sabato 23 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: Tra Dante e l’indie

Raccontiamo l’attualità con una canzone

Nell’inferno di Dante, Lucifero piange. Non ci avevo mai fatto caso, invece, l’altro giorno, ho scoperto che sì, piange eccome. Mi trovavo dentro un castello (uno vero, mica quelli della mia mente) a seguire un incontro sull’Inferno di Dante: un modo molto efficace e geniale per far risorgere dal nulla un comune venerdì sera. Insomma, me ne stavo lì a guardare le stelle, osservando i volti compiaciuti e curiosi degli spettatori intorno a me, mentre 168 occhi scrutavano con minutezza ogni gesto del professore Gianni Vacchelli, uno che parla in una maniera così bella e così dolce che se ti raccontasse che 2+2 fa 3, tu gli crederesti e basta. Sarebbe stato un grande politico, invece passa i venerdì sera a leggere Dante. E poi dicono che non ci sono eroi al giorno d’oggi. In ogni caso, le ore passavano, la curiosità no e proprio questa mi ha portato ad osservare una cosa piccola ma molto strana: Lucifero piange. Per chi non è nel giro (spero bene per lui), Lucifero si trova nell’ultimo girone dell’Inferno, per capirci quello prima del Purgatorio. Il momento probabilmente più tosto e feroce di tutta la Commedia. Eppure, a ben guardare, ecco che Lucifero piange.

Lo so che può sembrare un’inezia ma per me è un tasto fondamentale. Sono stato educato, come molti, a provare una forte empatia e tenerezza nei confronti di chi piange, però se la persona in questione è Lucifero, beh, parliamone. E infatti ne ho parlato. Ho aggiunto ai 168 occhi degli spettatori i miei due e, guardando in faccia il professore, gliel’ho chiesto: ma perché Lucifero piange?

Non starò qui a ripetere la risposta di Vacchelli, anche perché la mia banale arte retorica – ammesso che un minimo ne possieda – non me lo consente, ma in sintesi, la risposta, è stata questa: Dante non lo spiega. Ci sono più interpretazioni, ma in ogni caso, noi non lo sappiamo.

Dai una risposta del genere ad un giovane disilluso chiuso dentro un castello (quello mentale, mica quelli del medioevo), e lo farai impazzire. Io ci sono andato molto vicino, anche se poi, quello che mi ha salvato, come al solito, è stata la musica. Quando il mondo intorno a me si fa troppo grande, il primo passo che faccio è cercare di dargli una forma. La musica è perfetta in questo genere di cose. L’ho cercata a lungo ma alla fine l’ho trovata. “Deluderti” di Maria Antonietta. Un incrocio meraviglioso fra l’indie e gli anni ’70. La prossima Joan Baez italiana, per dirla senza peli sulla lingua. A primo impatto, con la bomba filosofica che serbavo nel cuore, questa canzone non ci azzecca per nulla. Ma la musica ti frega così: prima ti spiazza e poi ti illumina. Un po’ come Dante, a ben vedere.

Io non ho intenzione di deluderti
Ma questa è la mia faccia
La mia fiducia non intatta
Un vago senso di presenza eterna
E se non mi amerai
Avrai i tuoi pensieri
Anche io ho i miei
Non te li dico mai
Mentre con Dio io mi ci trovo bene
Perché almeno Lui ha ampissime vedute”.

Me ne sono rimasto un attimo lì a pensare, poi, con le parole di Antonietta, mi è parsa chiara una cosa. Ovvero che Dante si sarà svegliato molte mattine con in testa un’idea precisa di quello che voleva fare e allora avrà lavorato, studiato, ricercato materiale per dire le giuste parole per spiegare il mondo esatto delle sue emozione e delle emozioni dei peccati dell’intera umanità, in un gesto che cercano tutti gli scrittori ma che lui fa a regola d’arte, scolpendo quelle frasi per poi mandarle fino alla luna e le altre stelle, per poi finire, contro ogni logica, contro le più elementari leggi del buon senso, nell’incertezza.  È allora lì che capisci.

È in quel pianto non spiegato, quell’incertezza velata che capisci. E ti appare chiarissimo tutto in un istante, che non c’è salvezza, non c’è difesa contro l’incertezza, e sempre sarà così, che continuerai a dire la frase sbagliata nel momento sbagliato, e a non fare l’unica cosa che sai dovresti fare, e a cadere nelle trappole che hai imparato a memoria, e ad aver paura sempre della stessa cosa, in eterno, e a non capire quello che mille volte ti sei spiegato, e a far del male anche se già lo sai che lo farai. Non c’è niente da fare. Se anche Dante appare incerto e non spiega un gesto così incredibile, perché mai uno non dovrebbe essere incerto nel gesto del vivere? Puoi spendere anni a vivere, ore a leggere libri, milioni a farti allenare dallo psicanalista: ma alla fine è lì che finisci. L’incertezza annulla qualsiasi passato nell’istante in cui arriva a bruciarti qualsiasi futuro. L’incertezza azzera il tempo, qualsiasi tempo.

Non assomiglio ad una linea di contorno
Quella, la disegnano gli stronzi come te
Probabilmente sì, sarebbe molto facile
Esistere (esistere) in una forma semplice (semplice)
E vagamente buona (vagamente buona)
Probabilmente una”.

Si tratta solo di un verbo: “piangere”. Dante avrebbe potuto toglierlo, e io avrei scritto solo elogi e bei pensieri su un uomo geniale – e che resta di fatto tale – che ci parla ancora dopo 700 anni. Eppure lui, quel verbo, l’ha scritto. Vedi cosa riesce a spiegare, Dante, senza dar nell’occhio: che quando nel tuo cammino sei incerto – nel preciso momento in cui comunque vai avanti – sei eterno.