venerdì 22 Novembre 2024

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Le canzoni mi dicono di non avere paura di cadere

Come i testi delle canzoni raccontano la paura di cadere

Ascolto Giorgia e canto insieme a lei, “l’amore più bellissimo ad un tratto cede il posto alla paura (…) è sempre imprevedibile la rotta dell’amore e cado, oh cado! tu mi porti su e poi mi lasci cadere (…) ah che bellezza! ah che dolore! (…) così che va la vita, così che va l’amore”. Siamo d’accordo che il contrario di cadere non sia sempre rialzarsi e che, toccato il fondo, non ci sia sempre una risalita? Messa così, la situazione potrebbe sembrare drastica e irreversibile, invece sono, di nuovo, le canzoni a venirci incontro e a permetterci di leggere, tra le pieghe di una caduta, le strade possibili e gli orizzonti alternativi, che, magari, da soli, non saremmo in grado di intravedere.

Tra le diverse risposte a una caduta, sono costruttive le parole di Alex Baroni “e per non cadere più cambiare”, ma arrivare a concepirle è il risultato di un grande lavoro di riflessività, perché cadere fa paura, sempre e comunque. Cadere significa prendere atto che ci è mancato un sostegno, un appiglio a cui sorreggerci o, ancor di più, aver perso l’equilibrio nella nostra iterazione col nostro mondo e con le persone che ne fanno parte.

Non possiamo, però, evitare di cadere e, come racconta Caparezza, “del giorno in cui mi cadde il mondo addosso Ricordo tutto, pure l’ora e il posto Il contraccolpo poi la stretta al collo La stretta al collo, la stretta al collo”. Sono quelle giornate che si piantano tra la testa e il cuore e che trasformano la nostra storia personale, quella di una città con i suoi abitanti e, addirittura, di un intero Paese.  È il caso dei Modena City Ramblers, che cantano “il giorno che il cielo cadde su Bologna piovvero pietre fiamme e vergogna una breccia nel muro e un’altra nel cuore quando il ricordo è radice custodisce il dolore quando il ricordo è radice il futuro avrà un fiore”, per ricordare la strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, quando una bomba venne fatta esplodere, con 85 persone a perdere la vita e oltre 200 ferite. Come e quanto, un simile evento cambia la coscienza civile e politica? Come risollevarsi da un baratro di questa portata? Di nuovo, cambiando. Perché, se è vero che la Storia non è sempre una buona maestra, quantomeno ci ricorda che la si può riconsiderare e che si impara a vivere anche dalle ferite conseguenti alla caduta, da quegli squarci che ognuno di noi risolverà, in ogni caso, a proprio modo.

Se Riccardo Cocciante, infatti, non ha “niente da aggiungere ne da dividere, nella tua trappola ci son caduto anch’io”, chiudendo con l’eventualità della prospettiva futura “avanti il prossimo, gli lascio il posto mio”, Chiello chiede di “non lasciarmi cadere; Io so che nel buio non si può camminare” e propone una soluzione possibile “per non essere soli ci si può perdonare”. La verità, forse, è ci sentiamo appesi, divisi nei sentimenti che ci viaggiano dentro, spesso in contrasto fra loro, e che ci portano a dire, con Sangiovanni, “vorrei averti qua E dirtelo in faccia Sono nel mezzo tra vivere e morire e stare qui Morire per poi vivere, poi sparire Ma la verità, sopravvivo, sì In una vita di alti e bassi Non mi resta che Cadere, volare Da un grattacielo sulle strade Cadere, volare Sul letto di un ospedale Dal cielo sopra il mare, il paradiso O dentro l’inferno in cui vivo Cadere, volare Anche se poi fa male”. Un testo suggestivo per l’uso dell’ossimoro ‘cadere volare’, che ci aiuta a esplorare le sensazioni provocate dall’accostamento di due verbi opposti per significato col fine di farci sentire come in un ingranaggio a spinte contrarie.

Tirati su e giù contemporaneamente, si fa alto il rischio di restare  bloccati in un limbo, da  cui non sappiamo riprendere il nostro viaggio e non riusciamo a liberarci da sentimenti che ci illudono e deludono. Lo sa Loretta Goggi, “e nell’illusione sei caduto pure tu”, aprendoci a questa sfaccettatura di quando si cade in una relazione d’amore e che pensiamo come naturale conseguenza di un inganno in cui siamo letteralmente cascati e che soltanto quella caduta ci ha permesso di rendercene conto.

Ce lo raccontano, anche, i testi di un magistrale Franco Califano, “una discoteca, un ballo, un’illusione in più E nell’illusione sei caduta pure tu Chi più di noi ha creduto in un amore Chi c’è rimasto male più di noi” e di Achille Lauro con i suoi potenti quadri, a tratti visionari, “sì, noi sì Noi che qui Siamo soli qui, noi sì Soli qui Fai di me quel che vuoi, sono qui Faccia d’angelo David di Michelangelo Occhi ghiacciolo Dannate cose che mi piacciono Ci son cascato di nuovo Ci son cascato di nuovo Pensi sia un gioco Vedermi prendere fuoco”.

Certamente, tutto dipende dal punto di vista con cui guardiamo le cose; così che, perfino cascare assume un significato desiderabile, anzi diventa un’azione da augurarsi, se la consideriamo con gli occhi di Ultimo quando canta, “ed io che invece vorrei solo averti più vicino Cascare nei tuoi occhi e poi vedere se cammino”. Cadere nell’amore si fa il più alto dei rischi, ma anche il più grande dei desideri perché, per dirla con la metafora siderale di Giulia Anania, la luna è grande ma le stelle di più” e, indubbiamente, “tu da che punto guardi le cose” puoi scegliere di fermarti sul concreto che vedi attorno e che puoi toccare con mano, oppure volgere lo sguardo al cielo e poter dire, un giorno, che “hai preferito le stelle ai lampioni ma le stelle cadono Cadono, le stelle cadono”, ugualmente a noi, che pur essendo di passaggio, possiamo viverci come energia pura del cosmo e, cadendo, lasciare comunque una scia di luce nel buio della notte. In senso figurato, un’altra dimensione da tenere presente nella caduta è il tempo, trattato da Sclero, quando dice “il fra che mi chiama e sto dentro la bando Sempre connesso no non perdo tempo A quello che faccio ci metto l’impegno Perché sento che i frutti stanno cadendo Sto in caduta libera Gente mi critica Sono una predict Tutto si pianifica Non mi serve il tuo giudizio Pronto a correre sto rischio Sono come un’equazione E la mia traccia si semplifica”.

Più si cresce e più prendiamo atto delle possibilità a nostra disposizione per  prendere decisioni sulle paure da affrontare e sugli equilibri da raggiungere. “Sarei anche capace di mandare indietro il tempo”, canta Noemi, “e riprovare a riaggiustare tutti quanti gli ingranaggi arrugginiti Che son rotti da un po’, rotti da un po”. Per questo, è pronta a prendere coraggio e sfidare la paura di cadere, in modo che “camminerò duemila metri sopra al mare in bilico Su questa corda irregolare Ed ho paura di cadere e farmi male”, ma consapevole che “sono anche capace di restare con le gambe a penzoloni E di guardare giù”.

Da qui, da questa direzione e da questa posizione, in caso di caduta, potremo comunque trovare un senso che ci permetta di non temere di restare a terra, anzi che ci faccia dire con Marracash “dovresti sapere Che io ormai sono bravo a cadere Tanto ormai siamo bravi a cadere Ed abbiamo già rischiato insieme Non c’è mai stata una rete Dopo di noi che succede? Se tanto ormai siamo bravi a cadere”.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.