A tu per tu con la giovane cantautrice piemontese, in uscita con il suo album d’esordio intitolato “Cara me“
A pochi mesi dalla nostra precedente chiacchierata, realizzata in occasione della sua partecipazione a Sanremo Giovani, ritroviamo con piacere Martina Beltrami per parlare di “Cara me”, progetto che segna il suo debutto discografico, disponibile per per Artist First/Fiero Dischi a partire dallo scorso 25 marzo.
Ciao Martina, bentrovata. Partirei da “Cara me“, da una panoramica generale su come si è sviluppato il processo creativo di questo tuo album d’esordio…
«E’ un disco che sarebbe dovuto uscire due anni fa, di conseguenza lo considero molto atteso, molto lavorato e, quindi, molto pensato. In questo la pandemia ha impedito di fare molte cose che, altrimenti, si sarebbero svolte in un tempo minore. Però devo dire che sono molto contenta del risultato, credo che sia un album che mi rappresenti molto. Sono felice di aver lavorato con persone fantastiche e di tutto il team che ho avuto al mio fianco».
Per le produzioni di queste dieci tracce ti sei affidata a diversi produttori. Il risultato è comunque un album compatto, coerente, coeso e organico. Che tipo di lavoro c’è stato dietro la ricerca del sound?
«Al suono ho lavorato insieme ad Andrea Rigonat e Gianmarco Grande. In effetti devo ammettere che c’è un filo conduttore che unisce tutti i pezzi, si parte sempre da un mio provino che generalmente è una ballad piano e voce. Da lì si è sviluppato il tutto, giocando anche con l’elettronica. Alla fine non si è trattato neanche di sperimentare, perchè l’intento non era quello, ma si è trattato di un processo naturale. Cercavamo di arrivare ad un qualcosa che ci restituisse delle emozioni, ci siamo riusciti utilizzando questi suoni».
A livello tematico, potremmo descrivere questo disco come una sorta di diario o di inventario, in cui hai scelto di inserire tutto: vittorie e sconfitte, le volte in cui si cade e quelle in cui ci si rialza. Quanto hai dovuto scavare in profondità e a mani nude per tirare fuori senza filtri tutto questo vissuto? Mettersi a nudo non è mai un processo semplice…
«La parte più difficile è stata andare a ripescare tutte quelle sensazioni e tirarle fuori, perché alla fine parlo di situazioni che ho vissuto con una persona che non fa parte della mia vita da tempo. Sicuramente i testi sono nati da un vero e proprio flusso di coscienza, ma anche da un brainstorming di idee, magari molte volte buttate lì, proprio per un esigenza di sfogo. Poi sono stati ripresi, lavorati e l’attesa è stata data dal fatto che, in questo periodo particolare, ho avvertito un cambiamento dentro di me nel modo di scrivere. Quindi, ho rimesso mano ai testi e questo è un motivo per cui poi l’uscita è stata in qualche modo posticipata».
Per concludere, c’è un insegnamento in particolare che reputi importante e che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Sto imparando che non c’è un limite a ciò che si può, a ciò che si può creare, a tutte le emozioni che si possono tirare fuori. Credo che questa cosa sia speciale e incredibile, poter veramente esprimere qualsiasi tipo di sensazione, lasciandoti scuotere e vibrare dall’interno. Questa è una cosa che consiglio molto: provare a scrivere qualcosa, a buttare giù i propri pensieri, non per forza fare musica, ma di rendere concreto un sentimento o un disagio, una sensazione bella o brutta che sia. Credo che la musica possa aiutare, con me lo ha fatto».
Nico Donvito
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