Mecna: “Scrivo partendo sempre da me stesso” – INTERVISTA
A tu per tu con Mecna che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo disco “Discordia, armonia e altri stati d’animo”. La nostra intervista all’artista
Con “Discordia, armonia e altri stati d’animo” (EMI Records Italy / Universal Music Italia), Mecna firma uno dei progetti più maturi e introspettivi della sua carriera. Dodici tracce che raccontano emozioni senza filtri, esplorando le sfumature della vulnerabilità e dell’inquietudine con un linguaggio musicale raffinato, sospeso tra rap e cantautorato contemporaneo. Il disco, impreziosito dalle produzioni di Lvnar e Fudasca, consolida il percorso di un artista che ha scelto di non nascondere le proprie fragilità, ma di trasformarle in forza narrativa.
Un album che è anche un viaggio personale e collettivo, in cui lo sguardo si allarga fino a comprendere riflessioni sulla propria generazione, sul tempo che viviamo, sulla musica come rifugio. Abbiamo incontrato Mecna alla vigilia del Terapia Club Tour 2026 per parlare del disco, delle sue ispirazioni e di cosa significa raccontarsi con sincerità in un genere dove spesso regnano l’invincibilità e il distacco emotivo.
Mecna racconta il disco “Discordia, armonia e altri stati d’animo”, l’intervista
Prima di entrare nei dettagli, partirei da una panoramica generale: com’è nato questo disco che ha avuto una lunga gestazione?
«Ho iniziato a scrivere questo disco un paio di anni fa. Come faccio spesso, ho prodotto tanti pezzi e poi ho scelto con razionalità cosa tenere. In questo caso ho tolto molto, perché ho capito che le cose che mi piacevano di più avevano tutte una direzione precisa, sia a livello sonoro che di contenuti. Ho scelto quindi di includere solo i brani più coerenti con il momento che sto vivendo».
Quali riflessioni hanno ispirato le tracce e quali sono gli altri “stati d’animo” che non citi nel titolo?
«Gli altri stati d’animo sono da scoprire nell’ascolto. Scrivo partendo sempre da me stesso, da come mi sento, da come percepisco la società, l’industria musicale, la mia generazione, i miei amici. Non ci sono brani monotematici, ma piuttosto flussi di coscienza che toccano varie sfumature emotive».
In un genere, il rap, spesso associato all’invulnerabilità, tu hai sempre parlato di fragilità. È una scelta che favorisce anche l’immedesimazione?
«Sì, è una cosa che faccio da sempre. Ho sempre trovato più ispirazione nei momenti “no”, nei momenti di vulnerabilità. Ultimamente ho trovato anche più forza nel raccontarli. Nessuno vuole sentirsi “perdente”, ma a tutti capita. Capire che sono fasi, che ti servono per conoscerti meglio, può diventare una forza».
C’è stato un disco, un artista, una canzone che ti ha salvato in un momento di down?
«Sicuramente. Io cerco nella musica degli altri quello che penso le persone cerchino nella mia: un porto sicuro. Non mi interessa ascoltare qualcosa che mi distragga, preferisco musica che abbracci quel momento. Penso a Frank Ocean, che ho sempre amato, ma anche Dominic Fike, Bon Iver, Dijon. Non è musica simile alla mia, ma ne condivido l’urgenza espressiva».
“Sognare in grande” è un manifesto generazionale. Come descriveresti la tua generazione?
«Parlo delle persone che mi circondano, i miei coetanei. Vedo uno spaesamento: “dovevamo essere adulti, ma nessuno si sente tale davvero”. C’è confusione, ancora si cerca sé stessi. Con questo pezzo volevo raccontare proprio questa sensazione».
“La stessa canzone” riflette su quello che resta dopo una relazione. Che rapporto hai con i ricordi?
«Sono nostalgico, amo i ricordi e tornano spesso nella mia musica. Anche in “Alfabeto”, per esempio, parlo di un amore adolescenziale. Ne “La stessa canzone” c’è l’idea che, col tempo, restano le cose belle, anche dopo una separazione. È bello ritrovarsi, anche se le vite vanno in direzioni diverse».
In “Ritratti” chiudi il disco con una frase di Ghemon: “Niente è tanto personale che non si può raccontare”. C’è qualcosa che hai lasciato fuori?
«Credo di aver raccontato tanto, non solo in questo disco. Quella frase mi suonava come un mantra. A volte ho raccontato cose anche solo attraverso la musica, senza dirle esplicitamente. Mi sembrava il modo perfetto per chiudere un cerchio».
Per concludere, a gennaio parte il tuo Terapia Club Tour 2026. Cosa ti aspetti e cosa può aspettarsi chi verrà a vederti?
«Mi aspetto grande calore. Sto già immaginando il palco, la scenografia. Amo la dimensione dei club: grandi ma intimi, connessi col pubblico. Sarà qualcosa di diverso rispetto ai tour passati, stiamo lavorando per offrire uno show nuovo, bello, coinvolgente».