lunedì 7 Ottobre 2024

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Paolo Vallesi: “Nelle difficoltà la vita ci offre spunti inimmaginabili” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore toscano per parlare della forza, della vita e delle parole che, mai come oggi, risuonano necessarie in questa nostra ripartenza

“Quando toccherai il fondo con le dita a un tratto sentirai la forza della vita”, con questi versi Paolo Vallesi ha consacrato il proprio successo a Sanremo ’92, classificandosi terzo alle spalle di Luca Barbarossa e Mia Martini, dopo essersi fatto conoscere l’anno precedente vincendo la sezione Nuove Proposte. “La forza della vita” è una canzone vera e sentita, che non ha conosciuto l’ipocrisia della censura e, proprio per questo, è arrivata e continua ad arrivare al cuore delle persone. Ventotto anni dopo questo brano è stato reinterpretato da diversi artisti e musicisti spagnoli (tra cui Marta Sánchez, Funambulista, Soraya, Jon Secada, Diego Martín, María Villalón, Hugo Salazar, Marta Botía, Andy & Lucas, Raúl, Platón, Alberto Comesaña, Alejandra, Pablo Perea, Lydia e Verónica Romero), diventando un vero e proprio inno al coraggio, alla tenacia e alla ripartenza.

Ciao Paolo, bentrovato. Partiamo da “La fuerza de la vida”, questa nuova versione che reputo veramente importante, sia per te che per tutta la musica italiana. Come sei stato coinvolto in questo progetto?

«In primis ci tengo a dire che sono contento anch’io per questo doppio omaggio, tra l’altro la versione suonata da questi musicisti spagnoli è veramente bella, hanno fatto un gran lavoro. In realtà sono stato contattato a cose fatte, nel senso che avevano già scelto proprio questo pezzo per testimoniare questo brutto momento, quando mi è stato comunicato per me è stato un grande onore, una testimonianza di quanto questa canzone sia ancora oggi molto rappresentativa. Ho dato anche io il mio contribuito da casa mia registrando con il telefonino, ne è venuto fuori un video molto semplice ma, allo stesso tempo, molto efficace».

E’ un brano che si presta molto in versione corale, ricordo che era già stata incisa dalla Nazionale Italiana Cantanti qualche anno fa…

«Ricordi benissimo, nel 2009 in un mini album che era stato prodotto proprio da me, c’era anche questa canzone che cantammo tutti insieme, più o meno lo stesso numero di persone. In scaletta c’erano anche “La canzone del sole”, “Nel blu dipinto di blu” e “Si può dare di più”, tutto questo a riempimento di un singolo intitolato “L’opportunità” che Paolo Belli aveva portato a Sanremo con Pupo e Youssou N’Dour. Con la Nazionale Italiana Cantanti abbiamo voluto contribuire a questa operazione che ricordo molto piacevolmente, così come le decine di altre versioni riprese in varie parti del mondo, dal ’92 in poi». 

Una canzone sempre attuale e toccante, sarà per la presenza della parola “malattia”, termine con il quale prima o poi ci ritroviamo un po’ tutti a fare i conti, ma per chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza del Covid-19, ti assicuro, che questi versi e queste note rappresentano davvero una luce…

«Ti ringrazio. Quando scrissi questa canzone insieme a Beppe Dati, che mi piace ricordare perchè è co-colpevole con me di questo pezzo (sorride, ndr), con il verso “anche in fondo agli ospedali della nuova malattia” ci riferivamo naturalmente al virus HIV. Ricordo le interminabili litigate con la casa discografica che non voleva inserire questa frase, perchè secondo loro appariva un po’ forte, cupa. Noi ci siamo impuntanti, volevamo portarla a Sanremo così, perchè racconta la verità, è proprio nei momenti di difficoltà la vita ci offre degli spunti inimmaginabili. Ciascun essere umano è capace di cose straordinarie, lo stanno dimostrando in tanti in questo momento, in tutto il mondo, lavorando in condizioni proibitive o non lavorando, che è difficile anche quello, starsene chiusi in casa e non poter incontrare i propri affetti. Questo ci stupisce, ma la forza che abbiamo dentro è più grande di quella che, nei momenti in cui tutto va bene, crediamo di avere».

Vorrei tornare proprio a quell’attimo lì, durante quel Festival hai mai avuto la percezione di avere tra le mani un pezzo che, al di là della classifica finale, sarebbe potuto durare nel tempo?

«Che la canzone fosse stata ben recepita lo abbiamo capito subito perchè, sin dalla settimana successiva al Festival, si piazzò stabilmente al primo posto in classifica e lì rimase. Però, non avrei mai pensato che dopo ventotto anni questa canzone potesse essere così attuale. Sicuramente è un brano che mi ha aperto le porte del successo anche in altri Paesi, ho girato in quasi ogni parte del mondo ed è pazzesco come questa canzone la conoscano tutti. Questo mi sorprende ogni volta e credimi, per chi fa questo lavoro, credo sia il massimo della soddisfazione, perchè alla fine si scrive e si canta non per noi stessi, bensì per fare in modo che ciò che buttiamo fuori possa entrare a far parte del vissuto di altre persone. Le rare volte che ci riesci (sorride, ndr), diventa un motivo che ti rende orgoglioso».

La Spagna ha dimostrato di avere memoria, oltre al messaggio umanitario è stato sicuramente un bell’omaggio nei tuoi confronti ma anche del nostro Paese, perché potevano benissimo cantare una loro canzone o scriverne una nuova in tre giorni, come è di consuetudine fare di questi tempi. L’Italia, sotto questo aspetto, forse è un pochino più indietro oppure proiettata troppo avanti, dipende dai punti di vista, perché tende a non valorizzare il nostro grandissimo patrimonio. E’ una mia impressione oppure qui da noi sembra essere tutto più complesso, macchinoso e tendiamo a complicarci un po’ la vita?

«E’ un’impressione abbastanza corretta, forse in Italia ci sono troppe sovrastrutture, troppe problematiche, nel mezzo ci sono spesso questioni manageriali. Il fatto che questi artisti spagnoli hanno scelto di celebrare un pezzo italiano è un segnale importante, non solo perchè all’epoca ha riscosso anche da loro un enorme riscontro, in più qualche anno è stato ricantato dai finalisti della trasmissione “Operacion Triunfo”, ottenendo un ritorno al successo incredibile. Al di là di questo, è anche un modo per sottolineare un semplice concetto: siamo tutti sulla stessa barca, penso sia stato anche questo il segnale. Il fatto che in Italia succeda più raramente non saprei, probabilmente hai ragione, ma ci saranno delle “figure” che rendono più difficile questo, perchè a livello artistico le cose credo siano molto più facili da realizzare».

Ti ho fatto questa domanda perché sei stato uno dei primi a collaborare con Alejandro Sanz, uno degli artisti latini credo più grandi. Lui veniva dal grandissimo successo di “Corazon partido” e con te ha inciso due pezzi, “Grande” e “Veleno”. Che ricordo hai di questa collaborazione? Com’è nato il vostro incontro?

«La cosa singolare e che fu lui a cercarmi, essendo un grande conoscitore e appassionato della nostra musica italiana. Vi racconto un aneddoto che mi viene ora in mente: quando ho incontrato Tiziano Ferro ci siamo conosciuti e parlati, mi ha confessato che duettare con Alejandro Sanz sarebbe per lui un sogno, ha scherzato su questa cosa, sul fatto che io ci fossi riuscito e lui ancora no (sorride, ndr). Come ti dicevo, è stato lui all’epoca a volermi conoscere, perchè apprezzava le mie produzioni, questo in concomitanza con la pubblicazione del suo primo e unico album italiano, scelse me come unico ospite, di questo gliene sono grato. Ricordo una grande sintonia tra di noi, ho vissuto un mese a casa sua a Madrid, ho avuto la fortuna di stare a stesso contratto con un artista vero, suona la chitarra in modo clamoroso. E’ stato un periodo molto bello, siamo stati in contatto per diverso tempo, da quando si è trasferito a Miami è diventato più difficile frequentarci. Sono felice del suo successo e, soprattutto, che sia rimasto il grande artista che ho conosciuto».

A proposito di forza e di vita, come stai vivendo a livello personale questo momento difficile a causa della pandemia?

«Chiaramente non bene, come tutti, perchè la solitudine e la mancanza degli affetti si fa sentire. Personalmente ho suddiviso la mia quarantena tra la mia abitazione e quella di mia madre, le persone più anziane sono quelle più fragili, quelle più difficili da gestire, quelle con cui è più complicato comunicare, dovendo necessariamente fare a meno del contatto fisico. Questo ha reso, per certi versi, tutto ancora più difficile ed è un momento molto importante per me. L’ho vissuto come tutti, buttandomi sulle dirette Instagram, ma poi anche quelle hanno lasciato spazio all’introspezione, sto leggendo, sto scrivendo, sto aspettando che passi. Tutto questo non deve passare per far tornare le cose come prima, deve passare per far tornare le cose meglio di prima».

E’ prematuro parlare di conseguenze precise, ma quale impatto pensi che avrà tutto questo sull’industria discografica, in particolare nel settore della musica dal vivo?

«Sono stati fatti tantissimi appelli, anche nei confronti delle persone meno visibili, alcuni sono stati anche fraintesi e criticati. Non voglio fare un discorso prettamente economico, perchè non è quello il succo della questione, adesso è il momento di ringraziare chi lavora e basta, ma sto parlando dell’importanza della musica. Quando ci siamo ritrovati tutto in quarantena è venuto naturale chiedere aiuto all’arte e alla musica, cantare sui balconi era ed è uno sfogo per sottolineare il bisogno dello stare insieme. Sarebbe un peccato se, quando tutto questo sarà passato, tornasse tutto esattamente come prima, cioè un Paese dove un musicista è costretto a sentirsi dire: “sì, ma di mestiere vero cosa fai?”. Per troppo tempo abbiamo dato meno importanza a questo fattore, basando la nostra società su altro, dando risalto più ai calciatori che agli artisti, con tutto il rispetto per qualsiasi sportivo, ma la musica va oltre, non ha un ruolo esclusivamente di intrattenimento, in questo periodo sta venendo fuori e spero che, anche dopo, le venga data l’importanza che merita, per tutte le 500.000 persone che lavorano in questo settore».

Per concludere, tornando a quanto canti ne “La forza de la vita”, quale credi sia la via d’uscita in questa delicata situazione?

«Com’è scritto nella canzone, “vedrai una via d’uscita c’è”, non è un auspicio è una certezza. Per adesso siamo solo costretti ad immaginarla, a cercarla, perchè non la vediamo al momento, ma ci sarà perchè il mondo si è sempre risollevato da tutto. La chiave per questa ripartenza è rappresentata dall’impegno, ma anche e soprattutto dalla solidarietà».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.