A tu per tu con l’artista salentino classe ’83, autore per numerosi interpreti della canzone italiana
Emma, Chiara Galiazzo, Antonello Venditti, Francesco Renga, Alessandra Amoroso, Anna Tatangelo, Noemi, Giusy Ferreri, Annalisa, Federica Carta, Valerio Scanu, Le Deva, i Dear Jack e Carmen Ferreri, sono soltanto alcuni dei protagonisti della musica leggera italiana con cui Nicco Verrienti ha collaborato nel corso della sua prolifica attività autorale. Tante canzoni composte realizzate insieme al fratello Carlo e ad altri colleghi, tra cui ricordiamo Roberto Casalino, Giulia Capone, Marco Rettani, Davide Papasidero, Vincenzo Incenzo, Jacopo Ratini, Federico Fabiano, Alessandra Flora e molti altri ancora. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Nic, partiamo dal principio, a quando risale il tuo incontro con la musica e come hai capito che eravate fatti l’uno per l’altra?
«Ho ereditato la vena artistica da mia nonna Pia che è stata un’ottima pianista e docente di conservatorio. La passione è esplosa durante gli anni del liceo, complice qualche disco dei Nirvana e una Fender Stratocaster acquistata da mio fratello. Dalle prime band al lavoro da autore è stata un’evoluzione lenta ma naturale, ricca di esperienze artistiche diverse tra loro che pian piano mi hanno permesso di formarmi e di immergermi completamente nel mestiere della musica».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?
«L’aspetto che più mi intriga è l’inizio, quando l’idea bussa e devi essere svelto a riconoscerla e fermarla in una prima bozza. Solo in un secondo momento sviluppo il brano con un po’ di lucidità e mestiere. Resto comunque maggiormente affascinato dalla prima fase, quando a guidare è solo la magia dell’ispirazione».
In passato hai tentato la carriera di cantante, proponendoti come interprete delle tue canzoni. Quando hai capito che la dimensione autorale ti avrebbe regalato maggiori soddisfazioni?
«Quando proponevo le mie cose ai vari produttori spesso mi facevano notare che i brani erano più forti della mia capacità di interpretarli, per cui ho realizzato ben presto l’idea che avrei potuto scrivere per altri. L’esperienza del lavoro in team con Roberto Casalino mi ha dato la consapevolezza per decidere di concentrarmi solo sul ruolo dell’autore che nel tempo ho scoperto poi essere più affine al mio carattere: preferisco muovermi lontano dai riflettori».
A livello di tematiche, c’è un aspetto ricorrente nelle tue produzioni?
«L’argomento principe è l’amore in tutte le sue infinite forme. Racconto spesso di storie in bilico, tra alti e bassi, partenze e ritorni. Mi piace esplorare i sentimenti prendendo spunto da piccoli episodi della vita di tutti i giorni».
Per quanto concerne le sonorità, invece, cosa prediligi?
«Sono cresciuto con i grandi cantautori italiani, mi piacciono le atmosfere d’autore e i sound acustici, ma negli ultimi anni ascolto veramente di tutto. Lo faccio spesso anche come esercizio, non mi dò limiti: quando una sonorità mi incuriosisce provo a portarla nelle mie produzioni».
Da sempre collabori con tuo fratello Carlo, quali sono i pro e i contro del condividere questa passione in famiglia?
«Si fanno grandi session di scrittura anche di domenica, dopo il pranzo di famiglia. Scherzi a parte, mi vengono in mente solo pro. Noi poi siamo particolarmente fortunati perchè molto diversi come attitudini e nella scrittura abbiamo ruoli praticamente complementari».
Non ti chiedo se hai una canzone preferita, ma ce n’é una che ti rappresenta di più e che reputi al 100% autobiografica?
«”Nessun posto è casa mia” è stata una canzone particolarmente significativa nel mio percorso. Il testo ha anticipato un cambiamento importante nella mia vita: dopo tanti anni passati nella capitale sono tornato a vivere nel Salento, la mia terra».
Al contrario, se potessi “rubare” una canzone ad un tuo collega quale sceglieresti?
«”A te” di Lorenzo Jovanotti Cherubini credo sia una delle più belle dediche d’amore in musica degli ultimi anni».
Hai aperto il tuo Albicocca Studio in Salento, a cosa si deve la scelta di investire nella tua terra e di non trasferirti come fanno in molti in una grande realtà metropolitana?
«In realtà molte relazioni musicali le ho avviate a Roma dove ho vissuto per molto tempo ma oggi sono di base in Salento. Qui ho ritrovato un grande fermento: il mio studio è diventato uno spazio di confronto con giovani talenti su cui sto lavorando e un laboratorio creativo dove dedicarmi ogni giorno alla scrittura. Viaggio spesso ma posso affermare che buona parte del lavoro d’autore avviene on-line anche perché agli artisti interessa la qualità della canzone proposta e non dove sei».
Che consiglio daresti a chi coltiva il sogno di diventare un autore musicale?
«Consiglio innanzitutto di non avere fretta, in tanti si sentono autori già dalla prima canzone scritta e infatti il sistema è intasato a causa dell’eccesso di proposte. E’ importante non emulare ma lavorare con molta autocritica per sviluppare una propria personalità di scrittura. Se c’è talento e determinazione qualcosa succede perché ci sarà sempre bisogno di belle canzoni».
In un’epoca in cui siamo inondati di musica, tutto và velocemente e l’attenzione del pubblico è diminuita, quali caratteristiche deve possedere una canzone per non essere “skippata”?
«Non è affatto facile: a mio avviso un brano deve avere la capacità di incuriosire l’ascoltatore già dalle prime battute raccontando qualcosa di diverso attraverso qualche elemento di novità nel linguaggio musicale o nel testo. Deve avere il cosiddetto “guizzo in più”».
Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?
«Abbiamo forse vissuto stagioni musicali migliori ma credo che in ogni epoca ci sia sempre qualcosa da salvare».
Cosa ne pensi dell’indie e della sua esplosione?
«L’indie è il nuovo pop, sinceramente non vedo più tante differenze. Più che esplosione dell’indie, stiamo assistendo ad una grande contaminazione tra generi che sta creando nuove forme canzone e sonorità crossover sicuramente interessanti».
Qual è il “Verrienti-pensiero” sulla trap?
«La parola trap è ormai entrata nel linguaggio comune, è un genere innegabilmente forte e attuale che ascolto con interesse. Ho grande rispetto per alcuni dei rappresentanti del genere, che considero credibili. Ma essendo un filone molto affollato in quanto molto di moda, sto attento ad evitare anche moltissime produzioni che mi sembrano senza spessore o semplici emulazioni di qualcun altro».
In che direzione si evolverà secondo te l’industria discografica? Come e cosa ascolteremo tra dieci anni?
«Previsione difficile, l’evoluzione è sempre inarrestabile e imprevedibile. Magari ascolteremo musica da un grammofono fluttuando nello spazio e il reggaeton non girerà più solo su quattro accordi».
Per concludere, qual è l’insegnamento più grande che senti di aver appreso dalla musica?
«Ad oggi penso di essere sempre su un percorso di continua crescita. Credo di aver imparato a riempire le attese, e ora so che devo innaffiare quotidianamente le mie piante e attendere pazientemente di raccogliere i frutti quando sono maturi».
Nico Donvito
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