venerdì 13 Dicembre 2024

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Laura Valente: “Mango, la sua musica e tutto l’amore che conta davvero” – INTERVISTA

A tu per tu con la cantante milanese, per parlare delle canzoni e dello straordinario talento di Pino

Ci sono incontri e conversazioni che non si possono sintetizzare in poche battute, vite e percorsi musicali che non si possono raccontare superficialmente. Quella di Mango è la storia di un artista straordinario, che con il suo indecifrabile talento ha segnato profondamente il corso della musica italiana, influenzando numerosi artisti delle nuove generazioni. “Tutto l’amore del mondo” è il titolo del suo nuovo cofanetto (qui tutti i dettagli), un’opera completa che celebra uno dei nostri più ispirati baluardi della canzone d’autore, a cinque anni di distanza dalla sua prematura scomparsa. Per celebrare nel migliore dei modi il suo ricordo, abbiamo raggiunto telefonicamente Laura Valente, moglie dell’indimenticato cantautore lucano, con la quale ci siamo addentrati in una lunga (ma vi assicuro affatto noiosa) piacevole chiacchierata.

Ciao Laura, innanzitutto ti ringrazio, con questa intervista realizzo uno dei sogni che avevo nel cassetto da tempo. Comincerei parlando di “Tutto l’amore che conta davvero”, un’opera che contiene sia la carriera ma anche la vita di Pino, cosa hai deciso di inserire all’interno di questo cofanetto?

«Spero l’essenziale, spero la parte più forte. Sai, parlare di una persona è di per sè complicato, parlare di un artista lo è ancora di più, soprattutto per un talento così poliedrico ed eclettico come quello di Pino. Ho aspettato cinque anni non a caso, perché non mi sentivo pronta, forse non lo ero nemmeno quando ho cominciato questa avventura, ti dico la verità, però ho pensato che fosse arrivato il momento di fare qualcosa, anche con tutti i miei limiti, cercando di dare almeno qualche sfaccettatura della sua anima. Mi sono concentrata sul punto in cui era arrivato prima di andarsene, perché negli anni ho notato questo suo viaggio sempre più intimo e personale, non dimentichiamoci che lui è partito con un’immagine molto forte e sicuramente d’impatto, un po’ post punk, un po’ new wave, mentre negli ultimi tempi il suo guardaroba era composto da maglioni neri, magliette a maniche corte e jeans.

Questo si rifletteva anche nella sua arte, infatti, da tour parecchio strutturati con molti musicisti sul palco, un sacco di effetti, luci e arrangiamenti complessi, è arrivato dopo trent’anni di live ad atmosfere assolutamente unplugged, di fatto la sua ultima tournèe l’ha realizzata in trio solo con un tastierista e un chitarrista. Era arrivato al nocciolo della questione, all’essenziale, mettendo a nudo la propria anima e alla conclusione che nella vita, così come nella musica, non bisogna apparire ma essere. Il cofanetto è partito da questa idea, rispettando ciò che era lui, non ci siamo inventati niente, ci siamo focalizzati sulla sua anima e sul suo essere artista, senza bisogno di molti orpelli».

Ci sono “i successi” che citavi, “gli incontri”, ma vorrei soffermarmi su “i tesori nascosti”, vale a dire il terzo disco che comprende le tracce meno note di Pino. Come sono state selezionate?

«A nostro gusto personale, quando dico nostro non è per usare il plurale maiestatis (sorride, ndr), ma parlo di me, Filippo e Angelina, è stato fatto tutto all’unanimità, se uno di noi tre aveva dei dubbi non si sceglieva quella determinata canzone o quella determinata foto, tutte le scelte sono state prese in maniera totalmente unanime. Nel caso specifico dei “tesori nascosti” abbiamo cercato di trovare un compromesso tra il nostro gusto personale e quello che era il gusto di Pino, pezzi che sapevamo piacessero molto anche a lui e che, per ragioni prettamente commerciali, non erano mai stati messi in evidenza in modo particolare, perché mancavano di quelle caratteristiche facilmente comprensibili al grande pubblico però, al tempo stesso, dotati di quelle caratteristiche di cui parlavamo prima, perché in questi pezzi la sua anima risplende libera».

A proposito di anima, Pino è stato uno dei pochi cantanti a riuscire nel complicato intento di perfezionare una tecnica straordinaria, ma senza tralasciare l’aspetto comunicativo, perché riusciva ad emozionare. Credi che sia stata una dote innata?

«Beh sì, questa cosa qui ce l’aveva indubbiamente innata, i prodromi di questa capacità erano in lui da sempre, sin da quando l’ho conosciuto nell’83, ogni volta che apriva bocca veramente si fermava l’aria. E’ un’attitudine naturale che si ricollega molto alla sua anima e alla crescita spirituale che ha affinato nel corso degli anni, perché aveva sempre meno pudore di mettersi a nudo di fronte al suo pubblico, perché mostrarsi sul palco con alle spalle una macchina strutturatissima è sicuramente più semplice, se ti presenti solo con un chitarrista hai l’attenzione puntata su di te. Alla fine aveva messo a fuoco questa capacità, prendendo coraggio dei suoi mezzi, di se stesso e della grande voglia di comunicare con il suo pubblico».

Quali sono le caratteristiche umane e artistiche che ci mancano maggiormente di Pino?

«Beh, credo tutto. Sai, ogni persona è un pianeta a parte, irripetibile. Di Pino manca tutto semplicemente perché era unico, ma come lo sono tutti i grandi artisti. Ci manca tutto di Fabrizio De Andrè, tutto di Giorgio Gaber, ci manca tutto di Pino, anche dal punto di vista umano perché, a detta di coloro i quali lo hanno conosciuto, era una persona gentile, molto ben educata, che aveva molto rispetto per le persone e, soprattutto, per i suoi fan. Aveva ben chiaro nella sua mente l’obiettivo, ovvero quello di poter vivere di musica, e sapeva perfettamente che per raggiungerlo era necessario riuscire strappare l’applauso alla fine dei concerti, per cui lui era molto grato e rispettoso nei confronti del suo pubblico».

Veniamo al tema caldo degli inediti, tu hai più volte ribadito il tuo punto di vista a riguardo, che poi non era altro che il pensiero di Pino naturalmente…

«Sì esatto, lui è sempre stato molto chiaro su questo tema, nel senso che quando è capitato di veder mancare dei suoi colleghi, ha espresso un parere sempre negativo sui dischi postumi, soprattutto quando un artista ha una lunga carriera alle spalle, non è sicuramente l’inedito che fà la differenza, anzi, molto spesso non aggiunge niente di più a quanto già realizzato in precedenza. E’ capitato a grandi poeti in passato che non hanno pubblicato nulla nel corso della loro vita, allora questo ha un senso, ma per Pino che ha inciso ventidue album, non è sicuramente il singolo in più che aggiunge qualcosa nella lettura della sua opera».

Potremmo mai sentire un suo brano cantato da qualcun altro? Ad esempio ricordo che Laura Pausini aveva parlato di un inedito che aveva scritto per lei…

«Questo è già un altro discorso e potrebbe essere, anche se si tratta sempre di brani suoi e per i pezzi che ha dato ad altri artisti ne ha sempre seguito la produzione, in questo caso sarebbe una cosa diversa. Insomma, mi dovrei trovare in quella situazione per poterti dire come mi comporterei, finora non mi ci sono mai trovata».

In più, da ammiratore, mi vengono in mente le sue produzioni più recenti, ad esempio uno degli ultimi pezzi intitolato “Ragazze delle canzoni”, che reputo un capolavoro assoluto. Pur rispettando naturalmente questo pensiero, egoisticamente parlando penso a tutti quei brani che aveva nel cassetto, per non parlare di tutti quelli che avrebbe potuto scrivere considerando l’altissimo livello raggiunto…

«Lo capisco, ma ci sono tanti brani già editi da riscoprire di Pino, ad esempio quello che hai citato. In questo disco non abbiamo potuto naturalmente mettere tutto, abbiamo fatto delle scelte, quattro dischi era il numero massimo consentito per fare un’operazione che avesse una sostenibilità. Hai ragione, quella canzone è un capolavoro, ma come lo è stato l’incontro con Pasquale Panella, un uomo straordinario che mi capita di sentire ancora, un intellettuale e un poeta strepitoso. Pino ha avuto la fortuna di collaborare con i più grandi parolieri di sempre, da Mogol ad Alberto Salerno, passando anche per Lucio Dalla, che ha scritto “Bella d’estate”, per poi scoprire più tardi la sua vena letteraria e cominciare anche lui a scrivere testi, dal 2002 in poi, con la pubblicazione di “Disincanto”».

A tal proposito, i suoi dischi di inediti pubblicati nel nuovo millennio sono tutti straordinari, proprio per questo motivo mi sono sempre chiesto come mai gli ultimi suoi lavori, in realtà, sono due album di cover. Era stata una sua scelta o una volontà esterna?

«Sì sì, certo, Pino non ha mai fatto nulla che non fosse una manifestazione della sua volontà, è una persona che non ha mai ceduto ad alcun compromesso o seguito qualche diktat oscuro delle etichette discografiche. Anzi… magari, dico io, fosse stato in alcuni momenti più malleabile (sorride, ndr). Questi due lavori nascevano dall’esigenza di misurarsi con brani non suoi, da lui stesso considerati capolavori e che avrebbe voluto scrivere, un’esperienza che lo ha divertito moltissimo. Guarda, se ha inciso una quarantina di cover, io ne ho a casa almeno il doppio, così ti faccio rosicare (ride, ndr), ne ho tantissime, proprio perché lui provava e riprovava, per poi scegliere quelle che secondo lui erano le più riuscite. Le altre sono quelle che lui ha scartato, per quello resteranno per sempre lì in un cassetto».

Venendo al concerto che si è tenuto alla Triennale nel corso della Milano Music Week, mi hanno colpito una serie di cose, tra tutte l’affetto incondizionato del suo fanclub, che continua ad esistere e a sostenere Pino con un calore che personalmente mi ha commosso, un amore che và oltre tutto, anche la morte…

«Assolutamente, questo perché Pino si dava molto ai suoi fan, arrivava sempre prima dei concerti, li faceva entrare alle prove per poi riceverli tutti nei camerini. Pensa che era “odiato” da tutti i direttori di teatro, perché si fermava sempre per ore a chiacchierare con loro, al di là delle foto, amava parlare con i suoi fan. Instaurava proprio un rapporto personale, al quale lui dedicava tantissimo tempo, ma con una grande passione, infatti il titolo del cofanetto “Tutto l’amore che conta davvero” non è stato scelto a caso, questa è un’espressione che lui usava spesso nei confronti delle persone che lo seguivano».

Un amore che và oltre, proprio come il tuo e quello dei tuoi figli. Un esempio importante perché a tutti capita, prima o poi, di perdere delle persone importanti nel corso della vita. Dove hai trovato la forza per andare avanti?

«Guarda, non lo so perché in questo caso i problemi principali sono due: la gestione del lutto e la gestione dell’aspetto pubblico, due cose non solo diverse ma anche antitetiche. Diciamo che la forza ce la siamo data a vicenda con i ragazzi, per me è stato più facile perché sono più grande, perché ho fatto e faccio questo lavoro, quindi so rapportarmi anche con te, per esempio, facendo questa intervista. Per i miei figli è molto più complicato gestire il pubblico e il privato, direi che sono tuttora anni difficili, impossibili da spiegare a parole, tenendo conto anche del tipo di rapporto che avevamo noi. Perché sai, al di là del legame di sangue, ne conosciamo tante di famiglie, soprattutto in campo artistico, i cui componenti non vivono sotto lo stesso tetto, spesso nemmeno si parlano.

Noi, invece, eravamo una famiglia unita che si amava e viveva insieme. A Filippo e ad Angelina manca innanzitutto il padre, non manca di certo l’artista, quando subisci un lutto hai bisogno anche di estraniarti, di poter ricominciare la tua vita, di dimenticare, di non pensarci in continuazione. Loro questo non lo possono fare, nel senso che quotidianamente vengono messi di fronte alla realtà, questo è anche uno dei motivi per cui noi siamo venuti a vivere a Milano, per poter godere di quell’anonimato che può consentire ai miei figli di fare le loro cose e vivere la loro vita senza dover piangere tutti i giorni la morte del padre. Devo dire che sono molto bravi, insieme formiamo questo triangolo e ci siamo sostenuti molto a vicenda in questi cinque anni».

Oltre all’affetto di tante persone che volevano bene a Pino e ne vogliono altrettanto a voi…

«Sicuramente, possiamo ritenerci fortunati, ma c’è stato anche tanto non affetto… Perché non è che dobbiamo fare un film Disney a tutti i costi… abbiamo subito in questi anni anche delle cose raccapriccianti, anche da persone che lavoravano con Pino. Diciamo che, alla fine, il nostro rapporto più l’affetto delle persone che ci vogliono bene e ci sono rimaste vicine, ha fatto sicuramente la differenza».

Attraverso la sua musica, Pino ha sicuramente ispirato tanti artisti dell’attuale generazione, tra questi c’è Willie Peyote che proprio di recente lo ha citato nel brano “Mango”, contenuto nel suo ultimo disco “Iodegradabile”. Ti è piaciuto questo suo omaggio?

«Assolutamente sì, l’ho chiamato giusto un paio di settimane fa, perché ho sentito questa canzone e sono rimasta colpita, perché finalmente qualcuno era riuscito a cogliere l’aspetto “epico”, passami il termine, della morte di Pino. C’è dell’eroismo nel modo in cui se ne è andato, proprio per questa ragione non ho mai voluto togliere da YouTube le immagini di Policoro, perché, secondo me, sono talmente dignitose e forti che possono essere di buon esempio. Il fatto che Willie Peyote abbia colto questo significato mi ha fatto piacere, lui è una persona molto in gamba, era veramente contento della mia telefonata perché aveva paura che non fosse stata gradita o capita dalla famiglia. In realtà ha centrato nel segno perché non ha fatto un pezzo dedicato direttamente a Mango, bensì ha utilizzato il suo esempio per esprimere la sua personale visione del mondo. Quando verrà a suonare a Milano lo andremo sicuramente a vedere, sono molto felice di questo suo omaggio».

Tu hai una voce straordinaria, ci sarà la possibilità di riascoltarla prima o poi?

«Guarda non lo so, nel senso che io invecchio e la mia voce pure. E’ anche vero che ci sono tante cantanti più grandi di me, ma loro non hanno mai smesso, mentre io, per molti anni, mi sono dedicata alla famiglia. Non ti nascondo che alcuni progetti li sto portando avanti, ad esempio uno spettacolo che si chiama “38chordae” con l’arpista Andrea Pozzoli e mio figlio Filippo al cajòn che accompagna. Quindi, delle piccole cose le faccio, se per cantare invece intendi la grande esposizione mediatica… tutta questa voglia non ce l’ho».

Sai che sogno un disco di cover di Pino cantato da te?

«Sai, nella vita non bisognerebbe mai dire mai, ma questa è proprio una cosa che posso tranquillamente escludere. A me non fa necessariamente piacere cantare le sue canzoni, per me è troppo doloroso, sono proprio l’unica al mondo che non potrebbe fare un disco di sue cover, lascio che siano gli altri magari a farlo, appoggerei sicuramente un progetto di quel tipo, ma non mio, non ce n’è proprio bisogno. Cioè no, assolutamente no, quando vedo altri che lo fanno non mi piace».

E l’insegnamento cosa ti sta dando in questi anni? Ti ha aiutato dal punto di vista umano?

«Assolutamente sì, avendo avuto delle esperienze mie personali, ma anche vivendo per tanti anni accanto a Pino, ho sviluppato questa capacità di accorgermi se c’è un’emozione che vibra mentre qualcuno canta, oppure se è solamente un fatto estetico. Di conseguenza ho scoperto questa mia inclinazione ad aiutare i ragazzi a comprendere i motivi per cui, in alcuni casi, questa emozione non arriva ed è questo il mio insegnamento, che non si pensi che io insegno canto perché non l’ho mai studiato in tutta la mia vita, non conosco la tecnica e non la voglio conoscere, anzi la trovo dannosa. Il mio è semplicemente un modo per capire se attraverso la voce riesci a trasmettere o meno vibrazioni agli altri, è un lavoro molto più psicologico. La voce è un mezzo, non è mai un fine».

Per concludere, a proposito di insegnamenti, ti chiedo: qual è la lezione più importante che ti ha trasmesso la musica?

«La musica mi ha dato la possibilità di vivere una vita con i piedi staccati da terra, una vita alternativa a quella umana legata al mangiare, al dormire, al parlare, a lavorare, ecc ecc. La musica è una sospensione spazio-temporale incredibile, che ti permette di vivere i tuoi sogni e le tue emozioni, un privilegio bestiale, un po’ come qualsiasi altra forma d’arte, ad esempio la letteratura o la pittura. Lo scorso anno ho avuto la fortuna di lavorare tutta una stagione per Radio InBlu con il professor Flavio Caroli, abbiamo fatto una trasmissione sulla storia dell’arte, analizzavamo tutti gli autori più importanti che hanno attraversato la storia. Quando hai a che fare con l’arte e la bellezza, stacchi i piedi da terra e arrivare a sera è molto più divertente».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.