domenica 6 Ottobre 2024

ULTIMI ARTICOLI

SUGGERITI

Luca Dirisio: “Più che l’ispirazione, in musica conta la fermentazione” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore abruzzese, attualmente in radio con il singolo “Come il mare a settembre”

Il tempo è galantuomo, la gatta frettolosa fà i figli ciechi. Con questo mashup di detti popolari potremmo sintetizzare la piacevole chiacchierata con Luca Dirisio, artista che nel corso dei suoi quindici anni di carriera ha saputo mostrare talento e carattere attraverso le sue composizioni, tra cui annoveriamo quattro album e diversi singoli di successo. Come il mare a settembre è il titolo dell’inedito che anticipa il suo quinto tassello discografico, che vedrà la luce il prossimo 25 ottobre per Music Ahead. Si ricongiunge la coppia artistica con Giuliano Boursier, suo producer sin dagli esordi, con cui ha realizzato brani come “Calma e sangue freddo”, “Usami”, “Per sempre”, “Sparirò”, “Se provi a volare” e molti altri ancora. In occasione di questo atteso ritorno, abbiamo raggiunto telefonicamente per voi il cantautore vastese.

Ciao Luca, vorrei iniziare da “Come il mare a settembre”, che sapore ha per te questo pezzo?

«Essendo nato sul mare, è un po’ come fosse la mia Itaca, un elemento che mi porto dietro ovunque, ed è sempre lì che voglio tornare. Non solo in questo pezzo ma anche nel mio prossimo album, il mare compare in tutte le canzoni, così come l’idea che mi sono fatto dell’essere umano in questo secolo. “Come il mare a settembre” è una dedica alle storie estive di ragazzi che si conosco e si innamorano nel corso della stagione turistica, per poi fare ritorno a casa e alla propria vita. E’ un modo per rappresentare l’amore in tutta la sua purezza, che và un po’ contro il concetto espresso da tutte quelle coppie che continuano a stare insieme giusto per inerzia. In questo caso ho voluto concentrarmi sulla bellezza di questo sentimento, del momento in cui sboccia in maniera scintillante ed esplosiva. Quale migliore amico, se non il mare, per raccontare un qualcosa di così speciale?».

Come ti sei trovato a tornare a lavorare con Giuliano Boursier?

«Con Giuliano è come se non avessi mai smesso di collaborare, c’è una sorta di malcostume e di cattiva abitudine nel nostro ambiente, quando due persone smettono momentaneamente di collaborare si pensa a chissà quale rottura, a chissà quale litigio. Invece, magari, è solo voglia di fare altre esperienze, di allontanarsi da una tipologia di progetto che in quel momento ha esaurito l’entusiasmo, questo non vuol dire che non si possa tornare sui propri passi e ricominciare a lavorare insieme. Non ci vedo niente di strano, sicuramente sono cambiate delle cose che ci stanno intorno ma, fondamentalmente, non siamo cambiati noi. Ho ritrovato lo stesso Giuliano che avevo lasciato, certo, con qualche capello bianco e qualche figlio in più (sorride, ndr), ma come sono cambiate tante cose anche per me, ad esempio non avrei mai detto che mi sarei sposato, ma certe cose nella vita sono imprevedibili».

“Come il mare a settembre” anticipa l’uscita del tuo quinto album in studio, previsto per il prossimo 25 ottobre, cosa puoi spoilerarci a riguardo?

«Credo ci sia poco da anticipare, un cantautore quando esce con un disco nuovo non fa altro che frammentare la sua vita quotidiana, trasformarla in canzoni e metterla nelle mani di chi vuole ascoltarla, semplicemente questo. Un artista tende a soffrire di insoddisfazione cronica, difficilmente parlerà di capolavoro, personalmente mi rimetterei subito in studio, nel momento in cui ho finito il disco mi è venuta voglia di farne subito un altro. In queste nuove canzoni ho riflettuto a lungo sull’evoluzione dell’essere umano che, secondo me, è più una sorta di regressione, mandiamo avanti la tecnologia al posto nostro, stiamo diventando dipendenti da strumenti che dovrebbero agevolare la nostra esistenza e non controllarla. Non ti nego che sono un po’ stufo di tanti comportamenti innescati dai social network, da un mondo che sento sempre meno mio e che peggiora di giorno in giorno».

In tal senso, pensando ai tuoi primi anni di carriera hai realizzato i tuoi album in maniera cadenzata, uno dietro l’altro. Questa volta hai avuto più tempo per curare ogni minimo particolare? 

«Sicuramente sì, all’inizio della mia carriera ho pubblicato i miei dischi in maniera ravvicinata, non per mio volere. Questa volta di tempo per pensare ne ho avuto parecchio, tant’è che ho scritto molti più brani di quelli che ascolterete nel disco, forse un centinaio, alcuni li ho anche bruciati. Sai, il primo giudice di me stesso sono io, quando rileggo un concetto che non mi piace ho il vizio di mettere fuoco al foglio perché lo voglio dimenticare, non voglio avere nessun ricordo. Da questa selezione sono usciti trenta-quaranta pezzi che con Giuliano abbiamo messo in archivio, infatti, è stato molto difficile comporre la scaletta e lasciare molti pezzi fuori, alla fine ne abbiamo scelti metà io e metà lui per non scontentare nessuno dei due (sorride, ndr).

Tornando alla tua domanda, di tempo per riflettere penso che le persone ne abbiamo a sufficienza, solo che tendiamo a concentrarci sulle cose che ci comportano meno fatica, fermarsi a pensare è diventato troppo laborioso. L’uomo, che è dotato di ragione, in questo periodo sta iniziando a non ragionare più, utilizzando la tecnologia nella maniera più stupida, scrivere i messaggini con il T9 ti porta inevitabilmente a non conoscere più la grammatica, di conseguenza i ragazzini sbagliano i congiuntivi come se fossero degli ameboidi di un pianeta qui accanto. Tutto questo mi fa riflettere, mi spaventa e, ti dico la verità, mi fa pure un po’ schifo, perché stiamo perdendo le qualità tipiche dell’essere umano».

“La mia gente” è il titolo del brano che ha segnato il tuo ritorno discografico, un grido di speranza dedicato alla tua terra, all’Abruzzo. Quanto contano le tue radici in musica?

«Credo che siano metà dell’opera, quando una persona è attaccata alla propria terra la considera come una seconda madre. Ho la fortuna di vivere in un Paese esteticamente bello, un posto eccezionale che non mi fa mancare nulla, passando dal mare alla montagna, paesaggi che mezzo mondo ci invidia. Soprattutto, vado fiero delle persone che vivono in questa terra, terra che ogni tanto ci fa lo scherzetto di mettersi a ballare e comincia a tremare; nonostante tutto non siamo stati lì ad aspettare quei quattro politici che sono venuti a spettacolarizzare una terra devastata dal terremoto, ci siamo tirati sù le maniche da soli, senza aspettare niente e questo mi rende orgoglioso della mia gente.

La rabbia che mi porto dentro mi serve per essere un uomo migliore oggi, non ho peli sulla lingua, non ho niente da nascondere, per cui ti dirò di più, nessun collega si è fatto vivo a seguito del terremoto per chiedermi se fossi vivo o meno, artisti e addetti ai lavori con cui avevo collaborato o che avevo precedentemente incrociato, gli stessi che poi hanno ottenuto visibilità grazie a questa tragedia incidendo un singolo, per cui tutta questa sensibilità viene fuori solo a microfoni e telecamere accese».

Quando accadono questo genere di tragedie, quali credi siano i gesti realmente concreti?

«Ben vengano i concerti e ben vengano le canzoni, ma quello serve dopo, nell’immediato la prima cosa da fare è aiutare nel concreto. Con degli amici ci siamo subito mobilitati e siamo andati a dare una mano ai soccorsi, in particolare un altro gruppo vastese, i ragazzi de La Differenza, tra cui anche Toni Vandoni (direttore artistico di Radio Italia, ndr) abbiamo a nostre spese organizzato un pullman e siamo partiti per L’Aquila portando con noi generi alimentari e qualsiasi cosa potesse essere utile. Siamo andati noi a dare a mano questi piccoli aiuti che, in quel momento, per quelle popolazioni erano davvero importanti. Penso che se uno ha voglia davvero di aiutare si tira su le maniche e dà una mano, in silenzio, senza sponsorizzazioni».

Facciamo un salto indietro nel tempo al tuo omonimo album d’esordio, che sta per compiere quindici anni di vita. Al suo interno ricordo pezzi importanti, tanti potenziali singoli, cosa pensi quando ti capita di riascoltarlo?

«Eh sì, sono passati quindici anni, tra poco vorrà pure lui il motorino (ride, ndr). Scherzi a parte, la penso come te, considero alcuni di quei brani ancora oggi molto contemporanei, per questo motivo mi piacerebbe riarrangiarli, perché col tempo la musica cambia, i testi magari no, ma le sonorità necessitano comunque di essere riviste, qualche pezzo andrebbe anche un po’ svecchiato e riadattato alla mia voce attuale. Sono molto legato a questo album, come dici tu c’erano diversi potenziali singoli, mentre adesso c’è un po’ la tendenza a prendere un paio di pezzi da usare per la promozione per poi riempire il resto del disco; a me questa cosa non è mai piaciuta, in questo Boursier mi è compagno e fedele amico, abbiamo sempre cercato di fare in modo che ogni canzone avesse il suo perché e si differenziasse dalle altre, per non rendere l’ascolto tutto uguale. Così ho sempre fatto e così farò, come potrete notare anche nel mio prossimo lavoro».

Nel 2006 arriva la partecipazione a Sanremo con “Sparirò”, ti piacerebbe ricalcare il palco dell’Ariston?

«Beh, è scontato risponderti di sì, per uno che fa musica è un privilegio poter suonare con un’orchestra tra le migliori del mondo, credo che sia un’emozione anche per chi l’ha fatto dieci volte, figuriamoci per chi come me ha partecipato una sola volta. Quello che non mi piace di Sanremo è la formula, non ho mai vissuto la musica come una competizione, al di là dell’abolizione delle eliminazioni considero la gara poco interessante, il fatto di dover per forza attribuire delle posizioni e stilare una classifica, è chiaro che alla fine ci deve essere un vincitore, ma trovo sgradevole fare l’elenco di tutti gli altri cantanti, dal secondo all’ultimo, come se una canzone fosse migliore dell’altra, onestamente lo trovo un pochino di cattivo gusto».

Questo è il Luca che mi piace, di questi tempi è sempre difficile trovare artisti che si espongono, che non hanno paura di dire la propria, senza voler scendere a compromessi, soprattutto ideologici. In molti venderebbero i propri cari per ottenere sempre più successo… 

«Penso che la vita sia una sola, se la sprechiamo per leccare il culo alla gente diventa davvero una vita di merda! Non trovo alcuno motivo per doverla sprecare dietro a questo genere di orpelli e stupidaggini, non faccio questo lavoro per il successo, unicamente per il piacere di scrivere canzoni e presentarle al pubblico, sta a chi le ascolta decidere se sono valide o meno, di sicuro non ho la presunzione di pensarlo da me».

Negli ultimi tempi, il termine “artista” viene frainteso e talvolta usato a sproposito, spesso come sinonimo di cantante. Che significato attribuisci a questa parola?

«Per me l’artista è un tipo che non ha più di tanto bisogno di avere un riscontro, è abituato a fare cose belle, gli piace osservare, condurre una bella vita, ma non dal punto di vista degli agi e dei comfort, piuttosto facendo ciò più che gli piace, in maniera serena e tranquilla. Ognuno di noi è un potenziale artista, il problema è che siamo troppo presi dalla frenesia che ci sta intorno e non riusciamo a concentrarci, a godere di quello che abbiamo, è più facile lamentarsi e desiderare sempre altro, con il rischio di trascorrere l’intera esistenza nella più totale insoddisfazione. Le persone si scordano di passare del tempo con gli amici, di fare una passeggiata a piedi o in bici, si tende a trovare sempre la soluzione più comoda, la scorciatoia per fare prima carriera. L’artista è lontano da tutte queste logiche, il suo stile di vita è completamente differente».

Per concludere, qual è la lezione più importante che hai appreso dalla musica?

«Che a volte è necessario starsene in disparte, un po’ più isolato, che non c’è bisogno di una grande esposizione e, sopratutto, di non fidarsi ciecamente delle persone che ti lavorano attorno. Negli anni ho imparato ad essere un po’ più autoanalitico, a farmi qualche esame di coscienza in più, per capire anche da solo cosa è giusto fare, perché nessuno può pensare ai tuoi interessi meglio di te stesso. Per il resto, la musica viene da sola e non è una questione di ispirazione, credo sia molto più importante la fermentazione, perché il tempo ti dà la possibilità di maturare concetti ed esporre al meglio quello che hai la necessità di dire».

The following two tabs change content below.

Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.