I nuovi linguaggi nei testi della musica italiana: tra il criptico amore indie e leggerezza della trap
“Volevo fare il cantante delle canzoni inglesi, così nessuna capiva che dicevo”, dice Bugo nel ritornello di Sincero, pezzo che dopo l’esperienza sanremese non sta facendo fatica ad essere molto apprezzato da pubblico e radio. Eppure, al di là di ciò che canta Bugo, sembra che a noi italiani continui a piacere la nostra musica, almeno stando alle classifiche: il nostro linguaggio, il nostro stile e, alla fine, le nostre parole.
Che scrivere in italiano sia complesso si sa da sempre, è un dato di fatto conseguente alla tipologia del nostro alfabeto e della nostra grammatica. Rime, assonanze e giochi di parole: un vortice di fattori che i nostri artisti ovviamente non possono non tenere in considerazione al momento della scrittura; ma al giorno d’oggi, parlando di testi, dove va a parare la musica che ci viene proposta e che primeggia nelle classifiche di vendita?
L’ultima volta (qui) ci eravamo lasciati con un’analisi a doppio taglio: da una parte i nuovi linguaggi dell’ondata rap/trap, volti sempre di più ad una semplificazione di concetti e termini scelti, e dall’altra una tendenza opposta all’interno del panorama indie-pop che verte maggiormente nell’uso di metafore e che si appoggia alla cosiddetta scrittura per immagini, ovvero canzoni che puntano a descrivere un mondo, che sia esterno o interno poco importa, in cui di volta in volta appaiono nuove immagini e allo stesso tempo ne scompaiono altre.
Non hanno certamente arrancato i rapper, eppure anche qui bisognerebbe partire con un’analisi su più livelli, perché dire “il rap e la trap non hanno contenuti” nel 2020 appare un grosso errore. Se è vero che da una parte la grande fetta di pubblico giovanile ha premiato artisti dal linguaggio più frivolo ed immediato, è altrettanto vero che nell’ultimo periodo abbiamo assistito al proliferarsi di artisti volenterosi di imporsi anche utilizzando un lessico più complesso, basti pensare in questo senso alla nuova scena genovese, ben rappresentata tra gli altri da autori come Izi e Tedua o Bresh. Stesso discorso che può essere ripreso per la scena milanese (Ernia, Rkomi…) e soprattutto per quella romana che, grazie ai lavori di artisti quali Franco 126 e Carl Brave, ha trovato nuova linfa e uno slancio che in qualche modo la ricollega alla sua grande tradizione cantautorale.
Francesco Cavalli
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