L’artista arrivato al Festival in punta di piedi e uscito come gigante ha tutto quello che serve per volare anche dopo l’esperienza sanremese
Che Mahmood fosse un talento lo si era già capito ben prima della vittoria al Festival di Sanremo di quest’anno, già dal successo tra i giovani a dicembre con il brano Gioventù bruciata e ancor prima per le numerose collaborazioni di spicco tra il mondo dell’hip hop e non solo: il buon Alessandro ha affiancato (nella scrittura o nel canto) Fabri Fibra, Guè Pequeno, Elodie, Michele Bravi e Marco Mengoni, insomma mica roba da poco.
Eppure nonostante le numerose collaborazioni il suo nome è rimasto sempre un po’ nell’ombra, anche con l’EP Gioventù bruciata, pubblicato il 21 settembre e poi ristampato in occasione dell’omonimo brano con cui ha partecipato a Sanremo Giovani. Probabilmente però è proprio in quest’ombra che il giovane artista italiano ha lavorato silenziosamente fino ad esplodere completamente lo scorso 9 febbraio dopo aver trionfato tra i big del Festival.
Ma Soldi, ovvero il brano scelto dal cantante per gareggiare all’interno della kermesse, non è solo una hit, è un manifesto di una nuova generazione di suoni che finalmente esce allo scoperto, vince e convince perché riesce a mettere d’accordo tutti, giovani e non. Soldi è finalmente la dimostrazione di come anche l’Italia possa essere moderna senza perdere le proprie radici, non omologandosi a suoni copia incolla presi oltreoceano, è l’attestazione che anche il posto più tradizionalista del paese (il Festival) alla lunga possa aprirsi alla novità.
Il brano si appoggia ad una struttura assolutamente non canonica con il ritornello che viene ripetuto più volte e sempre anticipato da numerosi pre-ritornelli che rendono il tutto eterogeneo e tremendamente moderno, i più critici non possono nemmeno attaccarsi al testo perché quello portato da Alessandro non è un miscuglio di parole messe a caso su una bella base, ma anzi può essere certamente riconosciuto come uno dei migliori testi tra quelli presentati quest’anno al Festival.
Mahmood ripercorre la sua infanzia e la sua vita, tra i ricordi di un padre ora distante e riflessioni di come i soldi possano cambiare varie dinamiche soprattutto nei rapporti personali, aggiunge poi in arabo la frase “figlio mio, figlio mio, amore vieni qua”, per rafforzare ancor di più quell’immagine distante di un’infanzia passata, lasciata volutamente nella lingua originale (il padre è egiziano) per mantenerne intatta la magia.
Tutto ricamato e perfettamente confezionato dal duo di produttori Dario Dardust Faini, che insieme allo stesso Mahmood ha contribuito a dare la prima vita la pezzo contribuendo nella sua stesura originaria (che noi abbiamo intervistato qui) e poi Charlie Charles, vero e proprio hitmaker, autentico esempio di produttore moderno e già noto per le sue produzioni di successo nel mondo trap.
Il risultato è che Mahmood rappresenterà con orgoglio l’Italia al prossimo Eurovision Song Contest, con un brano che finalmente riesce ad unire modernità e freschezza alla non leggerezza di un testo ben pensato e ben incastrato tra le note. Una vittoria, finalmente, per tutti.
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Redazione
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