“Dalla A alla Z”: F come Tiziano Ferro

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla F come Tiziano Ferro. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla F, F come Tiziano Ferro.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: F come Tiziano Ferro
«Nasce dal colore di una rosa appassita un’altra vita» e lui, che non è mai stato un bravo giardiniere, un’altra vita è riuscito a costruirsela mattone dopo mattone, da Latina a Los Angeles. Potrebbe sembrare un paragone azzardato, ma l’artista della puntata di oggi è un po’ come Adele.
Ha preso per mano la depressione e le sofferenze dopo le delusioni in amore, non ha lasciato che lo corrodessero e le ha trasformate in canzoni ebbre di sentimento. Canzoni da ascoltare con il volume a palla, alcune ballando e muovendoti a tempo e altre piangendo mentre stoni sul ritornello con il vicino del piano di sopra che batte veemente la scopa sul pavimento per farti smettere.
Canzoni che poi, passata la tempesta, leniscono le ferite perché ti fanno realizzare che anche se fuori è buio, nessuno è solo. Notizia è l’anagramma del suo nome che inizia con la lettera F, F come Tiziano Ferro.
«Sei sempre stato più forte tu, probabilmente dovrò esserlo io di più». Si chiude così la struggente “In mezzo a questo inverno”, estratta come singolo dall’album “Accetto miracoli” del 2019. Si rivolge al maschile perché non apprezzava troppe smancerie, ma la destinataria di questo toccante elogio, composto poco dopo la sua scomparsa, è nonna Margherita.
Era lei a ripetergli sempre che «chi cerca trova, ma chi non trova cerca troppo e a forza di cercare cade giù», lo canta in un pezzo del 2003 che si chiama proprio “Mia nonna”. Contenuto nel disco “111”, nell’ordine delle tracce, anticipa una pietra miliare della discografia di Tiziano che mi spinge ogni volta che elenco qualcosa ad aggiungere immancabilmente – e senza alcun nesso logico – case, libri, auto, viaggi e fogli di giornale: “Non me lo so spiegare”.
Alla nonna è talmente legato che ci convive per un periodo all’età di diciotto anni, quando non riesce ad andare d’accordo con i genitori. È una fase estremamente complessa quella dell’adolescenza. Le parole hanno un peso, si apre così il monologo che recita ospite da Fazio. E per lui che pesava “Centoundici” chili di fantasia, ne hanno sempre spese di orribili.
Quel ragazzino solo, alla ricerca di qualcuno che lo consideri il suo “Valore assoluto”, si rifugia nella musica che non lo lascia mai, a differenza di chi lo abbandona nel momento del bisogno per poi tornare come una falena accecata dalle prime luci della fama e dire in giro: “Sono amico di Tiziano”. Peccato che tutti i nodi vengano al pettine e nella vendicativa “Ti voglio bene”, la falena venga smascherata. Ma era amicizia o amore? Il confine è spesso labile e il tema lo approfondirà soltanto più avanti con “Amici per errore”.
Dopo innumerevoli tentativi di fare breccia nei cuori (e nei portafogli) dei discografici, rigorosamente andati a vuoto, nel 2001, i produttori Mara Maionchi e Alberto Salerno – che lo conoscono ad Area Sanremo nel 1997 – si decidono a puntare su di lui e il resto è storia. A giugno debutta “Xdono” ed esplode subito il fenomeno Tiziano Ferro. In poche settimane, si ritrova primo in tutta Europa e, pochi mesi dopo, il successo investe anche la famiglia. Sua cugina ha infatti il privilegio di dire a chi incontra che è lei la Paola di “Rosso relativo”, l’iconico pezzo che fa da titolo anche al primo album. Un album che vende la bellezza di due milioni e mezzo di copie.
La critica storce il naso, pensa sia l’ennesimo accalappia-ragazzine, ma a lungo andare si lascia conquistare da questa originale commistione tra pop e R&B contemporaneo. Con il tempo, esplora anche altri generi, ma quella particolare forma di rhythm and blues diventa il suo marchio di fabbrica più riconoscibile che rimette in gioco anche nell’ultimo decennio come nel recente duetto con Elodie del 2024 “Feeling” e in “Senza scappare mai più”, l’inedito che accompagna l’uscita della raccolta “TZN – The Best of Tiziano Ferro” del 2014.
Al suo fianco è sempre presente il noto producer Michele Canova che lo segue in ogni sua svolta come quella più elettronica di “Stop! Dimentica” in cui affronta la difficoltà di superare i traumi del passato e il tributo “E Raffaella è mia” che lo vede sfociare quasi nella dance. Entrambi i brani sono estratti dall’album “Nessuno è solo” del 2006, certificato disco d’oro addirittura in Venezuela.
Ma nella sua carriera, non mancano naturalmente le canzoni prettamente pop come “Indietro”, la hit composta con Fossati nel 2008, e “Lo stadio”. Spazio anche ai tormentoni estivi: “Lento/veloce” che nel 2016 diventa la colonna sonora dello spot Cornetto Algida, “Balla per me” in coppia con Jovanotti e “Destinazione mare” del 2023. Poi c’è la sfumatura folk di “Incanto” e rock di “La differenza tra me e te”, un pezzo che mi riporta alla quinta elementare quando la canticchiavo in continuazione con il mio compagno di banco. E per non farci mancare nulla, anche lo swing di “Hai delle isole negli occhi” e la bossa nova di “TVM (ti voglio male)”.
Tra tutti questi steli che costituiscono la sua anima artistica, però, ne manca ancora uno. Sul capo di Tiziano poggia infatti una corona da re, il re delle ballate. Non per altro, il suo pezzo più famoso in assoluto è uno straziante ma liberatorio inno per cuori infranti. Il suo ritornello non lo si canta, lo si urla perché non esiste colonna sonora migliore di “Sere nere” per una notte insonne trascorsa in lacrime sul divano come una Bridget Jones qualsiasi perché la persona che diceva di amarti ti ha appena lasciato. Ogni volta che una storia d’amore finisce, crea una power ballad per sfogarsi e noi ci sfoghiamo insieme a lui: da “Ti scatterò una foto” e “L’ultima notte al mondo” fino al rancore per aver dato tutto a chi non se lo meritava di “Troppo buono” e al sofferto condizionale di “Potremmo ritornare”, singolo apripista del disco “Il mestiere della vita” del 2016.
In queste ballate, però, non c’è solo il dolore, c’è anche la dolcezza. Ci sono le dediche spassionate come la romantica “Il regalo più grande” e le pacche sulla spalla di “Alla mia età” e “La vita splendida”. Ci sono i sorrisi che tornano a espandersi sul suo volto grazie ai figli Margherita, che omaggia in “Mi rimani tu”, e Andreas, di cui possiamo sentire la vocina in “A parlare da zero”. «Neanche ti sognavo perché ti negavano a chi è come me», canta nella commovente “La prima festa del papà”, estratta dall’ultimo album “Il mondo è nostro” del 2022.
Può sembrare complesso, serve una dose straripante di empatia per capire le proprie emozioni e quelle dell’altro – come racconta insieme a Carmen Consoli in “Il conforto” – ma in fin dei conti «è quel vento che ti porti dentro e quel destino che nessuno ha mai scelto».
In fin dei conti, “L’amore è una cosa semplice”. E così è la vita, una specie di corsa ad ostacoli che ci spettina. Eppure la vogliamo cantare anche quando l’orchestra scompare, consapevoli che nonostante le rose continuino imperterrite ad appassire, per tutto quello che faremo, noi “Abbiamo vinto già”.