A tu per tu con la cantautrice romana, milanese d’adozione, in uscita con il primo singolo “Animali“
Un bel debutto da solista per Elisa Pucci, alias Mille, artista che avevamo già conosciuto come voce dei Moseek, band che ha preso parte alla nona edizione italiana di X Factor. Si intitola “Animali” il brano che sancisce l’inizio di un nuovo percorso di vita e di musica. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Elisa, benvenuta. Partiamo dal singolo che segna il tuo debutto solista, intitolato “Animali”, che sapore ha per te questo pezzo?
«Hai detto bene, senza tempo perché quando l’ho scritto non avevo un tempo definito, nel senso che in quel momento vivevo una sorta di quarantena, non distinguevo i giorni della settimana, non mi rendevo conto del tempo che mi scorreva sotto le mani. Racconta anche un amore senza tempo, una storia molto importante che tengo nel cuore, un sentimento che non possiede le variabili spazio-tempo, perché è nato e cresciuto in una bolla».
Il titolo del brano richiama quelle che è la natura istintiva e primordiale tipica di noi esseri umani, col passare del tempo è come se fossimo diventati degli animali addomesticati. Nell’eterna lotta tra istinto e ragione, da che parte ti collochi? Tendi ad essere più riflessiva o solitamente agisci di pancia?
«Fondamentalmente sarei una rivoluzionaria, pronta a combattere e seguire solo quello che è l’impulsività. Però, con il tempo, tutti questi slanci li ho dovuti un po’ domare, perché le cose si ottengono con il giusto tempo e nel giusto spazio, quindi se prima seguivo esclusivamente l’istinto, adesso mi sento più equilibrata. In passato mi sono persa tante cose, tanti dettagli, sia a livello personale che professionale, dare retta all’istinto è necessario, ma darsi anche il tempo per riflettere su un determinato tipo di emozione è altrettanto importante, almeno per me lo è stato per non fare incredibili macelli (ride, ndr)».
Dal punto di vista visivo, invece, cosa aggiungono alla narrazione le immagini, anche quelle senza tempo, del videoclip?
«Vanno a raccontare perfettamente la poetica che avevo in mente, un po’ si lega ad un’iconografia che mi appartiene da quando sono piccola, quei bar in cui andavo e mi perdevo da bambina. Il locale che ha fatto da location al mio video è stato aperto il 2 giugno dell’87 ed è rimasto così proprio come il primo giorno. Ecco, quelle immagini raccontano esattamente la bellezza dell’amore che, nel tempo, non viene scalfita, al di là della vita che passa e delle cose che quotidianamente accadono».
Facciamo un salto indietro nel tempo, ma è vero che da piccina hai falsificato la firma di tuo papà per partecipare allo Zecchino D’Oro?
«Sì, ho falsificato la sua firma perché lui non dato peso alla mia richiesta, non aveva prestato attenzione a una cosa che, in quel momento, per me era importante. Avevo otto anni ma le idee ben chiare in testa, molto curiosa e con una bella faccia tosta. Ovviamente mio papà si è molto arrabbiato, ma poi ho partecipato lo stesso con un brano firmato da Memo Remigi. Ricordo tutto di quell’esperienza, dal viaggio di andata alla permanenza per venti giorni in albergo a Bologna con mia mamma. Ricordo anche l’impegno, l’ambiente era divertente ma allo stesso tempo molto professionale, in più Mariele Ventre era veramente una colonna, adoravo la sua severità, aveva una grandissima forza d’animo per affrontare una caterva di ragazzini indomabili, mi diceva sempre di sorridere, di lei conservo un ricordo davvero bellissimo».
Grazie per questo ricordo di Mariele Ventre, una grande donna. Dallo Zecchino d’Oro ad X Factor, hai preso parte alla nona edizione come leader dei Moosek, nella categoria gruppi affidata a Fedez. Analizzandola con la lucidità del senno di poi, cosa ti ha lasciato di concreto quell’esperienza?
«Mi ha lasciato una grandissima visibilità, portandomi in giro a suonare in tutta Italia, ma anche all’estero. Il vocal coach che affiancava Fedez era Fausto Cogliati, che è rimasto un punto di riferimento per me, lavorare con lui e con tutta la squadra che ha messo in piedi quello show incredibile è stato altamente formativo. Abbiamo vissuto quell’esperienza in una maniera estremamente leggera, ma con addosso tanta responsabilità, sapevamo che era un mezzo per continuare ad esibirci davvero, magari anche in contesti diversi, X Factor ci ha dato questa possibilità».
Veniamo all’attualità, in particolare all’emergenza sanitaria Coronavirus che sta mutando, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai affrontando tutto questo?
«Cerco di viverlo con lentezza, con calma, che è necessario per non farmi prendere dall’ansia da calendario, dall’ansia da ripartenza, da conto alla rovescia. Sono cosciente di tutto quello che sta accadendo, ma cerco di concentrarmi più su come affrontarlo che sul cosa sta succedendo. Lo scenario è simile ad una guerra, perché ci sono in gioco vite umane. Mi reputo molto fortunata, sto bene, le persone a cui voglio bene pure, per quanto ci sia tanta preoccupazione cerco di viverla con equilibrio, ci aspetta una dura prova, sicuramente avremo imparato una lezione, nonostante tutto stanno avvenendo delle cose paradossalmente positive, come tutti i momenti duri della storia diventano terreno fertile per le idee. Ci stiamo mettendo in moto, pur restando fermi dentro casa».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«A questa domanda non c’ho mai pensato, perché mi auguro sempre che sia un qualcosa di trasversale, non ho un pubblico preferito, vorrei piacere alle nonne perché mi stanno simpatiche, anche quando vado a fare acquagym incontro tantissime signore simpatiche, mi piacerebbe avere la loro approvazione. Per il resto, non ti so dire se ci sia o meno un pubblico di riferimento, forse questo è più un aspetto discografico che artistico. Il mio linguaggio credo che sia abbastanza universale, di non avere troppi muri o paletti che possano impedirmi di arrivare alle persone. Poi, il gusto è qualcosa che non si può tradurre. Chissà (sorride, ndr)».
Nico Donvito
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