passeggiata, cercare in giro la giusta ispirazione».

Come sarà la tua estate 2019?

«Tra pochi giorni partirò per il Canada con Ermal Meta, faremo una data a Toronto e poi qualche giorno di vacanza, poi penso di tornare in Sicilia a trovare la mia famiglia e gli amici. Non sono uno che ama viaggiare, mi reputo un po’ un orso, starei a casa mia 365 giorni l’anno, di natura sono purtroppo molto ancorato alle mie quattro mura. Trasferirmi a Milano mi è servito ad aprirmi mentalmente, ma non ho ancora girato tantissimo».

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere? Stai lavorando ad un album?

cordio la nostra vita«Non posso spoilerare molto, l’album è pronto e a breve sceglieremo la data d’uscita, nel frattempo continuo a scrivere e sono al lavoro già del prossimo, non ti nego che mi piacerebbe scrivere anche per altri, come mi è già capitato di fare per la prima volta con Einar, che ho conosciuto proprio a Sanremo Giovani. Abbiamo parlato molto, lui si è aperto con me, così è nata una canzone che si chiama “Lo stesso di sempre”, in cui ho cercato di raccontare le sue confidenze, ma anche un po’ del mio vissuto. E’ stata una bella esperienza che mi piacerebbe ripetere anche con altri artisti, magari in maniera così spontanea e naturale. Abbiamo interpreti eccezionali, ad esempio mi piacerebbe tantissimo scrivere un pezzo per Malika Ayane, che reputo straordinaria».

Per concludere Pier, quale significato attribuisci oggi alla parola “artista”?

«Gli artisti per me sono esseri umani dotati di un’antenna recettrice, di una particolare sensibilità nel cogliere l’ispirazione per tradurla fedelmente nella loro musica. Non esistono persone vuote, tutti abbiamo la nostra idea sulla realtà e sul mondo che ci circonda, la differenza e la bravura di un artista stanno nel saper intercettare un pensiero».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.