A tu per tu con il noto pianista tedesco, tra i protagonisti della rassegna Piano City Milano 2019
L’esaltazione dell’elettronica a servizio del pianoforte classico, questo l’approccio alla musica di Martin Kohlstedt, pianista e compositore tedesco classe ’88, che ha da poco rilasciato a livello internazionale il suo nuovo album “Ströme” (Warner Classics), un disco che si avvale della prestigiosa collaborazione con il Coro di settanta voci del Gewandhaus di Lipsia, una delle più antiche istituzioni musicali europee. In occasione del suo passaggio in Italia per Piano City Milano, abbiamo incontrato il musicista per parlare di sperimentazione e innovazione delle sue composizioni, influenzate dall’uso e dalla ricerca di nuove sonorità. Le sue opere sono conosciute per esercitare un potere magnetico in grado di coinvolgere sia i collaboratori che gli ascoltatori, in un’atmosfera di grande interazione e intimità personale che stupisce e appassiona sin dal primo ascolto.
Ciao Martin, partiamo dal tuo ultimo album “Ströme”, quando e come è nato?
«Il progetto è iniziato due anni fa dalla richiesta di collaborazione del Gewandhaus di Lipsia, un’istituzione musicale leggendaria, l’idea era di realizzare un qualcosa che andasse al di là dallo schema tradizionale classico. Con il direttore del coro Gregor Meyer c’è stata un’ottima intesa, che ha portato a dare forma a questo nuovo lavoro in studio».
Quanto contano per te la dimensione live e il contatto con il pubblico?
«La mia musica è fondamentalmente comunicazione, a partire dal concetto di sentimento che viene fuori dalle note, fino ad arrivare alla vera e propria interazione con gli altri, dai collaboratori al pubblico. Le sensazioni che si provano nel corso di un live rappresentano il vero e proprio meccanismo creativo, un’emozione che si gestisce nel momento stesso della performance».
Al suono del pianoforte associ spesso l’elettronica, quanto contano per te le contaminazioni?
«Tutto parte dal pianoforte, strumento che mi ha permesso di creare un mio vocabolario musicale. Ad un certo punto, però, ho avvertito la necessità di andare oltre, di confrontarmi con qualcosa che sviluppasse la mia musica in modo più ampio, più forte, anche a costo di distruggere la mia precedente esperienza acustica e classica. L’elettronica ha amplificato l’inventiva e mi ha aperto a nuovi orizzonti».
Quando e come hai scoperto che la musica, oltre che una passione, poteva diventare un vero e proprio mestiere?
«Ho cominciato a suonare all’età di dodici anni, la musica è sempre stata una parte importante della mia vita. Da ragazzo ho suonato in vari gruppi che realizzavano diversi tipi di generi, dal jazz all’hip hop, in più ho scritto diversi jingle per le radio. Verso i vent’anni ho capito di voler esprimere e portare avanti il mio mondo musicale, ho avvertito l’esigenza di voler dire qualcosa e non essere più al servizio di altri progetti, da lì è iniziato un nuovo percorso».
Dopo l’esperienza all’Expo del 2015 torni a Milano per il Piano City, cosa ne pensi di questa rassegna?
«Piano City Milano non è solo un’opportunità per farmi conoscere, ma per apprendere io stesso da altre realtà musicali, questa rassegna offre uno scenario molto ampio di come si può suonare questo strumento, per cui è molto interessante perché permette di ascoltare diversi linguaggi e modi di sperimentare. Sono stato in Italia anche in altre occasioni, a Pordenone e ad Offagna (in provincia di Ancona, ndr), per suonare in Festival dove viene richiesto di usare l’elettronica come veicolo dirompente rispetto alla classicità. In un Paese così legato alla tradizione classica, si percepisce un forte desiderio di sperimentare nuove strade».
Per concludere, cosa ti ha insegnato la musica in tutti questi anni di attività?
«L’esperienza di ascolto della musica è già un’occasione di apprendimento, proprio per un discorso di apertura mentale e di percorso che questa forma d’arte ti porta a percorrere. Tutto quello che ti viene trasmesso diventa a sua volta fondamentale per andare a comporre qualcosa di personale, di unico nel panorama internazionale. La musica non si crea in maniera rigida o definita, un ruolo fondamentale bisogna attribuirlo all’intuizione e all’interazione con gli altri musicisti».
Nico Donvito
Ultimi post di Nico Donvito (vedi tutti)
- Sanremo Giovani 2024, conosciamo meglio i Cosmonauti Borghesi – INTERVISTA - 25 Novembre 2024
- Cosa può una canzone: la musica per dire STOP alla violenza contro le donne - 24 Novembre 2024
- Sanremo Giovani 2024, conosciamo meglio Nicol – INTERVISTA - 24 Novembre 2024
- Sanremo Giovani 2024, conosciamo meglio Giin – INTERVISTA - 24 Novembre 2024
- Ottobre: “La musica per me è croce e delizia” – INTERVISTA - 24 Novembre 2024