giovedì, Aprile 25, 2024

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Il sesso che canto: testi di un tabù che mi piace tanto!

Come i testi delle canzoni italiane hanno raccontato il sesso

Ci sono canzoni che cantiamo da sempre e che ci lasciano sospesi per un attimo tra un sorriso di meraviglia e il gusto divertito di quando impariamo, spesso un po’ per caso, di cosa parlano. Sono testi che usano la metafora in modo allusivo, con un accenno velato a qualcuno/qualcosa che non si vuole dire in forma esplicita. Nei nostri casi, l’allusione osa sfidare un tabù, evitando l’eccesso, il cattivo gusto e, addirittura, la dissacrazione.

Se pensiamo che negli Settanta, bastò Raffaella Carrà a fare insorgere la censura con quel “coraggio, vieni qui Sì (Tuca tuca) È tanto bello ballare così con te”, tra movenze sensuali e l’ombelico scoperto, altri pezzi ‘sul proibito’ sono diventati così tanto nazional-popolari da non poter mancare nel nostro personale jukebox; per esempio, il “gelato al cioccolato” di Pupo, “dolce e un po’ salato” da assaggiare fino alla fine, quando “la sabbia è più bianca stasera” e l’appassionato amante, ancora incredulo della conquista, esclama “ma dimmi che sei proprio vera!” perché “un bacio al cioccolato io te l’ho rubato“; oppure, “il kobra” di Donatella Rettore, che “non è un serpente Ma un pensiero frequente Che diventa indecente Quando vedo te (…) si snoda, si gira mi inchioda, mi chiude la bocca, mi stringe mi tocca”.

È passato quasi inosservato l’esperimento, a tematica sessual-sentimentale, dei più recenti Festival di Sanremo, dove alcuni brani hanno coniugato almeno due aspetti ‘di rottura’ rispetto a uno schema semantico fin troppo tradizionale nella nostra musica pop: a cantare il bisogno di sesso sono state due donne mature, da sempre rassicuranti e familiari, che sul palco più insigne dell’italica canzonetta, hanno sfidato il giudizio dei perbenisti. Così Orietta Berti non risparmia il fiato cantando, “quando tutto finisce io mi amo anche da sola Sola, sola, sola, sola Dimmi che sapore ha dimmi che freddo che fa Dimmi cosa si prova a perdersi nella tua città”, in quel posto intimo e segreto tutto da scoprire, perché, sembra farle eco Iva Zanicchi, “voglio amarti nelle braccia, nel calore Della pelle, del tuo viso su di me Voglio amarti e non solo “per amore” Voglio amarti perché ho fame anch’io di te”. Non scontato l’uso del verbo servile ‘volere’, che legato ad un altro predicato verbale ‘amare’, fa acquistare un diverso valore semantico all’intera frase nel senso di una specifica sfumatura ‘di volontà’ dell’innamorata che non desidera e basta, ma vuole quello che canta, interamente e, soprattutto, fisicamente, avendone fame.

Se nelle due nostre signore il messaggio, pur essendo forte e chiaro, mantiene una certa grazia, la serata sessuale di Frah Quintale sembra un viaggio di circumnavigazione nell’oceano per il modo in cui la propone: ci gira attorno, la prende ‘alla larga’ con “passa da me che fumiamo un po’ (…) che parliamo un po’ e beviamo un po’ e poi non lo so Puoi anche fermarti qui a cena se ti va Ho casa libera, stasera ci mettiamo su un film” e la finisce con una formula onomatopeica che gli permette di non esplicitare niente che sia dichiaratamente sessuale, ma così semplice da apparire quasi infantile, “e poi passiamo la serata così, ah Sì, ah, sì, ah (non lo guardiamo nemmeno) Sì, ah, sì, ah, sì, ah (tutta la notte fai) Sì, ah, sì, ah, sì, ah (vuoi stare solo con me) Sì, ah, sì, ah, sì, ah (yeah yeah yeah)”.

Esplicito e descrittivo, il racconto di una coppia appena scoppiata in Massimo Pericolo, che mentre “non so più che cosa fare da quando non ci sei più“, oltre l’accenno a dettagli affettivi “c’è il tuo spazzolino rosa, le tue calze, la tua Bull”, ricorda senza alcun filtro di forma, “quando volevi scopare spegnevamo la TV Ora spegni il tuo telefono e fa tu-tu-tu (…) Ma se ti scopa un altro è meglio che non so, perché non può (…) Ma io ti scopo così forte che ti spezzo il cuore Non voglio più sentire un cazzo, spiegami come”.

Di nuovo il sesso come obiettivo nel corteggiamento degli Articolo 31 che raccontano, in un continuo gioco di doppi sensi, “la fermo, mi scuso e dico: “Senti, vorrei approfondire i tuoi accorgimenti, Io e te si potrebbe scoprire dei punti in comune e se vuoi aprire Le ga- le ga- le gabbie in cui rinchiudi i tuoi pensieri più astrusi, I desideri più impuri Potremo chia-chia-chiacchierare e scoprire tutti i punti biologici che devi Toccare!“. E se c’è “solo voglia di prendere il pennello” allora “io ho un pennello, é lungo, largo, forte e bello, lo uso proprio come fossi un vero artista, E con il mio pennello sono un gran professionista!“. Un testo tipico da ‘maschio alfa’, che lo rappresenta con “grande ca-carisma (…) Che sappia sco-vare le mie particolarità“, a cui dare “persino il cu-cuore!…” e una donna voluttuosa che “ho voglia di scoprire qualche nuova posizione Ortogonale, mica male però il tuo pennello! Posso toccare?…“.

‘Posso suonare?’ avremmo chiesto, egualmente, a Renzo Arbore per aver trasformato il pennello ne “il clarinetto, quello che fa filù filù filù fila (…) è uno strumento un po’ particolare che ha bisogno di accompagnamento Ma dove sta una chitarrina per suonare insieme con il clarinetto jazz Per fare qualche pezz, per fare un po’ filù filù filù filà”. Se Arbore cerca “questa bella chitarrina per far qualche swing Mentre il clarinetto sping… Così nasce un bel blues“, Nina Zilli preferisce fare da sola e cantare senza paura “ora poi capirai che non ci sei stato mai Io vorrei dare a te Quello spazio che ti serve ma non c’è In questo blues Questo è il mio blues Sola”.

Siamo nel regno delle libertà sessuali anche in solitaria, così anche Gianna Nannini nella sua America, per oggi sto con me mi basto nessuno mi vede e allora accarezzo la mia solitudine ed ognuno ha il suo corpo a cui sa cosa chiedere“. A questo punto è lecito, anzi necessario, ascoltarsi sessualmente e chiedersi con Nadia Cassinia chi la do stasera la mia felicità? A chi la do stasera? Chi mi sorriderà?”, sfidando sia la paura di restare da soli, “dimmi che è primavera anche se te ne vai” e continuando a sperare “notte, ti prego dimmi che lui tornerà”; sia quella di restare ‘senza’, anche quando, per dirla con Marcella Bella, “la mia voglia è grande, è scandalosa ormai C’è una gatta accanto a me e non rinuncia a lei Aria, ti respiro ancora sai Nell’aria, ti scaccio ma ci sei Voglia, tanta voglia dentro me Una febbre che mi assale, io mi sento così male Spero solo che non bussi un uomo adesso Mi comporterei come non vorrei La mia mente è chiara , ma a volte è più forte il sesso La mia gatta è ancora lì, non parla ma dice sì”.

Divisi come siamo tra l’amore che sentiamo e il piacere che vogliamo, chiudiamo con Mina e con le sue mancate intenzioni, “questa è l’ultima volta Che lo lascio morire E poi, e poi (…) ricomincia da capo È violento il respiro Io non so se restare o rifarlo morire L’importante è finire”. Sempre, e senza tabù.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.
Francesco Penta
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Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.