sabato 23 Novembre 2024

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Il mare ‘fuor di tormentone’: canzoni per non perdersi tra le onde

Le canzoni dell’estate che hanno raccontato il mare

Non posso più dividermi tra te e il mare Non posso più restare ferma ad aspettare…” canta Laura Pausini. Aspettare chi? Che cosa? Magari la fine di un’altra estate, di un altro amore? E poi? In quante occasioni potremmo dire con Marco Masini “ci vorrebbe il mare”? Quante volte, invece, preferiamo sviare da noi con un tormentone leggero, anzi leggerissimo? Ci sono testi che non diventano canzoni e basta, ma, come un manifesto poetico, racchiudono l’unicità e la complessità di un rapporto. In questo articolo proviamo a rilevare le connessioni affettive tra gli esseri umani e il mare. Masini lo invoca quindici volte, con quel condizionale desiderativo che, mentre apre a spazi di intima riflessione, ne evidenzia la necessità “per andarci a fondo Ora che mi lasci come un pacco per il mondo”. Potrebbe essere ancora “il mare in questo mondo da rifare”, cura e rifugio “dove naufragare Come quelle strane storie di delfini che Vanno a riva per morir vicini e non si sa perché Come vorrei fare ancora, amore mio, con te”. Nel testo, non si trova nessun aggettivo qualificativo in riferimento al mare: il mare è il mare e basta! Compie azioni naturali e involontarie “accarezza i piedi (…) con le sue tempeste (…) che battesse ancora forte sulle tue finestre (…) dove non c’è amore”, come a scuotere quei cuori che sono stati incapaci di ‘sentirsi’ e di proiettarsi insieme, oltre il tempo del loro amore estivo.

Pure nelle cose fugaci serve un pizzico di fortuna e quella, si sa, non è equamente distribuita. Ce lo ricorda Domenico Modugno, in coppia col figlio, nella canzone-testamento che s’apre con “tanto tempo fa un grande filosofo indiano scrisse “Nel mare della vita i fortunati vanno in crociera”, prosegue toccando un aspetto ecologico e periglioso, “ehi, capitano mio, vado giù Non è blu questo mare, non è blu Tra rifiuti, pescecani ed SOS Vado alla deriva, sto affogando” e si chiude in una sublime rassicurazione dell’anziano verso il giovane “sai che c’è? Non ce ne frega niente Dei pescecani e di tanta brutta gente Siamo delfini, è un gioco da bambini, il mare”.

Siamo esseri liberi in tutte le stagioni e nelle condizioni più impervie, ma ci sono momenti in cui sentiamo di più la solitudine. Come il mare d’inverno di Loredana Bertè, “qui non viene mai nessuno a trascinarmi via (…) Qui non viene mai nessuno a farci compagnia”, diventa uno sconfinato specchio d’acqua salata che riflette la nostra condizione e a cui possiamo dire, in totale adesione, “mare, mare Non ti posso guardare così perché Questo vento agita anche me”. Il vento è un soffio inaspettato che irrompe e sconquassa gli schemi soliti e gli argini che ci proteggono, a meno che non si tratti di un alito leggero, come la brezza marina, quando il sole riscalda la terra a una temperatura superiore a quella dell’aria intorno alla superficie del mare.

Ma “misurare se il mare t’ama un po’ è questione d’azzurro e non si può”, come canta Enzo Carella, non resta che addentrarci tra i flutti e correre il rischio di affrontare ciò che ci capiterà innanzi, consapevoli che “dentro il mare si può annegare Dentro il nudo del mare a cuore in giù Dentro brividi d’onda e di marea” e che, in estrema ipotesi, la nostra condizione sarà quella di sprofondare e “giù sfinito di mare e amore sto”.

Può accadere che siamo noi la causa di sofferenza verso chi amiamo, spesso involontaria, ma nel nostro rapporto col mare compiamo quotidianamente azioni debilitanti per la sua salute, nonostante il bene che ci lega. In questo caso, il mare non è più simbolo, metafora, trasfigurazione, ma soggetto fisico, elemento di natura, necessario per la sopravvivenza dell’ecosistema. È il mare cantato da Dolcenera, con un dolore mistificato dalla melodia ‘danzereccia’, “tra milioni e milioni di buste Lattine, le siga e cannucce Metà del pianeta di plastica Un bimbo gioca in spiaggia innocente Mi dice che la fine è imminente Che è anche colpa mia è evidente” , ricordandoci con una metonimia che “amare il mare (…) è amare te” e una chiusa in portoghese “ama o mar se você se ama” (trad. “ama il mare se ami te stesso”).

Se Giuni Russo “quest’estate ce ne andremo al mare Con la voglia pazza di remare Fare un po’ di bagni al largo Per vedere da lontano gli ombrelloni”, Marracash proprio non riesce a farsi una ragione di dover restare in città, “con le birre in piscina e le occhiaie senza sgrille bikini o locali A.A.A abbronzatissimo nella Barona prendo il sole mangiando Mc’Donald (Oh) scrocco cene a persone qua in zona (Vai!) spendo solo un centone campando alla buona ma…Voglio andare al mare estate in città (…) devo andare al mare invece me ne vado a male”. Ugualmente schietto è il messaggio marinaro di Vasco Rossi che “voglio andare al mare perché mi han detto che là sì che ci si diverte (non come qua). Mi voglio sfogare quest’estate voglio fare indigestione di donne e di sole…”.

Dov’è finita la poesia del mare? Di quel mare a cui consegniamo segreti che saprà certamente custodire e a cui ci capiterà di fare nuove promesse? Ci aiuta in questo recupero, quasi pedagogico, Simona Molinari quando sta davanti al mare: un dialogo tra due esseri, che si conoscono da sempre e che si mancano quando la vita li divide, ci racconta la sconfinata nostalgia “che non lo sai però mi manchi da morire”, consapevole “che il mare è da ascoltare” e certa che “io davanti a te so sempre cosa dire” perché “sarà che un po’ somigli a me Segreto e trasparente Mare”. Come non chiedergli, ancora una volta, aiuto? “Fammi naufragare Insegnami a lasciarmi andare” per crescere ed evolvere, sempre più liquidi ed adattabili ai fatti di vita, proprio come fanno le acque con i suoi fondali.

Imparare a stare da soli davanti al mare è anche la tappa più alta in un percorso di crescita con noi stessi, perché ci permette di superare la condizione cantata da Luca Carboni, “mare, mare, mare cosa son venuto a fare se non ci sei tu, no, non voglio restarci più no, no, no” e di trovare un motivo per restare ancora vivi e dire con Ernesto De Curtis “vide ‘o mare quant’è bello, spira tanto sentimento, Comme tu a chi tiene mente, Ca scetato ‘o faje sunnà (trad. ‘Vedi il mare quanto è bello, Ispira molto sentimento, Come te a chi osservi, che da sveglio lo fai sognare).

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.