A tu per tu con il cantautore catanese, in uscita con il suo nuovo album intitolato “Amarcord“
A pochi mesi di distanza dalla nostra ultima intervista, ritroviamo con piacere Mario Castiglione, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Mameli, in occasione dell’uscita del suo primo disco ufficiale “Amarcord”, che arriva a un anno e mezzo dal precedente EP “Inno“. Dieci tracce in scaletta che mettono in risalto le capacità di scrittura e il piglio interpretativo del cantautore siciliano, abile nel destreggiarsi tra sentimenti, stati d’animo e riflessioni universalmente riconoscibili.
Ciao Mario, bentrovato. Partiamo da “Amarcord”, una parola che personalmente mi ha sempre affascinato, non solo perchè evoca suggestioni di felliniana memoria, ma perché la trovo calda e avvolgente. A cosa si deve la scelta di questo titolo?
«L’ho trovato il modo più semplice per esprimere un concetto in blocco, ossia avere nostalgia di qualcosa ma in maniera leggera, molto comedy, come una pulce piantata nella testa che ti accompagna e ogni tanto ti ricorda la sua presenza. Contemporaneamente possono alternarsi anche altre sensazioni, come la rabbia, la sofferenza, la consapevolezza o la non rassegnazione. L’album racconta qualcosa che mi è capitato, per cui mi andava di racchiudere il tutto in una parola molto semplice, perchè alla fine significa “Io mi ricordo” in dialetto romagnolo, per esprimere al meglio un significato molto più profondo e complesso».
L’ho trovato davvero un gran bel disco, le tracce sono unite tra loro da questa nostalgia di fondo. La sofferenza è comunque una componente fondamentale dell’arte, cito la famosa frase di Tenco: “scrivo canzoni tristi perchè quando sono felice esco”. Sei uno che scrive anche quando è in buona?
«Sì, ma non mi reputo bravo quando sono preso bene, onestamente penso di riuscire ad esprimermi meglio in una determinata direzione. E’ anche una questione di legame che si instaura con le persone che mi ascoltano, in questo periodo della mia vita ho capito che il Mario più sincero, empatico e reale esce fuori quando scrivo canzoni più tristi, fondamentalmente perchè racconto quello che ho vissuto. Mi riferisco a quando ho scritto l’album, poi ci siamo rimessi insieme e le cose ora stanno andando bene, infatti non sto scrivendo canzoni (ride, ndr)».
Il disco ripercorre tutta la storia, non solo l’epilogo, partendo dalla fase iniziale del corteggiamento raccontata in “Borotalco”, tra le tracce più up del disco, canzone impreziosita dalla collaborazione con Lorenzo Fragola. Com’è stato lavorare con lui?
«Figo, molto figo, siamo due ragazzi della stessa città, che tifano per la stessa squadra di calcio, che suonando e che cantano. Diverse cose in comune che abbiamo scoperto dopo un po’, perchè ci conosciamo da un sacco di tempo ma non abbiamo mai scritto insieme, a causa di vite separate e percorsi diversi, lui è partito prima, subito dopo X Factor, mentre io ero rimasto ancora giù in Sicilia a riflettere. Ci siamo beccati per lavorare insieme lo scorso novembre, è nata “Borotalco” in una notte, a Catania. E’ una canzone arrivato di getto, siamo entrambi contenti del risultato».
In molti abbiamo una persona che non riusciamo a dimenticare, proprio per questo motivo trovo sia facile immedesimarsi in una nostalgia che hai provato tu, ma che può davvero coinvolgere chiunque. Pensi che, in un’epoca in cui nelle canzoni si parla anche di cose un po’ distanti dalla realtà, può risultare più facile per l’ascoltatore riconoscersi in questo tipo di canzoni, da una parte autobiografiche ma dall’altra universali?
«Guarda, io appartengo a questa scuola di pensiero. Nelle canzoni che ascolto mi devo riconoscere in qualche cosa, che sia nelle parole oppure nella musica, banalmente in un beat. Però dipende, perchè ci sono comunque artisti come Fabrizio De Andrè o Niccolò Fabi che sono anche bravi a fare i cronisti di storie che apparentemente non ci toccano, ma ce le raccontano talmente bene da farci entrare dentro quel tipo di narrazione. Io non sono andato a toccare quelle corde lì perchè avevo una storia da raccontare, magari un giorno mi sveglio e comincio a lavorare su un disco che parla di qualcosa che non ho vissuto in prima persona. Sarebbe una bella sfida, non è qualcosa che escludo in futuro».
Per concludere, alla luce di quanto ci siamo detti e in riferimento al complicato momento che stiamo vivendo, quali riflessioni ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà questo album? Perchè credo sia un disco i cui contenuti possano andare anche oltre una narrazione di coppia, bensì verso qualcosa di più personale e introspettivo…
«Assolutamente sì, ci sono tantissime cose che possono uscire fuori ascoltando questo album. Dal mio amore per il cantautorato, con la citazione a De Gregori, alla speranza trasmessa tra le righe di “Futuro”, canzone che si sgancia dal concetto di coppia, guardando più in generale verso i sentimenti. Gli spunti sono vari, secondo me è anche bello che ognuno ci ritrovi il suo, proprio come faccio io ascoltando i lavori di altri artisti».
Nico Donvito
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