“Dalla A alla Z”: Z come Zucchero

Zucchero

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla Z, Z come Zucchero. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera Z, Z come Zucchero.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: Z come Zucchero

La sua stazza è imponente, come quella di una vecchia stella del rugby che ha esagerato con il Lambrusco o di un contadino che lavora la terra da una vita intera. Da sempre in prima linea, combatte con un panino al salame la piaga dell’addominale scolpito come unica forma di fisicità accettata. 

Un corpo possente per una voce altrettanto ingombrante. L’artista della puntata di oggi intimorisce, ma cela al suo interno sorgenti inestimabili di dolcezza e può diventare addirittura più leggero di una piuma perché quando inizia a cantare, ti fa volare e poi ti accompagna rinato a un’inedita destinazione tutta da scoprire: una città invisibile metà Emilia e metà Mississippi. Il suo nome inizia con la Z, Z come Zucchero.

A Reggio Emilia, la resistenza al fascismo assume una sfumatura di valore diversa. È per un mondo libero, un sogno libero e un canto libero che si sono arruolati in migliaia e in centinaia sono caduti durante la seconda guerra mondiale. È a loro che Adelmo Sugar Fornaciari dedica “Partigiano reggiano”, una canzone manifesto del 2016 sulle libertà non ancora raggiunte. Oltre ad anticipare il suo tredicesimo album “Black cat” che contiene la hit “13 buone ragioni” e in cui collabora con il mito Mark Knofler, il brano sancisce il suo ritorno al primo amore, il blues rock.

Come tanti altri giovani, Zucchero – il nome glielo dà la maestra delle elementari stregata dalla sua tenerezza – cresce ispirandosi ai miti di Elvis e Jerry Lee Lewis. Si innamora del loro genere, lo contamina con altri stili come il pop, e scoppia un roboante amore nei suoi confronti che lo porta a vendere la bellezza di oltre 60 milioni di dischi in quarant’anni di carriera. Ascoltando quel ritmico pezzo di nove anni fa, la memoria torna al 1995 e all’iconico album “Spirito DiVino”. Al suo interno c’è il grande successo “Per colpa di chi?”, irresistibile brano dalle sonorità funk in cui cita il canto simbolo dei partigiani “Bella ciao”, ma trova spazio, tra le tracce, un altro lato della sfaccettata anima di questo artista: quello più introspettivo, da orso buono.

In “Papà perché” si confessa a cuore aperto e racconta di come la morte del padre gli renda velate di malinconia anche le giornate più spensierate. Il cielo è blu e sereno, ma sente comunque un po’ di nostalgico blues in fondo agli occhi. Quel blu, sinonimo di tristezza, cambia tonalità di colore e si converte nel simbolo del più aulico degli amori in una canzone abusata dalle aziende nei loro spot natalizi, “Così celeste”.

Ma c’è un aspetto ancora più rumorosamente romantico sotto il suo cappello ed emerge in un pezzo del 1986 scritto da Gino Paoli che mi riporta a quando ero bambino, ai viaggi in macchina per andare in montagna, a quel disco di cover di Laura Pausini che ascoltavamo così tanto tra un tornante e l’altro fino a consumarlo. Un cd consumato come l’amore viscerale che ti entra nel cuore e te lo fa esplodere senza che tu faccia in tempo a disinnescare la bomba, quell’amore che canta Zucchero in “Come il sole all’improvviso”.

Quando esce il brano, è passato un anno dallo scandaloso penultimo posto al Festival di Sanremo che ancora oggi tutti rievocano per consolare i fanalini di coda della kermesse. Ed effettivamente rincuora perché, diciamoci la verità, se un mega tormentone come “Donne” viene bistrattato in quella maniera, significa realmente che le classifiche in fondo non contano a nulla. Sempre nell’85 esce il secondo album “Zucchero & The Randy Jackson Band”.

Un secondo disco che ci ricorda gli inizi con la band “I Duca” che fonda a soltanto tredici anni, nel rivoluzionario 1968, e con tutti gli altri gruppi che crea e con cui si esibisce fino al debutto da solista nei primi ‘80. Sono anni intensi quelli della gavetta, anni in cui si cimenta in lavori impegnativi e totalizzanti come il tornitore, il fornaio e il salumiere senza mai scordarsi del motivo per cui lo sta facendo.

Tutte queste fatiche, tutti i sacrifici in nome del grande sogno lo portano nel 1982 a calcare il palco dell’Ariston con “Una notte che vola via”. Com’è andata lo potete facilmente intuire, malissimo così come va male l’anno successivo e pure quelli dopo fino a quando capisce che non ha bisogno di esibirsi in riviera ligure per diventare una star. A Sanremo la incontra comunque la gloria, ma solamente come autore nel 2001 quando scrive l’incantevole “Luce (Tramonti A Nord Est)” per Elisa – che vince e di cui incide una versione vent’anni dopo nell’album “Discover” – e “Di sole e d’azzurro” per Giorgia che arriva seconda. 

Ma per quel che concerne il suo futuro personale, probabilmente, il “Diamante” della musica italiana stava solo sbagliando Festival. Il 1987 è infatti l’anno della definitiva consacrazione che avviene al Festivalbar con il disco “Blue’s”. Al suo interno ci sono pezzi che lo rendono noto a tutti gli italiani: da “Con le mani”, nata dalla nuova collaborazione con Paoli, fino alla provocatoria hit che invita a trovare nel sesso la panacea a ogni forma di bigottismo, “Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica”. Ma il boom vero e proprio con conseguente inaspettata fama internazionale, giunge con “Senza una donna”: un brano pop che analizza la disperata sensazione di non poter continuare a vivere senza la persona amata quando finisce una storia.

Proprio in quel periodo, Zucchero affronta la separazione dalla prima moglie. Mentre la carriera salpa a gonfie vele verso nuovi scintillanti porti, lui sprofonda in uno stato di depressione. E dopo aver sconfitto i demoni che non gli concedevano il lusso di dormire la notte, ritorna in carreggiata. Siamo nel 1989 quando pubblica “Oro, incenso e mirra”, l’album dei miracoli che ottiene la cifra spropositata di otto milioni di copie vendute, complice l’exploit di due canzoni riuscitissime: “Diavolo in me” e “Overdose (d’amore)” che riprende poi nel 2023 e nel 2024 in duetto con Salmo, facendole entrare nel cuore anche dei giovani perché questo fanno i grandi, azzardano e non chiudono le porte alle novità. Al tour dopo l’uscita del disco, accorrono ospiti del calibro di Joe Cocker e Ray Charles che si azzarda a definirlo uno dei migliori artisti blues. 

Sarà anche per questo uso creativamente randomico della lingua inglese di celentaniana memoria che tutti impazziscono per lui anche all’estero e gli regalano da trent’anni tour internazionali da tutto esaurito. A sancire le fortune fuori patria, contribuiscono due inestimabili privilegi: nel ‘92 è l’unico italiano invitato dai Queen per omaggiare il re Freddie Mercury in un concerto tributo, lo stesso anno canta con Pavarotti sulle note dell’epica “Miserere” e continua a farlo virtualmente anche dopo la morte dell’amico tenore in diverse occasioni, accendendo in questo modo lo “Spirito nel buio”, titolo di un suo pezzo gospel elettropop del 2019. 

Può sembrare banale e retorico, ma la musica è un super potere che dona vita anche laddove vita non c’è e accende tutte le luci senza mai farti pagare la bolletta. E questo super potere, Zucchero lo diffonde dappertutto con la sua arte perché anche se a volte non c’è pace per lui, come disse la marchesa camminando sugli specchi in “Vedo nero”, quando viene maggio scioglie le brine e semina le briciole del suo cuore – che “È delicato” – su tutti i palchi in cui suona. Il cuore sparpagliato di un partigiano reggiano che per il mondo se ne va.

Scritto da Francesco Costa
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