A tu per tu con il giovane cantautore siciliano, in uscita con il disco “Ritratti Post Diploma Vol. II“
Tempo di nuova musica per Pierfrancesco Cordio, meglio conosciuto semplicemente come Cordio, artista che abbiamo avuto modo di apprezzare in questi anni a partire dalla sua partecipazione a Sanremo Giovani 2018, oltre che per i successivi bei singoli “Almeno tu ricordati di me“ e “Il paradiso“. In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro, intitolato “Ritratti Post Diploma Vol. II”, abbiamo raggiunto via Skype l’artista catanese per approfondire la conoscenza della sua visione musicale.
Ciao Pierfrancesco, bentrovato. Vorrei cominciare questa chiacchierata con te parlando dal tuo ultimo progetto discografico intitolato “Ritratti Post Diploma Vol. II”, dato il titolo ti chiedo: cosa hai voluto dipingere attraverso i versi e le note di questo affresco musicale?
«Sono cinque canzoni che dipingono cinque circostanze in un modo, credo, abbastanza nitido. Cinque ritratti di persone e di sentimenti legati al passato, a delle circostanze emozionali che ho vissuto. Queste canzoni nascono da un’esigenza personale d’espressione, cercano di risolvere dei miei conflitti interiori. Penso che le canzoni che nascono in questo modo, possano essere d’aiuto anche agli altri. I pezzi che più mi piacciono degli altri artisti sono quelli che, probabilmente, hanno scritto per se stessi, con l’intenzione di chiarire e di curare i propri conflitti e la propria interiorità».
Chi ha lavorato con te alla realizzazione di questo lavoro?
«La produzione artistica è stata curata da Ermal Meta, ad esclusione di “Fuori dal Blues” che è stato prodotto da Giordano Colombo. Da sempre lavoro con Simone Pavia, il chitarrista che mi accompagna durante il tour. A parte una serie di musicisti che hanno contribuito all’intera realizzazione del disco, sono presenti i Gnu Quartet che hanno suonato gli archi nei brani “Martina fa la Guerra” e “Musica su Marte”».
Hai definito più volte la tua scrittura ritrattistica, arrivati esattamente a questo momento preciso del tuo percorso, che periodo artistico stai vivendo? Come lo definiresti, impressionista, realista, futurista, cubista…
«L’impressionismo mi ha sempre affascinato, perché al suo interno c’è l’intenzione di catturare l’essenza con l’impressione, che è un po’ quello che cerco di fare nelle mie canzoni. Nel parlare di cose molto specifiche, cerco di cogliere un senso che sia più generale. Sono canzoni molto intime e autobiografiche, volte ad approfondire qualcosa di più importante, a cogliere l’essenza di uno stato d’animo o di un sentimento, e non semplicemente per raccontarmi in prima persona».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, ti chiedo, c’è un stato un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?
«Sì, probabilmente ce ne sono stati tanti. Se devo risalire a un momento preciso, mi viene in mente un concerto di Niccolò Fabi, in cui ho provato talmente tanta invidia (sorride, ndr), ma non per lui che in quel frangente era al centro dell’attenzione come artista, bensì per tutti coloro che lavoravano per realizzare quella cosa lì, per i musicisti, i tecnici e gli organizzatori. In quel momento ho capito che non volevo partecipare alla musica come spettatore, bensì contribuendo in qualsiasi forma allo spettacolo».
Da fruitore, invece, come descriveresti il tuo rapporto con la musica? Ascolti di tutto o tendi a cibarti di un genere in particolare?
«Ascolto tanta musica italiana, cerco di farmi una cultura specialmente sulla musica cantautorale, che è un po’ il mio pane. Ultimamente sto facendo una ricerca sui cantautori siciliani, li sto ascoltando in modo abbastanza coninuativo per trovare delle caratteristiche comuni, passo da Franco Battiato a Carmen Consoli, fino ad arrivare ai più recenti Colapesce e Dimartino. Il posto in cui nasci spesso influenza la tua scrittura, spesso si parla di “scuola romana”, “scuola bolognese” e “scuola genovese”, credo molto in questa cosa, personalmente sto cercando di trarre delle conclusioni ascoltando i dischi dei miei conterranei, per capire il loro fil rouge».
Veniamo all’attialità, alla situazione e all’emergenza che stiamo vivendo, la pandemia del Coronavirus ha mutato, seppur momentaneamente, il nostro quotidiamo. Tu, personalmente, come stai affrontando questo momento?
«Guarda, io sono indubbiamente fortunato, componendo canzoni gran parte del mio lavoro lo riesco a fare in casa. Ascolto dischi, studio pianoforte, scrivo pezzi e li registro, ho praticamente tutto quello che mi serve per lavorare, di conseguenza sto soffrendo questa clausura forzata sicuramente meno rispetto ad altre persone. Sto empatizzando tanto con chi si ritrova a non avere i propri spazi, a chi non può continuare a svolgere la propria attività. Nel mio piccolo cerco di contribuire, la scelta di pubblicare queste canzoni in questo momento è il mio modo per dare una mano. La musica, per me, è una cura per lo spirito, mi fà stare bene e mi permette di viaggiare, spero possa fare altrettanto anche per gli altri».
E’ prematuro parlare di conseguenze precise, ma quale impatto emotivo credi che avrà tutto questo sulle nostre vite? Ne usciremo davvero migliori come dicono?
«Non lo so, penso che ognuno di noi, dopo questo periodo, potrà stilare la sua personale lista dei motivi per cui è stato utile fermarsi. Credo che ciascuno, se si sarà un po’ ascoltato, potrà trovare anche un solo aspetto per cui è servito fermarsi a pensare, a contemplare quello che finora si è fatto, a ragionare su quello che è accaduto fuori, sulla direzione che ognuno di noi sta prendendo nella propria vita».
Per concludere, a chi si rivolge la tua musica oggi e a chi di piacerebbe arrivare in futuro?
«A chi mi rivolgo di preciso non lo so, sicuramente una gran parte delle persone che mi seguono arrivano dal pubblico di Ermal, perché ho aperto tre suoi tour, è chiaro che la gente che è andata a sentirlo almeno una volta mi avrà visto (sorride, ndr). Per il resto è un po’ un’incognita, ho la sensazione di rivolgermi ai miei coetanei, anche basandomi su alcuni dati ad esempio di Spotify. Non a caso “Ritratti Post Diploma” suggerisce il periodo della vita di cui parlo, ma fondamentalmente può ascoltarmi chiunque, dal quattordicenne al quarantenne. Probabilmente chi ascolta la mia musica ha una predilezione per il fermarsi a riflettere, perché le mie sono canzoni abbastanza riflessive».
Nico Donvito
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