A tu per tu con il duo viterbese-romano, fuori con il nuovo singolo intitolato “Ci metti il resto“
Li abbiamo conosciuti a poche ore dalla loro partecipazione a Sanremo Giovani dello scorso dicembre (qui la nostra precedente intervista) e li ritroviamo, a distanza di qualche mese, molto maturati artisticamente. Stiamo parlando di Francesco Facchinetti e Matteo Ieva, alias Le Ore, duo musicale in uscita con il singolo “Ci metti il resto”, distribuito da Artist First, prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo, che segna l’inizio di un nuovo percorso per i due giovani artisti, una sorta di evoluzione naturale dei precedenti estratti “La tenerezza”, “Guardi avanti” e “La mia felpa è come me”. In occasione di questo nuovo lancio, li ospitiamo nuovamente per approfondire la loro conoscenza e parlare dei loro prossimi progetti in cantiere.
Ciao Francesco, ciao Matteo, bentrovati. Partirei senz’altro dal vostro nuovo singolo “Ci metti il resto”, che sapore ha per voi?
«Per noi “Ci Metti Il Resto” sa di roba vera, lʼabbiamo scritta semplicemente scrivendola, non abbiamo pensato a niente e alla fine è uscito tutto, ci ha emozionati anche se era ancora una demo, perciò abbiamo trovato il modo di produrla, registrarla, cantarla e farla uscire il prima possibile».
Un brano che, sin dal primo ascolto, fa emergere un percorso di ricerca e un’evoluzione sia dal punto di vista del sound che a livello testuale. Da quali punti siete partiti e a quali conclusioni siete arrivati?
«Noi ci siamo accorti solo ascoltando il brano prodotto e mixato che effettivamente questi mesi erano stati un percorso. Mentre passavano non ci accorgevamo neanche passassero, e questo forse è quello che succede quando le cose te le vivi davvero, nel momento in cui parli del tempo che manca o di quello che passa è come se un poʼ ti fermassi, non ci stai più dentro a quel tempo, piuttosto lo guardi. Noi ce li siamo goduti parecchio gli ultimi mesi, e costantemente raccontavamo tanto nelle frasi che appuntavamo, nelle tracce che abbozzavamo, nelle canzoni che buttavamo giù, e alla fine è come avere un diario di bordo, in cui se guardi lʼinizio e la fine ti accorgi che quello che cʼè di mezzo è un percorso, che involontariamente è anche ricerca, approfondimento, sperimentazione, ma di base è soltanto crescita. Se uno resta sempre sincero in quello che fa, i mesi non passeranno mai invano, saranno sempre testimoniati in quello che in quei mesi hai fatto».
Il pezzo è stato prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo, com’è stato lavorare con loro e quale è stato il loro apporto?
«Loro sono i nostri produttori da “La Tenerezza”, since day one insomma, e ogni volta è una sorprendente conferma. In teoria una conferma di per sé non può essere una sorpresa, perché se confermi qualcosa significa che già lo conosci, e invece con Federico e Giordano la sorpresa sta nel provare ogni volta la stessa sensazione della prima volta. Riescono a prendere il pezzo scritto e pensato da noi e renderlo quello che avremmo voluto farlo essere senza sapere che sarebbe potuto esserlo. Dopo avervi lasciato con una proposizione labirintica “alla Marzullo” procediamo con la prossima domanda».
Cosa aggiunge “Ci metti il resto” al vostro percorso rispetto ai precedenti inediti “La tenerezza”, “Guarda avanti” e “La mia felpa è come me”?
«“Ci Metti Il Resto”, sembrerà scontato, ma sembra aggiungere proprio “il resto”. Tutti i nostri pezzi precedenti erano testimoni di un momento, di unʼambientazione o di un dettaglio al di là della storia principale che raccontavano, ma con questo brano sentiamo come se la necessità di inserirsi in un contesto vada esplicitata, vada dichiarato che senza il resto nessuno di noi sarebbe se stesso. Lʼio non è altro che il risultato di quello che sono di mio sommato a quello che vedo e che ho visto, chi incontro e chi ho incontrato, quello che faccio o quello che ho mangiato. Il resto è tante cose, ma innanzitutto è quello che ti completa, quello che ti condiziona, e non sempre in modo positivo, è quel contesto senza il quale non saresti cresciuto, non avresti sbagliato, non avresti vissuto».
Di concreto, cosa vi ha l’asciato l’esperienza di Sanremo Giovani?
«La crescita umana e artistica non sappiamo se sia annoverabile tra le cose concrete, ma per noi lo è, perché la crescita in questo ambiente è anche mestiere, è esperienza, è consapevolezza. Sanremo Giovani ha realizzato uno dei nostri desideri, ci ha fatto respirare unʼaria che avevamo solo immaginato, e ci ha anche dato la conferma di quanto ci piaccia la musica abbinata allo show che ci gira intorno. Noi siamo Francesco e Matteo anche sul palco di Sanremo, ma siamo LE ORE anche quando siamo al supermercato a 5 minuti dalla chiusura, e questa cosa vogliamo proteggerla, perché spontanea e perché madre di quella che è la nostra musica, le nostre amicizie, la nostra vita. La televisione di indole è aggressiva, è invasiva, non sempre lascia lo spazio e il tempo a una cosa per dispiegarsi per quello che è, per questo va usata in maniera furba e cauta, con la strategia e lʼequipaggiamento più adatti; a noi è andata bene, Sanremo Giovani è un programma protetto, ci ha insegnato senza sgridarci. Poi una volta concluso, abbiamo preso tutto quello che Sanremo poteva darci per continuare a crescere (ma offline) ed eccoci con “Ci Metti Il Resto”».
Che ruolo gioca la musica nella vostra vita di tutti i giorni?
«Quanto è scontato dire che non ci sarebbe proprio vita senza musica? Ecco, siamo scontati così tanto. Ma ogni cosa che facciamo è ispirata da, e ispirazione per, la musica, quella che ascoltiamo e quella che faremo. Dalla passione per le tendenze del pop alla curiosità per le sonorità sperimentali e alternative, siamo il risultato di una vita passata con la musica in sottofondo, che sia in macchina, in doccia, in cuffia per strada, o con i dischi a casa».
Quale significato attribuite alla parola “artista”? Un termine ultimamente, forse, troppo abusato…
«“Artista” è un termine che, per noi, porta con sé delle responsabilità. Ultimamente si usa molto facilmente, e non è semplice dire quanto sia sbagliato, perché effettivamente un “qualcosa” anche di spontaneo, non pensato, non cercato, non preparato, potrebbe essere arte, facendo diventare chi lʼha fatto un artista. Poi cʼè la teoria che se una cosa funziona allora vada rispettata, in quanto funzionante, facendo, anche in questo caso, far diventare “artista” (di successo) chi lʼha fatta. Come detto prima, noi non siamo nessuno per poter giudicare lʼutilizzo di una parola così ampia e complessa, sappiamo soltanto che più volte ci hanno chiamato “artisti” e, senza mai affermare o negare questo appellativo, lavoriamo duramente ogni giorno per cercare di meritarcelo».
Cosa ne pensate dell’attuale scenario discografico? Quali sono le cose che vi piacciono e quelle che vi convincono meno?
«Siamo così onnivori, come detto sopra, che isolare qualcosa in particolare che ci piaccia, o che non ci piace, risulta complicato. Possiamo soltanto dire che siamo affascinati dai progetti che osano, che non mettono in pratica la ricetta per far funzionare le cose, ma che si buttano. Anche perché se guardiamo allʼestero, risulta intrigante anche osservare i progetti che seguono le maxi ricette del successo, perché con sé portano una tale professionalità e coerenza artistica, da essere comunque dʼesempio; dʼaltro canto, in Italia, le ricette pre-impostate non fanno lo stesso effetto, sanno di antico o, ancora pegggio, prevedibile. Ad esempio ultimamente abbiamo tanto apprezzato lʼesordio di Generic Animal, poi abbiamo anche fatto amicizia con Luca e abbiamo scoperto una personalità profonda e sfaccettata, che si intona perfettamente alla sua musica e ne spiega lʼorigine. Diciamo che facciamo musica prendendo ad esempio quello che non ci piace per non rischiare mai di farlo».
Quali sono i vostri prossimi obiettivi professionali?
«Far uscire musica che stimiamo e che comunichi qualcosa a chi ascolta, con la speranza che possa arrivare ad un pubblico sempre più ampio. “Ci Metti Il Resto” ha fatto piovere messaggi emozionati e questo ci emoziona di conseguenza, adesso la testa è fare i passi necessari per arrivare al disco dʼesordio, il primo obiettivo concreto».
Per concludere, dove e a chi desiderate arrivare con la vostra musica?
«Vogliamo arrivare dove si può, senza porci limiti, perché la vita finora ci ha sempre dimostrato che le cose magari succedono, ma al contrario di come le avevi immaginate. Sognamo tanto, a tratti troppo, poi facciamo finta di non averlo fatto, ma il primo pensiero è quello che conta, quindi sì, abbiamo sempre pensato in grande, da quando siamo nati su Facebook, ai produttori con cui abbiamo scelto di lavorare, alla quantità di ore dedicate al progetto, e tutto questo solo perché sentiamo che sia possibile davvero fare bene le cose, e che questo fare bene può generare a sua volta del bene, che poi ti ritorna indietro come soddisfazione, senza farti pensare che tutto questo era lavoro».
Nico Donvito
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