venerdì 22 Novembre 2024

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La musica non si vende più: indagine sul luogo del delitto

Chi è il colpevole del delitto verso la musica italiana? Agatha Christie lancia il suo nuovo giallo…

Sarà stato il bene? Sarà stato il male? O sarà stato bo?“. Così tuonava “minacciosa” Virginia Raffaele sotto le mentite spoglie della criminologa televisiva più famosa d’Italia, Roberta Bruzzone, nel corso delle sue “indagini” per la ricerca del colpevole. E questa volta il delitto è quantomai misterioso ed intricato. Nemmeno la signora Fletcher insieme a Don Matteo potrebbero riuscire a scoprire chi si cela dietro l’assassinio che ha per vittima la musica italiana. E, forse, persino Bruno Vespa dovrà rassegnarsi al fatto che non è stato il maggiordomo come suggerisce lo studio del caso nel suo tipico plastico della scena del crimine.

Nessuno può scoprire l’assassino essenzialmente perché non è uno solo bensì numerosi. Un assassinio organizzato, architettato e realizzato da un nutrito gruppo di protagonisti che, tutti per motivi diversi, hanno realizzato il peggiore dei crimini. Ma a chi dare la pena più gravosa in sede d’appello? Chi dichiarare primo colpevole e architetto del delitto?

La risposta, in questo caso, è ancor meno scontata ma reca ad un’unica sorprendente e inaspettata soluzione: ad uccidere la musica italiana sono stati gli stessi artisti. Certo, poi ci si sono aggiunti la TV, le radio, la discografia, la crisi economica, le agenzie di manager e di organizzazioni dei live e kermesse ma a capo di tutto si trovano sempre e soltanto gli artisti. Gli stessi artisti che oggi subiscono la crisi del sistema, del calo delle vendite, della fine della loro riconosciuta sacralità, il crollo dell’idea dell’irraggiungibilità. Ma a volerlo e a determinarlo sono stati loro stessi ergendosi a primo motore immobile del sistema platonico di tale omicidio. Ma il dettaglio più grave di questo delitto premeditato è quella che risulta essere l’arma del delitto con cui i colpevoli hanno scelto di colpire la propria vittima: le proprie canzoni.

Uscendo dalla dimensione metaforica non è certamente una novità il fatto che “oggi i dischi non si vendono più” e che, sempre di più, va diffondendosi l’idea della gratuità della musica, della sua facilissima reperibilità grazie ad una qualsiasi applicazione per smartphone, del suo essere un prodotto da consumo usa-e-getta che, tempo qualche settimana, già richiede un necessario ed obbligatorio ricambio. E la colpa di tutta questa dinamica è esattamente di chi le canzoni le fa e le canta: gli artisti. E, per essere più precisi, degli artisti pop, quelli storici, quelli nazional-popolari che, invece, di difendere se stessi e la propria arte sono rimasti a guardare l’invasione dei nemici per loro più pericolosi: il web, la TV, gli Youtuber, i teen-idol, i talent show, i rapper, i trapper, gli esponenti dell’indie contemporaneo. E, quando già era troppo tardi, quegli stessi artisti non hanno optato per una difesa d’ultima istanza, per un contrattacco finale che potesse ristabilire l’ordine, per un disperato tentativo di far nuovamente valere il proprio peso ed i propri meriti bensì hanno scelto più furbamente di rifugiarsi nel più semplice ed immediato effetto del copia-incolla.

Se oggi i dischi non si vendono più non è solo colpa di Spotify, YouTube, del web o del sistema radiofonico alla mercé degli accordi commerciali ma è anche, e soprattutto, perchè non esistono più le canzoni, quelle capaci di coinvolgere un pubblico vasto e non fatto soltanto di piccole nicchie in contrapposizione tra loro per rosicchiare il mercato del vicino di casa. Se è vero che le nuove frontiere del mercato discografico premiano le nuove leve e le tendenze musicali più contemporanee non possiamo di certo additare a tale fenomeno il calo dell’80% delle vendite dei dischi di Laura Pausini negli ultimi 10 anni, del 55% di quelle di Tiziano Ferro, del 65% di quelle di Ligabue, del 75% di quelle Biagio Antonacci o del 70% di quelle di Jovanotti. Certo, magari questi artisti non venderanno nell’ottica del mercato digitale ma, in linea teorica, le vendite sul piano fisico avrebbero dovuto rimanere integre o, più verosimilmente, ridursi di una piccola percentuale in seguito ai fenomeni di crisi del sistema economico che ha investito anche il piano della musica. Come possiamo pensare che, in realtà, i pilastri della musica italiana (e c’è da notare che siano tutti più o meno autori dei propri pezzi) negli ultimi 10 anni abbiano perso ampiamente più della metà del loro pubblico solo per colpa di nuovi fenomeni di fruizione musicale dove, per inciso, non sono, comunque, più nemmeno ascoltati e ricercati?

Ecco allora che la ricostruzione del delitto che vuole come colpevoli le canzoni stesse trova un ampio fondamento di plausibilità: forse, tali artisti hanno smesso di proporre al pubblico canzoni degne di essere comprate e, sempre in via ipotetica, ciò è dovuto al loro scimmiottare le tendenze di generi, artisti e logiche musicali lontane dal proprio essere. Forse il pubblico non vuole ballare sulle canzoni con “il ghiaccio che si scioglie e riaccende le voglie” di Laura Pausini come fa su quelle della “birra con limone senza ghiaccio per favore” di Baby K e forse non vuole gridare “sei bellissimo” a Tiziano Ferro come fa con Riki nel momento in cui si sistema il ciuffo mettendosi in posa per una polaroid. Forse, e ripeto forse, bisognerebbe chiedersi se gli artisti dell’altro ieri siano rimasti fedeli a se stessi o se si siano venduti, in nome di un più immediato e scontato successo, ai nuovi dogmi di coloro i quali non avrebbero mai potuto raggiungere con la sola arte la perfezione dei propri “predecessori”.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.