A tu per tu con il giovane cantautore vicentino, fuori dal 24 gennaio con il disco “Cuori stupidi“
A pochi mesi di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo Michele Merlo per parlare del suo nuovo progetto discografico intitolato “Cuori stupidi”. Prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo per Polydor/Universal Music, la scaletta dell’album comprende nove tracce inedite, tra cui spiccano i singoli “Tutto per me“, “Non mi manchi più“, “Mare“, “Aquiloni“ e l’ultimo estratto “Tivù“. Scopriamone di più con il diretto interessato.
«Beh, mi sento abbastanza bene anche se agitato, visto e considerato che si tratta del primo vero e proprio esordio in lingua con il mio nome, in regola con i canoni della musica leggera italiana. Una sana agitazione, perché è comunque la prima volta per me».
Raccontami un po’ del processo creativo, quanto tempo ci hai impiegato per la realizzazione dell’intero progetto?
«Ci sono canzoni che risalgono a più di due anni fa, come ad esempio il primo singolo “Tutto per me”. Tutto il resto ha avuto un percorso molto interiore, abbiamo lavorato alla ricerca di cose nuove ma sempre vere, con il mio team abbiamo sviluppato idee interessanti e diverse tra loro».
Chi ha lavorato e collaborato con te in questo progetto?
«Un ruolo fondamentale lo hanno ricoperto i producer Giordano Colombo e Federico Nardelli, con cui avevo già lavorato per il mio disco in inglese, quindi ormai è come se facessero parte della mia famiglia. In più una serie di autori quali Leonardo Cristoni, Tony Maiello e Jacopo Ettorre, con loro abbiamo fatto un lavoro di squadra per costruire una bella cosa».
Tra le nove tracce in scaletta, figurano vecchie conoscenze come i singoli “‘Mare”, “Aquiloni”, “Non mi manchi più”, “Tutto per me” e l’ultimo estratto “Tivù”. A proposito di questo pezzo, nel testo canti “nascono le canzoni un po’ per caso”, nella fattispecie com’è nata questa canzone?
«Un po’ per caso (sorride, ndr), è stata proprio una messa in scrittura di quello che in realtà successe, vale a dire della casualità e di come nasce un pezzo in maniera spontanea, per cui non c’è stato alcun tipo di sovrastruttura».
E’ un disco composto da belle ballate, intense e romantiche, ma mi ha colpito un pezzo in particolare… “Credici sempre” e non solo per il sound e il ritmo più sostenuto, per via del testo in cui dici “Fossi stato un po’ più sano di mente avrei scritto le canzoni per piacere alla gente”. Cosa hai voluto dire?
«Non è un atteggiamento di presunzione da parte mia, come potrebbe trapelare un po’ dal testo, bensì una sorta di manifesto dell’intero progetto, perché se fossi stato più furbo magari avrei fatto un disco come questo subito dopo l’esperienza televisiva, avrei approfittato di tante occasioni che mi sono capitate, mentre invece ho preferito fare il mio percorso per capire quale fosse la mia vera natura per poter credere in quello che canto, la cosa per me fondamentale, altrimenti sto male».
«Penso che ci sia stato un emergere di una serie di movimenti che ha sono entrati a far parte dell’immaginario dello studente fuori sede, per un giovane cantautore è difficile fare qualcosa di distaccato dai soliti due-tre generi di riferimento. La vera difficoltà sta nello scrivere un pezzo che piaccia in primis a te, andando al di là di quello che possono essere i canoni di riferimento di questi stili, a volte si rischia di scrivere un pezzo in una sorta di automatismo, seguendo inconsciamente un’onda o una moda, lì mi accorgo di sbagliare, per cui riparto da capo per concentrarmi su qualcosa che sia totalmente mia, poi magari adattabile».
Forse viviamo in un’epoca dove la comunicazione verte più sull’emulazione che sull’immedesimazione?
«Credo che sia un mondo di canoni imposti, non soltanto dal punto di vista musicale, ma più in generale. Anche per quanto concerne le immagini, le foto o i video si ricerca sempre una reference per fare qualcosa e sempre meno spesso si parte da un punto di vista personale, è diventato ormai un discorso abbastanza comune, secondo me, neanche troppo da giudicare, bensì una sorta di virus benigno che si è diffuso nella nostra società, è la normalità dell’evoluzione».
Cercare di mantenere una propria identità ed essere se stessi, d’altra parte, può rappresentare anche un valore aggiunto perché, strategicamente parlando, và a toccare una fascia di mercato con meno concorrenza rispetto ad altre…
«Sì, in un certo senso potrebbe essere vantaggioso, ma in un momento iniziale sicuramente più difficile e rischioso, perché non essendo inserito in un determinato circuito, magari si fà più fatica a farsi conoscere, però penso che alla lunga fare quello che ti piace ripaghi sempre».
Cosa succederà nei prossimi mesi? Quali sono i progetti in cantiere per il 2020?
In tutto questo contesto, alla luce di ciò che ci siamo appena detti, qual è la missione, l’obiettivo che ti prefiggi attraverso la tua musica?
«In primis far sì che le persone riescano a riconoscersi in quello che ho passato io, scrivere una storia che può essere la mia ma anche la tua, questo è l’obiettivo che ho sin da quando ho cominciato a fare questo di mestiere».
Per concludere tu sei giovanissimo, ma hai vissuto più vite, diciamo più fasi artistiche, ne parlavamo l’altra volta, prima Mike Bird e poi Cinema Boy, per poi tornare all’essenza del tuo nome reale. Basandoti sul tuo vissuto, qual è l’insegnamento, la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica?
«La lezione più importante che mi ha dato la musica, ma anche la vita in generale, è che l’unico fattore che determina veramente la verità e la sostanza di ciò che diventerai è il tempo, l’avere pazienza, non bisogna mai avere paura di aspettare un anno in più per fare qualcosa, tutto arriva nel momento in cui deve arrivare. Per me è stato così e sono contento di potervelo raccontare».
Nico Donvito
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