A tu per tu con il noto cantautore napoletano, in uscita con il nuovo disco intitolato “Non c’è“
Ci sono artisti che non solo superano la prova del tempo, bensì ne stravolgono anche le regole, proprio come nel caso di Edoardo Bennato, rocker d’autore che non ha bisogno certo di presentazioni. “Non c’è” è il titolo del suo nuovo progetto discografico in cui si amalgamano le riletture dei suoi grandi successi e i brani inediti presenti in scaletta, trovando un unico filo conduttore socio-temporale.
Ciao Edoardo, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo album “Non c’è”, un disco in cui presente, passato e futuro confluiscono nella tua coerenza artistico-musicale. Cosa hai voluto raccontare?
«Nel video dell’omonimo singolo c’è questa favola rock: il protagonista è un ragazzino che suona per strada, come fui costretto a fare io a suo tempo quando mi dettero il ben servito dopo l’uscita del mio primo album. A differenza mia, questo ragazzo rifiuta i contatti con la fauna collodiana della musica: gatti, volti, mangiafuochi e grilli parlanti, lui non vuole scendere a compromessi per il successo, pensa che il gioco non valga la candela. Io, invece, lo confesso pubblicamente, il successo l’ho sempre cercato e lo cerco ancora. Se realizzo un album come questo, lo faccio per raccontarmi, per dare buone vibrazioni agli altri. Le canzoni le scrivo spinto dalla propositività, perché credo fermamente in un futuro migliore, nonostante la situazione difficile che stiamo vivendo, un po’ kafkiana, un po’ orwelliana».
Come a dire: il mondo cambia ma tu resti sempre coerente, perché la tua storia parla da sola. Come sei riuscito negli anni a non perdere il tuo entusiasmo e il tuo stile?
«Guarda, questo album complementarizza le canzoni della primissima ora con quelle composte due mesi fa. C’è un paradosso però: quelle uscite tanti anni fa sembrano scritte adesso, tipo “Bravi ragazzi” del ’74, e quelle che ho pubblicato adesso sembrano scritte tanti anni fa, come ad esempio la ballata realizzata insieme a mio fratello Eugenio, oppure mi viene in mente un altro nuovo brano, intitolato “Maskerate”, che stigmatizza la realtà che viviamo, in modo un po’ duro ma molto ironico».
L’ironia fa parte della tua cifra stilistica da sempre, quali elementi e quali caratteristiche ti affascinano così tanto dei codici ironici?
«Il sommo maestro è Totò, l’ho preso più volte come riferimento, soprattutto per la storia di Joe Sarnataro, questo ragazzino napoletano che ama il blues, va in America e scopre un mondo, mentre quando torna a casa vede che i suoi amici per sbarcare il lunario suonano nei matrimoni. Rimette insieme una band e ritrova per caso delle poesie scritte in dialetto da suo nonno, poesie dettate nel sonno proprio da Totò, che parlano degli scompensi di questa città, forse la più bella del mondo, piena di insidie e di paradossi. Il paradosso di oggi, ad esempio, è che il sindaco si scontra contro il governatore della Regione, ai limiti del tollerabile, al punto da poter arrivare a considerare il presidente della Campania più rock di me, più stabilizzante di me.
Vedi, la musica leggera ha un compito, quello di svagare e rassicurare, un concetto che potremmo sintetizzare in un titolo: “Finché la barca va lasciala andare”, un modo diverso per rappresentare la realtà. Anche io mi impongo l’obiettivo di divertirmi e divertire gli altri, anche se tra le righe invito anche a riflettere su situazioni evidenti, che sono sotto gli occhi di tutti, ma che per indolenza, approssimazione, vittimismo o fatalismo, spesso facciamo finta di non vedere. Non a caso ho scelto come copertina di questo nuovo lavoro la prima pagina di un giornale, un ipotetico quotidiano di domani mattina, in cui le notizie sono i titoli delle mie canzonette».
Da sempre, le tue canzonette sono uno spaccato della nostra società, ascoltandole c’è sempre da imparare. Ma, secondo te, da tutto quello che stiamo vivendo a causa della pandemia stiamo imparando qualcosa?
«La retorica e i finti buoni sentimenti mi indurrebbero a dire: sì».
Ma visto che non ti appartengono e non ti sono mai appartenuti, cosa risponderesti?
«Guarda, avendo una figlia adolescente devo necessariamente essere ottimista, è giusto che lo sia, devo darmi da fare. Lei mi da dei consigli, per esempio mi ha suggerito di iniziare i miei concerti con “Abbi dubbi”, una canzone che ci invita ad esplorare il controverso, più di quanto coltiviamo le nostre certezze, perché a volte corrono il rischio di diventare ingombranti. Rimaniamo incapaci di individuare una via alternativa, la famosa seconda stella a destra, perché siamo totalmente fagocitati dai media e dagli imbonitori».
In famiglia sei l’unico membro a non aver mai partecipato a Sanremo, i tuoi fratelli Eugenio e Giorgio ci sono stati entrambi. In generale, rimani uno dei pochi grandi artisti italiani a non aver mai calcato il palco dell’Ariston. Qual è il tuo pensiero sul Festival?
«Sanremo è il regno delle canzonette, non lo so… adesso scrivo qualcosa per uno di questi ragazzi giovani di cui ho stima e magari si presenta lui, mi hai dato una buona idea (sorride, ndr). Però qualcuno dirà: “Bennato, ci hai deluso, speravamo che con il Festival tu non ci avessi mai a che fare, ci sei andato una volta a cantare un pezzo di Tenco è vero, ma noi da te vogliamo rigore, rigore estremo a tutti i costi!”. Ecco, io ho sempre ironizzato su questo concetto, in tal senso “Cantautore” non è altro che è uno sfottò a me stesso, perché non bisogna mai prendersi troppo sul serio ed è giusto che ironizzi anche su di me, dopo aver preso in giro l’intero establishment, sia quello della musica che quello della politica».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?
«La voglia costante di interloquire, di ricevere emozioni dagli altri per restituirle. C’è uno scambio costante con il pubblico: attraverso il confronto si verificano certe proprie idee, si mettono in discussione certe proprie convinzioni. La musica mi ha anche dato la possibilità di girare per il mondo perché, al di là di quello che si può apprendere dai libri, è importante andare in un posto per comprendere effettivamente cosa succede. Paradossalmente questo periodo, questa emergenza, ha accelerato la mia creatività, questa estate è uscito anche un mio libro in cui parlo delle mie idee geopolitiche.
Quindi, quello che ho imparato è che il confronto con gli altri è fondamentale, non puoi isolarti e chiuderti in te stesso, compiacerti delle tue idee e della tua cultura. C’è un brano nel disco che si chiama “Il mistero della pubblica istruzione”, in cui si dice: “La sapienza può essere un’infezione”, perché il sapiente può essere pericoloso, meglio tenerlo lontano. Quindi, ragazzi, evitate di farvi contagiare dalla sapienza, conservate il buonsenso e il sano istinto contadino, sperando che questa energia e questa genuinità ci portino verso un futuro migliore!».
© foto di Daniele Barraco
Nico Donvito
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