A tu per tu con il duo viterbese-romano, fuori con l’EP d’esordio intitolato “Che fine abbiamo fatto“
A circa due anni di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Francesco Facchinetti e Matteo Ieva, alias Le Ore, per parlare del loro primo progetto discografico “Che fine abbiamo fatto“, rilasciato lo scorso 15 luglio e anticipato dal singolo Una canzone del cazzo.
Ciao Francesco e ciao Matteo, bentrovati. Partiamo dal vostro EP d’esordio intitolato “Che fine abbiamo fatto”, ve la rigiro sotto forma di domanda chiedendovi come avete trascorso questi ultimi due anni?
«Escludendo la parte che accomuna tutti, per quanto ci riguarda abbiamo cercato di sfruttare al meglio il tempo a disposizione. Abbiamo scelto di abbassare il nostro volume, senza postare più nulla sui social. In un momento in cui tanta gente approfittava della situazione per diffondere ulteriore confusione energie negative, noi abbiamo preferito evitare di scrivere post concentrandoci piuttosto sulle canzoni. Questo EP rappresenta una parte del lavoro realizzato nel corso di quel periodo».
In copertina c’è un fantasma, o meglio la rappresentazione iconografica di quello che dovrebbe essere un fantasma nell’immaginario collettivo. Cosa simboleggia per voi questa figura?
«Una volta terminate tutte le tracce, ci siamo resi conto che in ogni canzone c’era sempre una costante: questo fantasma che tornava sempre e che può rappresentare vari aspetti, dalle cose non dette alla malinconia di fondo che accompagna un po’ tutto l’ascolto. Alla fine abbiamo deciso di non considerare questo fantasma come un nemico da cui scappare, bensì come un alleato. Abbracciando questa nostra parte più oscura abbiamo scritto i nostri pezzi in assoluto più sinceri».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che sentite di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Nel nostro percorso musicale ci sono stati vari episodi e varie situazioni che ci hanno insegnato tanto, a partire dagli esordi, da quando andavamo a suonare le cover. Suonare in qualsiasi posto ci ha permesso di capire chi eravamo, una palestra che ci ha fatto capire quanto fosse indispensabile fare musica nella nostra vita. Questo mestiere ci ha insegnato a mantenere il focus sulla nostra passione, a non darla vinta ad alcun tipo di contesto negativo».
Nico Donvito
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