Francesco Baccini: “Peggio di morire c’è solo non aver vissuto pienamente” – INTERVISTA

Francesco Baccini

A tu per tu con Francesco Baccini che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Matilde Lorenzi”. La nostra intervista al popolare cantautrice genovese

Dopo diciotto anni dall’ultimo progetto discografico, Francesco Baccini torna con un nuovo brano intenso e carico di umanità: “Matilde Lorenzi” (Azzurra Music), disponibile dallo scorso 24 ottobre. La canzone, che anticipa il suo prossimo album atteso nel 2026, nasce come una dedica a Matilde Lorenzi, giovane promessa dello sci alpino scomparsa tragicamente durante un allenamento. Lontano da qualsiasi tono commemorativo, il brano si trasforma in un inno alla vita, alla passione e al coraggio di inseguire i propri sogni fino in fondo.

Scritta e composta dallo stesso Baccini, “Matilde Lorenzi” è anche il brano principale della colonna sonora del docufilm “Kristian Ghedina: Storie di Sci” di Paolo Galassi, progetto legato all’Olimpiade Culturale. Con la sua voce calda e inconfondibile, Baccini regala una ballata luminosa e sincera, in equilibrio perfetto tra delicatezza e forza emotiva. Abbiamo incontrato il cantautore genovese per parlare della genesi del brano, del suo rapporto con la musica e della capacità, rara e preziosa, di trasformare la fragilità in bellezza.

Francesco Baccini presenta il brano “Matilde Lorenzi”, l’intervista

“Matilde Lorenzi”, una canzone che è anche e soprattutto una storia. Ti chiedo di raccontarci come ti sei avvicinato a questa storia e com’è nata questa canzone?

«Stavo lavorando a un disco nuovo dopo 18 anni, quasi come i Cure. A un certo punto mi ha contattato il regista Paolo Galassi e mi ha chiesto di scrivere una canzone per un docufilm su Christian Ghedina. Mi disse che nel film, oltre a Ghedina, ci sarebbero stati altri campioni dello sci. Di solito non faccio cose su commissione, però avevo in testa un giro di accordi… e mi è venuto in mente il fatto di cronaca successo qualche mese prima, la morte tragica di Matilde Lorenzi, una ragazza della Nazionale giovanile di sci. È morta durante un allenamento, una cosa che mi ha colpito tanto. Scrissi il brano in una notte. Poi ho chiamato Paolo e gli ho detto: “Ho scritto qualcosa, ma non è su Ghedina, mi sono ispirato a questa storia”. Lui mi ha detto che pensavano di dedicare il film a Matilde. Così ho registrato la canzone con una memo vocale al piano e gliel’ho mandata. L’hanno inserita nel film. Quando l’hanno fatta ascoltare alla famiglia Lorenzi, mi hanno ringraziato, perché il brano non è triste, parla di vita: Matilde, anche se è vissuta poco, ha fatto quello che voleva fare. Questo è il messaggio della canzone: vivere con passione. Se non hai passioni, sei già morto».

Trovo che questo pezzo sia molto toccante, proprio perché è sincero anche nella composizione. Hai scelto di non indulgere nella malinconia. Pensi che la musica abbia anche il compito di indicare una via luminosa nei momenti bui?

«Assolutamente sì. La musica può essere un faro, e non sempre deve raccontare il dolore in modo pesante. “Matilde Lorenzi” è una canzone che parla di una vita vissuta con pienezza, anche se breve. Lo sport, come la musica, mi ha insegnato a guardare avanti con energia. È un pezzo che trasmette forza, non solo commozione».

Dalla competizione sportiva a quella musicale. Tu hai partecipato in gara una sola volta al Festival di Sanremo, nel 1997 con “Senza tu”. Poi sei stato ospite anche nel 2006. Che esperienza è stata e che idea hai del Festival?

«Io sono molto competitivo, ma nello sport. Nell’arte, no. La musica non è una gara, è unione, non divisione. Negli ultimi vent’anni, tra talent e Sanremo, tutto è diventato competizione. Ma nella mia adolescenza, se a un amico piacevano i Pink Floyd e a me i Genesis, ci si scambiavano i dischi, si cresceva insieme. Oggi invece si tifa per un cantante come per una squadra di calcio, e non va bene. Non puoi fare gare tra Battiato e Fedez, tra De André e Ultimo. La musica non è sport. Quando scrivo una canzone, deve piacere prima a me. Se non piace a me, come posso pensare che piaccia a qualcun altro? Io non uso gobbi ai concerti: le canzoni le ho dentro, le ho cantate mille volte. Sanremo è utile perché ti fa arrivare a più persone, ma non può essere vissuto come competizione. E poi a me piacciono gli outsider, gli antieroi. Anche se arrivi ultimo, se la canzone arriva, hai vinto».

Tornando al brano “Matilde Lorenzi”, il titolo composto da un nome e da un cognome riporta alla mente uno dei tuoi album più importanti, “Nomi e cognomi”. È stato un album coraggioso, che sicuramente ti è costato qualcosa. Che rapporto hai oggi con quel disco?

«Oggi lo rifarei in maniera diversa, ma all’epoca era giusto così. Nessuno aveva mai fatto un disco in cui ogni canzone portava il nome di personaggi famosi come Andreotti, Celentano, Maradona, ecc. Ero avanti: ho fatto dissing 30 anni fa! (ride, ndr). Quel disco mi ha dato soddisfazioni, tanti rapper mi hanno detto che ci sono cresciuti. Il linguaggio era diretto, sembrava rap più che cantautorale. Era un disco forte, che parlava chiaro. Oggi magari non lo rifarei così, ma ne vado fierissimo».

Per concludere, a proposito del brano “Matilde Lorenzi”, hai detto: “Peggio di morire c’è solo non aver vissuto pienamente”. Questo pensiero mi ha fatto venire in mente un amico comune, Vincenzo Mollica, che è e resterà per sempre il numero uno. So che avete un bel rapporto. Lui è la rappresentazione vivente della passione, non credi?

«Vincenzo è una delle persone più importanti del mio percorso artistico. È stato lui a volere la copertina del mio primo album con un suo quadro. Mi ha aiutato a non fare un disco che non mi rappresentava. Anche su “Nomi e cognomi” ha fatto un disegno sul retro, con un pianoforte. C’è sempre stato. Quando ho scritto “Matilde Lorenzi”, è stato tra i primi a cui l’ho fatta sentire. E mi ha detto: “Hai fatto un regalo bellissimo a questa ragazza, l’hai fatta rivivere. E la canzone vivrà per sempre”. Vincenzo non si arrende mai, anche dopo tutto quello che ha passato. Finché hai idee, cose da dire, passioni, sei vivo. Quando non hai più nulla da dire, allora sei morto. E non è questione di età. Vincenzo è eterno».

Scritto da Nico Donvito
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