A tu per tu con l’artista umbro, al suo secondo Festival di Sanremo in gara con “Inverno dei fiori“
A circa un anno di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Michele Bravi per parlare della sua partecipazione a Sanremo 2022 con “Inverno dei fiori”, canzone che racconta la capacità che possiedono certi amori di non subire il flusso del tempo, andando anche al di là delle stagioni e degli agenti esterni. Un brano che rappresenta l’ennesima prova della maturità del giovane artista umbro.
Ciao Michele, bentrovato. A distanza di cinque anni sei tornato a calcare il palco dell’Ariston, come stai vivendo questo ritorno?
«In realtà sono molto rilassato. Sono emozionato ma non sono in ansia. Quando partecipai con “Il diario degli errori” fu un Sanremo che andò benissimo e che mi cambiò completamente la vita, però, allo stesso tempo, è come se lo avessi assorbito nei miei ricordi tanta tensione. Non so se è un discorso di crescita personale che mi porta a vivere diversamente le cose, oppure legato al momento storico che stiamo vivendo e che ci ha fatto rivalutare il nostro sistema valoriale. Questa volta ho deciso di vivere il palco con presenza, cioè sono io a cantare e non la mia paura. Sto vivendo questo Festival come un grande privilegio, un grande traguardo professionale, per cui sono contentissimo».
“Inverno dei fiori” è il brano che hai scelto di presentare, un pezzo che conserva una sua magia sia nella versione in studio che dal vivo. Ci racconti come si è svolto il processo creativo del brano?
«E’ una canzone che nasce da una chiacchiera informale. Stavamo parlando di fiori. Io non ho una grande cultura botanica, non sapevo che esistessero fiori invernali in grado di sbocciare anche col freddo. Quando ho scoperto questa cosa ci ho visto una grande metafora dell’amore, di un legame umano che rompe la falsa credenza delle stagioni. Questo per me era modo per raccontare, trasformare poeticamente il desiderio di fragilità che tutti abbiamo nel poter dire a qualcuno: “sono felice al tuo fianco”. Il concetto di resilienza lo lego molto ai rapporti umani, a quando sento che la mia vita sia intrecciata a quella di qualcun altro. Questo mi permette di resistere al flusso del tempo».
La reputi una canzone d’impatto che può funzionare al primo colpo oppure uno di quei pezzi capaci di crescere e convincere ascolto dopo ascolto?
«Un mio grande difetto è quello di essere poco critico musicalmente. Onestamente quando scrivo penso poco a questi elementi. Sai, le canzoni le fai ascoltare prima al tuo gruppo di lavoro e, quindi, ci sono varie teorie. Qualcuno ha detto che è un brano d’impatto, mentre qualcun altro ha sottolineato che si tratta di un pezzo che necessita di qualche ascolto in più, come la stragrande maggioranza delle canzoni di Michele (ride, ndr). Quindi, non saprei… anzi ne approfitto io per farti una domanda. Parlando di cose serie, tu che voto hai dato alla canzone?».
Guarda, alle pagelle dopo gli ascolti (che sono pubbliche) ti ho dato 7 e mezzo, in queste serate non saprei, non si può dire…
«7 e mezzo? No dai, arriva almeno a 8! Sai cosa? Io ho un brutto ricordo scolastico. Essendo stato un secchione tutti i voti dall’8 in giù me li sono sempre vissuti male, con un clima di pessimismo. Con 7 e mezzo tu mi stai facendo rivivere un trauma (ride, ndr). Scherzo naturalmente!».
Vedremo cosa potremo fare… lei Bravi intanto si applichi! Tornando seri Michele, in conclusione: nella nostra precedente chiacchierata abbiamo abbondantemente parlato de “La geografia del buio”, un disco fondamentale per il tuo percorso. In tal senso, consideri “Inverno dei fiori”: l’ultimo capitolo di quel viaggio, l’inizio di un nuovo cammino oppure un’esatta via di mezzo, una fase di passaggio?
«Ambe le cose. La divisione delle canzoni per album in realtà è un concetto fittizio, nel senso che la tua scrittura si evolve e, alla fine, si tratta sempre di un unico percorso. Si tratta solo di raggruppare alcuni brani sotto un unico nome, sotto un unico capitolo. Tecnicamente “Inverno dei fiori” apre le porte a un nuovo disco, però mantiene un legame con tutte le canzoni precedenti. Tutte le volte che noi abbiamo parlato, ho sempre raccontato di un concept album, di una storia. Ecco, questa volta, un po’ anche per il periodo che stiamo vivendo, per me era importante raccontare il presente, quando le cose sono ancora in essere. Per questo ho scelto di presentare a Sanremo un brano che sarà contenuto in un disco ancora in fase di scrittura. Presento al Festival una prima parte di un progetto che non so quale direzione prenderà. E’ inutile sentirsi nostalgici con il passato o fare troppi programmi per il futuro, quindi se devo fare un concept in questo senso va fatto nella sua costruzione di tutti i giorni».
Intervista a Michele Bravi | Podcast
Nico Donvito
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