A tu per tu con l’artista sardo per parlare del suo nuovo progetto discografico intitolato “Bagagli leggeri“
Ha avuto il coraggio di provare l’ebrezza di sentirsi libero Marco Carta, lo ha fatto in più modi e con la maturità coltivata nei suoi trentaquattro anni di vita. “Bagagli leggeri” è il titolo del disco che ce lo restituisce in piena forma artistica e, per la prima volta, nell’inedita veste di co-autore di ben tre brani (“Un cuore basterà”, “Me l’hai detto tu” e “L’inizio e la fine”). Anticipato dai singoli “Una foto di me e di te“, “Io ti riconosco“ e “I giorni migliori“, l’album contiene dieci tracce inedite composte per e con lui da Gianluca Florulli, Giovanni Pastorino, Stefano Patinai, Gabriele Oggiano, Elisa Erriu, Michele Zocca, Alessandro Ciffo, Andrea Amati, Marco Rettani, Raige e Davide Simonetta. A pochi mesi di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, lo ritroviamo per parlare di questo nuovo disco, da lui definito come il suo lavoro più importante.
Ciao Marco, bentrovato. Partiamo da “Bagagli leggeri”, che sapore ha per te questo nuovo progetto in studio?
«Ha un sapore nuovo, inedito appunto, visto che sono autore di tre canzoni. Mi avete sempre visto come interprete, questa nuova figura dona sicuramente freschezza e tanta curiosità, sia nei miei fan che da parte mia, spinto dal desiderio di mettermi sempre alla prova, senza sottovalutare la difficoltà del mettersi in discussione. Volevo e dovevo fare questo salto, per me è stato fondamentale, importantissimo e vitale. Sono molto felice».
Possiamo definirlo un primo tassello per un futuro passaggio da interprete a cantautore?
«Sì, anche perché quando prendo gusto nelle cose entro praticamente in un loop compulsivo e non smetto più (sorride, ndr). In passato non sono riuscito ad aprirmi a scrivere delle cose perché, dal mio punto di vista, l’essere interprete e lo scrivere le proprie canzoni và un po’ in disaccordo, in conflitto, perché per cantare pezzi scritti da altri bisogna avere un’attitudine particolare, un po’ come un attore che si cala nei panni di qualcun altro. Mentre un cantautore si spoglia totalmente per raccontare se stesso o ciò che gli sta intorno, ma in maniera sempre molto personale. Penso che per un interprete sia ancora più difficile fare questo tipo di lavoro».
Infatti, spesso si sottovaluta la difficoltà di un interprete…
«Si sottovaluta molto il ruolo dell’interprete, mi vengono in mente nomi come Mina, Laura Pausini, Giorgia e tanti altri. Poi, certo, ci sono Guccini, De Andrè e Battisti, che sono dei grandissimi cantautori, ma immedesimarsi nelle emozioni che anno provato altri e cercare di metterle all’interno della propria interpretazione è veramente una cosa difficile, non è detto che lo si faccia bene, ma per tutta la vita almeno ho provato a farlo».
Lo hai definito il tuo disco più importante, quello della libertà, per quale motivo?
«Sono motivi diversi e congiungono astralmente tra loro, in primis perché l’etichetta che mi produce è indipendente, la Saifam Music, e l’avverto come una grande libertà perché c’è molto dialogo, non dico che in passato con la Warner non ci fosse stato, anzi colgo l’occasione per salutare e ringraziare la major con cui per anni ho realizzato cose pazzesche e bellissime, però c’è un modo di pensare completamente diverso, secondo me c’è meno libertà artistica, si seguono delle linee guida ben stabilite».
In più ti sei liberato anche delle tue zavorre, ecco perché “Bagagli leggeri”?
«Esattamente, tra i motivi di questo mio sentirmi totalmente libero c’è la leggerezza di aver fatto un coming out, che per me ha avuto un grande peso, una forte importanza, perché l’amore contiene tanti sentimenti al suo interno, non va inteso soltanto come quello nei confronti di un partner, di conseguenza è come se mi fossi liberato di un peso, o sono diventati più forti i muscoli o questi bagagli si sono effettivamente alleggeriti».
Oggi è una doppia data importante, perché insieme all’album arriva sugli scaffali delle librerie “Libero di amare”, co-scritto con Marco Rettani. Cosa hai voluto raccontare in questa tua seconda opera letteraria?
«Ho ripreso dei punti che già avevo trattato nel mio precedente libro “Ho una storia da raccontare”, anche se in quell’occasione non mi sono sentito di toccare dei dettagli così intimi, non avendo fatto ancora coming out avevo paura di dire determinate cose, se ci ripenso mi dò dello stupido, perché non c’è niente di più bello del sentirsi liberi di essere se stessi. “Libero di amare” è un po’ un sequel del precedente, che racconta tutto quello che è arrivato dalla vittoria di Sanremo in poi, il filo sottile tra Marco Carta e Marco, perché nella vita di tutti i giorni non sono una persona diversa da quella che mostro in pubblico, ma ho dei principi che ho voluto descrivere nella maniera più semplice possibile».
Senti di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?
«No, morirò con questo obiettivo (ride, ndr). Perché io voglio essere sempre chi non sono, quando raggiungo qualcosa cerco sempre di ottenere un upgrade. Non riesco a star fermo, sono fatto così».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Non accontentarsi e non sentirsi mai realizzati, perché quando pensi di essere arrivato è il momento in cui cominci a cadere, senza essertene ancora accorto».
Nico Donvito
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