A tu per tu con il cantautore emiliano, in uscita con il suo settimo disco intitolato semplicemente “Dente“
Tempo di nuova musica per Giuseppe Peveri, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Dente, artista emiliano che vanta ben sei album alle spalle, più numerose esperienze autoriali (Arisa, Marco Mengoni, Chiara Galiazzo). Si intitola semplicemente “Dente” il progetto discografico che segna il suo ritorno, anticipato dai singoli “Anche se non voglio“, “Adieu“ e “Cose dell’altro mondo“. A tre anni e mezzo di distanza dalla pubblicazione del precedente disco “Canzoni per metà”, il lavoro che lo ha consacrato agli occhi di un pubblico più vasto, il cantautore parmense è pronto a lanciare il disco che inaugura l’inizio di un nuovo corso.
Ciao Giuseppe, partiamo dal tuo omonimo settimo album di inediti, decimo progetto discografico se consideriamo i vari EP pubblicati. Come mai hai deciso di intitolarlo semplicemente “Dente”? In genere è un tipo di scelta che ricade sulle prime opere…
«Ho deciso di chiamarlo come me proprio perché questa potrebbe essere la prima opera di una nuova fase della mia vita. Con il mio disco precedente ho chiuso un paragrafo che avevo aperto nel 2006 e che volevo si concludesse dieci anni dopo, con un lavoro che riprendesse in qualche modo il tipo di scrittura e le sonorità degli esordi. Quando ho scritto e registrato “Canzoni per metà” avevo già in mente ciò che sarebbe venuto dopo, anche se non avevo ancora i brani e non sapevo come realizzarlo, avevo ben chiara la direzione, l’idea di cambiare e di prendere un’altra strada. Sicuramente non è stato semplice trovare le condizioni e le persone con cui lavorare ai nuovi pezzi, non è stato facile trovare il giusto compromesso per poter cambiare rimanendo ancorato a quello che sono io».
Infatti, questo è il tuo album ad aver avuto la gestazione più lunga; è cambiato in qualche modo il tuo approccio alla lavorazione durante tutta la fase creativa?
«Sì, è cambiato tantissimo. Ho scritto più del solito, circa venticinque canzoni, per poi scegliere le undici contenute in questo lavoro. Decisamente è cambiato il modo di approcciarmi alla produzione del disco, perché all’inizio ero abituato a realizzarli da solo, in casa, con pochi mezzi, per poi passare alla band e al concetto di costruzione corale in sala prove, un po’ alla vecchia maniera, come si faceva tempo fa. Per quanto riguarda questo nuovo disco, il grande merito è di Federico Laini che lo ha prodotto, curandone tutta la parte creativa sin dall’inizio. Il risultato è moderno, molto contemporaneo, attraverso campioni, loop, ore passate al computer e notti insonni (sorride, ndr), il tutto con grandissima libertà, senza alcuna pressione, perché al momento della realizzazione non avevo alcun contratto, ho solamente aspettato di avere in mano il materiale giusto».
In questo clima di cambiamento, a livello di tematiche, cosa hai voluto raccontare?
«Ho sempre parlato molto di me, magari attraverso il racconto di storie d’amore o di cose che mi sono capitate, perché ho avuto una vita di relazioni abbastanza complicate e complesse, esponendo tutti i pensieri che mi sono passati per la testa e le sensazioni che ho avuto. Oggi parlo sempre di me, probabilmente meno attraverso quel tipo di sentimento, anche se è comunque presente all’interno del disco, però racconto di una persona che è cresciuta, che è diventata più matura e che, probabilmente, sta anche meglio rispetto al passato. Ho trovato una mia serenità, sotto tanti punti di vista, sicuramente sono diverso rispetto a dieci anni fa e riascoltando questo disco fra dieci anni mi piacerebbe provare la stessa sensazione, perché vorrà dire che c’è stata un’evoluzione».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Scrivere canzoni è una cosa bellissima, a volte viene di getto, in altre ti imbatti in veri e propri rompicapi. E’ diverso da canzone a canzone, la cosa più bella è la soddisfazione che avverti quando la si ritiene finita, quando si conclude perlomeno la fase di scrittura. A me è capitato di finire canzoni in mezz’ora, oppure di restare in sospeso per interi mesi per una singola frase che non mi convinceva, a volte è un po’ come un gioco di incastri affinché tornino tutte le parole e i concetti che utilizzi. Per un ascoltatore, magari, un verso o un altro non fà alcuna differenza, per chi la realizza invece è di vitale importanza e finché il puzzle non è completato, per quanto mi riguarda, non mi ritengo soddisfatto. Una canzone su cui ho lavorato tantissimo in questo disco è proprio “Cose dell’altro mondo”, ho cambiato tipo tre o quattro testi completamente diversi, ci ho lavorato tantissimo e sono molto contento del risultato».
Da fruitore, come definiresti il tuo rapporto con la musica? Ti reputi un ascoltatore versatile o tendi a cibarti di un genere in particolare?
«Sono un grandissimo ascoltatore di musica, prima ancora di suonare ho trascorso molti anni da semplice amatore. Ho sfiorato quasi la fobia del collezionismo, perché possiedo una vasta raccolta di dischi, dico sempre che la musica mi ha salvato la vita, anzitutto come ascoltatore, in seconda battuta come autore, però l’ho amata sin da subito, da quando ero un ragazzino e mi compravo le cassettine con la paghetta e le ascoltavo nella mia cameretta. Il mio rapporto con la musica è quasi di devozione, perché credo che sia riuscita a portarmi sino a qui come nessun’altra cosa abbia mai fatto in tutta la mia vita».
Sei uno di quei pochi artisti che oserei definire “reduce” perché non hai mai partecipato al Festival di Sanremo, una scelta o una casualità ?
«Mah, guarda, una serie di scelte, a volte mie a volte altrui. Ci sono stati momenti in cui era possibile presentarsi e non ho voluto io, altri in cui ho proposto un pezzo e non sono stato preso. Ho un rapporto un po’ strano con Sanremo, alcune volte l’idea di partecipare un po’ mi ha spaventato, altre volte invece ci sarei andato con grande serenità. Credo che sia un palco molto impegnativo e che vada vissuto in maniera molto poco complicata, se lo si vive con grande tranquillità può essere anche una cosa divertente da fare, se si prova in qualche modo un po’ d’angoscia, forse, è meglio rinunciare. Comunque sia, non mi reputo né favorevole né tantomeno contrario al Festival, la considero una grandissima vetrina, un giorno forse ci andrò, chi lo sà».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«La musica è molto varia, attraverso le sette note si possono fare veramente tantissime cose e credo che l’insegnamento sia proprio questo, soprattutto se rapportato alla nostra esistenza, perché ognuno di noi può vivere tante vite in una sola, possiamo decidere di cambiarla e di cambiarci, esattamente come si fà in uno spartito. Ecco, questo è quello che ho imparato dalla musica».
© foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
Nico Donvito
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