venerdì 22 Novembre 2024

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Emanuele Dabbono: “Totem mi da la possibilità di ricongiungermi con quello che ho sempre pensato di essere” – INTERVISTA

Intervista al noto cantautore ligure da tre anni al fianco di Tiziano Ferro

E’ uscito da qualche giorno Totem, il nuovo album d’inediti di Emanuele Dabbono, nome che i più ad oggi conoscono per l’intensa e proficua collaborazione autorale con Tiziano Ferro che ha portato alla realizzazione di brani cult degli ultimi 3 anni come IncantoIl confortoLento/Veloce Valore assoluto. In occasione di questo coraggioso e anticonformista lavoro discografico che sfida le tendenze modaiole ho contattato telefonicamente Emanuele per farmi raccontare il suo progetto, e non solo, in un’allegra chiacchierata che mi ha fatto scoprire una persona, oltre che un’artista, molto distante, e contemporaneamente molto vicino, all’immaginario che, come penso succeda ad ognuno, mi ero costruito nella mia testa ascoltando la sua musica. Emanuele parla spigliato, convinto, senza troppi fronzoli lasciando da parte, invece, quel parlato flebile, malinconico e sottile che, per certi versi, sarebbe normale aspettarsi da chi ha scritto le più belle canzoni d’amore degli ultimi tempi. Poi, però, se ci si lascia trasportare dalle sue parole si scorge quel pizzico d’emozione e di verità che solo i grandi artisti e i cuori veri hanno dentro di sè e si capisce che, in fondo, non ci si era sbagliati. Ecco cosa mi ha raccontato nel corso della nostra telefonata:

Da qualche giorno è uscito il tuo nuovo album intitolato “Totem”. Che cosa rappresenta questo disco per te?

Emanuele Dabbono - Totem

<<Banalmente la prova che sono vivo (ride). Sono vent’anni che sognavo di fare questo disco, suonato con la chitarra acustica anche se in tutto questo tempo ho imparato a destreggiarmi con ogni strumento pur conservando nel cuore la dimensione spoglia delle canzoni. Mi ritrovavo spessissimo ad ascoltare dischi come “O” di Damien Rice dove le canzoni sono centrali ma suonano come scheletriche: non ci sono orpelli o “over production” come dicono gli americani. Poi, nel corso del tempo, mi sono cimentato anche nella scrittura delle canzoni anche dal punto di vista dell’arrangiamento ma per me la verità della canzone sta nello stare in piedi chitarra e voce, come si faceva una volta. Penso a “The sound of silence”, uno dei miei brani preferiti della storia della musica: la si può suonare con l’ukulele, con le pietre o semplicemente con due voci e funziona ugualmente perché la bellezza di quella canzone rimane intatta in qualsiasi modo la si voglia vestire>>.

Proprio sul suono hai spesso messo l’accento per raccontare questo disco: la scelta di farlo suonare totalmente in acustico sicuramente risponde ad un’esigenza personale più che alle logiche di mercato. Perché hai fatto questa scelta?

<<Perché questo album per me è la possibilità di ricongiungermi con quello che ho sempre pensato di essere e desiderato di poter comunicare agli altri. La scelta di registrarlo in questo modo, dunque, è indirizzata a voler mantenere quella genuinità, anche un po’ folle, con cui queste canzoni sono nate. L’album è stato registrato in appena tre giorni in una chiesa il che, se vuoi, è un qualcosa di anormale perché in molti pensavano che in così poco tempo avremmo realizzato al massimo un brano. Invece, grazie a quella fantastica sintonia che si è creata con le persone che con me hanno suonato questi brani dal vivo, siamo riusciti a completare 11 canzoni, l’intero disco. In studio non ho mai provato nulla di tutto ciò forse anche perché lì si ha la possibilità di registrare la voce piuttosto che l’assolo di chitarra per quante volte si voglia: qui, invece, tutto quello che si sente nel disco è il primo take. Mi piaceva trasmettere questa immediatezza>>.

Tornando indietro nel tempo, da dove inizia la tua passione per la musica?

Emanuele Dabbono<<La mia passione per la scrittura, prima ancora che per la musica, ha radici lontanissime e profondissime perché, da bambino, pensavo di diventare un giornalista. Volevo rubarti il lavoro (ride)! Questo perché mio padre lavorava in una grande tipografia dove si stampavano libri d’arte e talvolta tornava a casa con dei libri perfettamente rilegati ma dalle pagine bianche (i cosiddetti errori di sistema) che, in qualche modo, diventavano i miei regali. Ho cominciato a riempirli prima con scarabocchi, poi con disegni e pian piano con le parole: ho sempre avuto la passione per la grafomania. La passione si è spostata nella dimensione della musica quando, in seconda media, ho capito che non c’è modo migliore per dare forza alle parole se non cantandole. Mi sono procurato una chitarra e da autodidatta ho imparato tutto quello che potevo per trasformare quelle parole>>.

Mi sembra di ricordare, correggimi se sbaglio, che sei ligure di origini

<<Si, giusto. Sono nato in provincia di Genova anche se ora vivo in quella che io chiamo la “west coast”, a Varazze>>.

Quanto ha influito questo tuo essere ligure nel tuo essere musicista? La Liguria è da sempre terra molto attenta e proficua da questo punto di vista non soltanto per il Festival di Sanremo ma anche, e forse soprattutto, per quella scuola di cantautori che hanno segnato la storia culturale del nostro Paese

<<Sono legatissimo alla Liguria e penso che come molti di quelli che spero si possano chiamare miei predecessori anch’io sia, in un certo senso, ostico. Mi regalo con molta prudenza alle persone ma quando lo faccio sono un guscio aperto: io e tutti i grandi cantautori genovesi siamo come la nostra terra che appare, forse, un po’ inospitale visto il suo essere “precipitosa” passando dalle montagne al mare in pochissimo spazio. Sono davvero molto geloso della mia terra e sono convinto del mio desiderio di rimanere fuori dalle grandi città: più volte mi è stato offerto di andare a vivere a Milano o a Roma per essere più vicino alla centralità delle cose ma non sono un tipo da aperitivi, piuttosto mi piace il silenzio e i boschi>>.

Nel 2008 arrivi ad X-Factor nella sua prima edizione e ti classifichi al terzo posto. Guardando quell’esperienza dal punto di vista dell’autore affermato che sei oggi come giudicheresti quel momento del tuo percorso?

<<Rispetto a quando ho partecipato io trovo dei cambiamenti nel mondo della musica in televisione soprattutto da parte di chi si iscrive a questi concorsi: nel 2008 quando io tentati di entrare ad X-Factor io, come molti altri, non solo eravamo dei completi neofiti ma anche dei completi ignoranti rispetto a quello che sarebbe successo dopo. La pubblicità dei provini recitava “vinci un contratto discografico con la Sony”: io mi sono tuffato convinto che mi sarei giocato questa possibilità con le mie canzoni e non con le cover. Quando ho capito come sarebbe funzionato il tutto volevo tornarmene a casa perché non pensavo che fare quel genere di cose fosse il mio forte. L’unica mia canzone che sono riuscito a proporre è arrivata dopo quattro mesi alla finale: è stata un’esperienza piuttosto dura. Non ho fatto il militare ma il servizio civile a mio tempo però credo che quei quattro mesi per me abbiano avuto la stessa valenza del servizio militare (ride): è stato davvero un esercizio di disciplina. Oggi i ragazzi sanno già quello a cui vanno incontro, noi non sapevamo nemmeno cos’erano i Bootcamp. Poi è andata come andata e, una volta arrivato alla fine, ho rifiutato il contratto Sony (unico caso nella storia del programma) perché mi imponeva di fare un EP di cover>>.

A proposito di canzoni tue da qualche anno sei il co-autore degli ultimi successi di Tiziano Ferro da “Incanto” a “Il conforto” che umilmente ho definito la “canzone del decennio”: che collaborazione è la vostra?

<<Lo direi anche al di fuori di qualsiasi intervista perché è la verità: mi sento davvero un privilegiato e credo di dare a lui e alla sua musica davvero il meglio di me stesso riuscendo a scrivere in una condizione di amicizia. Tiziano è una persona strepitosa e, per certi versi, d’altri tempi: non viviamo con l’ansia di dover ripetere qualcosa ma, anzi, l’idea di fondo è la ricerca della bellezza. Non c’è nulla di campionabile in quello che facciamo e questo rende la nostra collaborazione in continuo divenire. Sappiamo solo che da ciò che scriviamo deriverà un’ondata di impatto emotivo molto forte sul quotidiano delle persone che, in un certo senso, andrà a coinvolgere anche la cultura musicale italiana>>.

Tante volte capita che si definisca una collaborazione come uno scambio:

<<Beh, questo bisognerebbe chiederlo anche a lui. Da parte mia posso dire che quando Tiziano mi ha chiamato, perché in me aveva intravisto una sensibilità e una tenerezza che nemmeno io pensavo di avere, ho scoperto così tante cose di me proprio grazie al confronto che ho avuto con lui. D’altro canto spero di aver dato un contributo alla sua carriera gettando dei semi che possano durare non soltanto un’estate o una stagione. Sicuramente sono la persona più privilegiata del mondo perché non vivo con l’ossessione di dover fare una writing session con persone che nemmeno conosco o con cui non ho alcun feeling ma con le quali devo scrivere delle canzoni. In un certo senso spero che, tra qualche anno, si possa ricordare questa nostra unione artistica come oggi si ricorda quella delle grandi coppie del passato: Mogol-Battisti, Curreri-Vasco, Alloisio-Gaber, sarebbe incredibile>>.

C’è una cosa che hai imparato da Tiziano in questi ultimi anni e una cosa che, invece, pensi che lui possa aver imparato da te?

<<Posso rispondere solo a metà: credo che lui mi abbia insegnato ad avere fiducia nella mia fragilità, che un uomo può tranquillamente piangere di fronte ad un foglio di carta e che un autore non deve aver paura di “sputtanarsi”, per dirla alla becera, perché solo così si arriva al cuore della gente. Non ho la presunzione di sapere che cosa io possa esser riuscito a insegnare a lui: so, però, di aver dato tutto ciò che avevo in questi ultimi 3 anni>>.

Scriveresti mai per altre voci oppure credi che uscire da questo binomio sia impensabile?

<<No, non credo che sia impensabile ma credo che con Tiziano ci sia una sintonia pazzesca, pur provenendo da ambienti musicali anche molto diversi, che al momento mi basta. Scriverei per altri, e non è detto che in futuro non succeda, però vorrei che fosse un processo naturale, come se qualcuno stesse scrivendo la mia storia dall’alto o come se mio padre con il joystick stesse cercando di farmi abbattere tutti i muri di un videogioco che, evidentemente, devo ancora concludere>>.

Nell’ultimo album di Tiziano, “Il mestiere della vita”, i tuoi pezzi suonano come profondamente sintetici ed elettronici, nel tuo nuovo album, invece, c’è questo universo acustico di cui abbiamo parlato: trovi una dicotomia tra i due mondi oppure riesci in qualche modo a coniugarli? C’è una differenza nel tuo approccio nella scrittura di un pezzo per uno dei due mondi musicali oppure cambia solo la scelta di arrangiamento?

<<Masticando tantissima musica diversa la mia scrittura si rivela continuamente senza schemi prestabiliti: a volte scrivo un brano jazz, un’altra una elettronica e un’altra ancora una acustica. Il bello di lavorare con una persona come Tiziano è il fatto che a lui non importa a quale universo musicale appartenga ma che contenga sempre un sentimento forte>>.

Oltre alla moda dei suoni non credi che ci sia anche una “moda autorale”? Ti senti, in qualche modo, parte di una tendenza che si sta consumando nel presente oppure ti vedi totalmente estraneo da certe dinamiche? Cioè, non hai paura che un domani il tuo modo di scrivere, che evidentemente oggi piace, possa non piacere più?

<<Si, credo esista una cosiddetta “moda autorale” ma se dovesse succedere che un domani ciò che scrivo non piacerà più sarò in pace con me stesso perché avrò comunque detto la verità. Conosco molto bene le dinamiche di cui parli e a cui fai riferimento e conosco molti autori ai quali viene detto per filo e per segno come scrivere le canzoni in base ai gusti del momento ma tutto ciò non rispecchia il mio modo di vivere la musica. Io cerco di farmi una grandissima cultura musicale e di conoscere il più possibile ogni cavillo della discografia: sto colmando ora la mia conoscenza del mondo di Lucio Battisti e sto capendo come davvero fosse avanti di 30 anni nella sua proposta il che mi fa pensare che se davvero qualcuno è ispirato e sincero con se stesso è lui allora a dettare le mode. Mi ricordo quando uscì “Incanto” e due speaker radiofonici dissero che era lontano dalle proposte del momento: ho pensato subito che lo avrebbero tolto dalla programmazione immediatamente e, invece, la gente ha scelto quella canzone. Questo mi ha insegnato che talvolta sfidare un po’ la moda permetta di pulire le orecchie da quel suono assuefatto e omologato che rendono tante canzoni uguali tra loro: ben venga qualcuno che osa un po’ di più non per strategie di marketing ma per esigenze personali>>.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.