A tu per tu con il rapper napoletano, in uscita con il suo primo album ufficiale “Dio perdona io no“
Tempo di nuova musica per Enzo Dong, reduce da numerosi live, singoli e featuring di successo. Si intitola “Dio perdona io no”, il progetto che segna il suo debutto discografico, disponibile negli store digitali e nei negozi tradizionali dal 25 ottobre. Diverse le prestigiose collaborazioni contenute tra le quindici tracce in scaletta, a cominciare da Fabri Fibra, passando per la Dark Polo Gang, Tedua, Fedez, Gemitaiz e Drefgold. In occasione di questa uscita, abbiamo incontrato per voi il rapper napoletano.
Ciao Enzo, cosa hai voluto inserire all’interno di questo tuo primo album ufficiale?
«In questo mio primo album ufficiale ho voluto inserire me stesso a 360 gradi, quello che è stato tutto il mio percorso, dai problemi che ho avuto nel realizzarlo a tutte le collaborazioni con alcuni dei miei amici storici, come Tedua e la Dark Polo Gang, oppure featuring nuovi come Gemitaiz e Fabri Fibra, rapper sacro della scena italiana, poi c’è la collaborazione con Fedez, un feat di cui vado molto fiero perché mi piace osare e far incazzare la gente. E’ un disco artistico che fonde il mio stile con quelli dei vari ospiti, mentre nelle tracce soliste parla di me, dei miei problemi, della mia rabbia e della difficoltà che ho avuto nel completare questo progetto».
Tutto è cominciato nel 2016 quando il tuo brano “Secondigliano Regna” ha fatto parte della colonna sonora di Gomorra, subito dopo il singolo “Higuain” ha fatto abbastanza parlare di te, arrivando a ottenere 15 milioni di views di Youtube. Da quel momento El Pipita ha girato parecchio, tu sei cresciuto molto, anche se a differenza sua non hai mai cambiato maglia. Ecco, come li hai vissuti questi tre anni?
«All’inizio è successo tutto molto in fretta, quando ho scritto “Higuain” non mi aspettavo tutto quel successo, per me era una semplice traccia freestyle che ho inciso nella mia cameretta, pensa che stavo pure per pubblicarla solo su Facebook e non su YouTube, non mi aspettavo davvero nulla di tutto ciò. Dopo pochi giorni, ricordo che ero a letto con la febbre, mi sono ritrovato sulle pagine dei giornali sia italiani che argentini per questo attacco frainteso a El Pipita, che ringrazio ancora perché mi ha dato una bella spinta.
Questi anni me li sono vissuti bene, anche se l’arrivo del successo mi ha portato a realizzare tante date dal vivo, ho fatto oltre centocinquanta concerti, al punto da farmi perdere un po’ la concentrazione sul disco e sulla mia nuova musica. In più, ogni volta che tornavo a Napoli, sentivo di non avere un’organizzazione precisa, uno studio dove registrare, questo mi ha fatto disperdere l’attenzione sul lavoro reale. Da quando mi sono stabilito a Milano la musica è cambiata, non voglio più far aspettare così tanto il mio pubblico, sono già al lavoro di nuovo materiale, di recente sono stato in studio con Lazza, ho preparato delle tracce nuove, basta attese».
L’acronimo del tuo nome d’arte significa “Dove ognuno nasce giudicato”. In quest’epoca così social, secondo te, siamo ancora liberi di seguire l’istinto oppure siamo un po’ tutti condizionati dai giudizi e, talvolta, dai pregiudizi degli altri?
«Secondo me siamo molto influenzati, il mio nome nasce da questo, l’essere umano tende ad esprimere la propria opinione soprattutto su tutto ciò che rappresenta la novità, la diversità, l’azzardo. “Dove ognuno nasce giudicato” significa esattamente questo, le persone al giorno d’oggi si basano molto sull’aspetto estetico, sulle apparenze, io voglio dire tutto ciò che penso, definisco il mio rap “uno spaccio di verità” che prescinde dal mio modo di essere e dal desiderio di mostrarmi per quello che sono. Il rap è cronaca, devo per forza mostrare la realtà, fare questo ti porta inevitabilmente ad essere giudicato dalla società».
Dopo aver parlato di te e del tuo mondo musicale, non posso non chiederti cosa pensi di quello che c’è intorno: come valuti l’attuale settore discografico?
«Credo che ci siano due modi diversi di fare musica, da una parte c’è chi punta tutto sull’arte, dall’altro sul voler far parte a tutti i costi del mercato musicale. Il mercato ti spinge necessariamente a seguire dei canoni che ti portano a cambiare il tuo percorso artistico, per quanto mi riguarda preferisco seguire l’istinto, se qualche pezzo diventa commerciale è una conseguenza, non certo un obiettivo che mi prefiggo io dall’inizio. Il mio obiettivo è quello di continuare a restare me stesso, per cui sul mercato musicale ci sto a modo mio».
Riferito nello specifico alla scena hip hop, pensi che esistano un real rap e un fake rap?
«Ovviamente sì, perché si sono molti personaggi creati a tavolino, che magari vogliono fare troppo gli americani pur non vivendo a stretto contatto con quella realtà. Io credo che non si possa utilizzare un certo tipo di linguaggio o cercare di essere qualcosa che in Italia non esiste, quella è la dimostrazione che non stai mostrando la tua vera personalità. C’è sicuramente una distinzione tra fake rap e real rap, non faccio nomi perché ovviamente “non canto” (sorride, ndr)».
Ti piacerebbe partecipare al Festival di Sanremo? Lo consideri un palco sufficientemente sdoganato?
«Credo di sì, anche se per il tipo di musica che faccio, quella del Festival è una vetrina che sicuramente mi penalizza. Andrei a Sanremo solo se mi facessero entrare con le motociclette e dare fuoco al palco».
Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe arrivare con la tua musica e con questo disco in particolare?
«Io voglio arrivare a tutte le persone che soffrono e hanno vissuto un certo tipo di vita simile alla mia, una vita normale, fatta di alti e bassi, di cose belle e di cose brutte. Voglio arrivare a coloro i quali hanno bisogno di sentirsi raccontare la loro vita con la musica. Nella scena stimo molto Sfera Ebbasta, perché è riuscito a realizzare cose che in Italia, prima di lui, nessuno era riuscito a fare. Spero di superarlo un giorno!».
Nico Donvito
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