A tu per tu con la cantautrice milanese, in gara tra i ventiquattro finalisti con il brano “Finalmente”
Ha le idee molto chiare Federica Abbate, giovane talento classe ’91, considerata la “penna di platino” della scena pop italiana per aver firmato alcune delle hit di maggior successo degli ultimi anni (“Roma-Bangkok”, “L’esercito del selfie”, “Voglio ballare con te”, solo per citarne alcune). Dopo aver rilasciato il suo primo EP lo scorso maggio, intitolato “In foto vengo male“, abbiamo raggiunto telefonicamente l’artista per parlare di “Finalmente”, brano composto insieme a Cheope e Davide Petrella, prodotto da Takagi & Ketra, in corsa per aggiudicarsi la vittoria di Sanremo Giovani, spin-off del Festival della canzone italiana dedicato agli artisti emergenti, le cui fasi finali andranno in onda giovedì 20 e venerdì 21 dicembre su Rai Uno.
Ciao Federica, bentrovata su RecensiamoMusica. Partiamo da “Finalmente”, brano con cui parteciperai alla finalissima di Sanremo Giovani, com’è nato e cosa rappresenta per te?
«È nato da un beat insieme a Takagi & Ketra, avevo il ritornello ma paradossalmente non riuscivo a trovare le strofe, le ho cercate e ricercate, mi sono presa tutto il tempo necessario perché ci tenevo particolarmente a questo pezzo. Ci ho messo un annetto ma, una volta ultimato, ho intuito subito che fosse il brano giusto per presentarmi a Sanremo, perché rappresenta al meglio la mia storia. Al suo interno c’è tutto quello che in questo momento sento di aver voglia di raccontare, è una sorta di dichiarazione di indipendenza, da chi non ci vuole bene, da chi non ci vuole insieme, da chi ci vuole sempre cambiare, da chi in generale nella vita, almeno una volta, ci ha fatto sentire sbagliati o inadeguati».
Quanto c’è di autobiografico in questo brano?
«Assolutamente tutto! Mi è mancato durante l’adolescenza avere qualcuno che dicesse “tranquilla Fede, vedrai che la tua sensibilità non ti impedirà di essere felice e di realizzare i tuoi sogni”, non mi riferisco ad una persona o una figura in particolare, ma al mondo degli adulti in generale che mi ha sempre fatto credere che soffrire e provare emozioni forti potesse rappresentare un handicap. “Finalmente” è la mia storia ma anche un po’ quella di tutti, una presa di coscienza, il momento in cui comprendi che i punti deboli possono essere trasformarsi in punti di forza, che soffrire e mostrare le proprie debolezze è un modo come un altro per sentirsi vivi».
C’è qualcuno in particolare a cui dedichi questo pezzo?
«A chi ha voglia di reagire e di non darla sempre vinta, la società di oggi ti invita ad eccellere, a non mostrare mai i tuoi difetti, dai filtri su Instagram a chi ricorre alla chirurgia estetica, c’è una sorta di spasmodica rincorsa alla perfezione che, in realtà, non esiste. Ognuno di noi è perfetto e unico a modo suo, tutti abbiamo lati belli e lati brutti, è giusto mostrare qualsiasi nostro scatto, anche se in foto veniamo male (sorride, ndr)».
A tal proposito, cosa aggiunge in più questo pezzo a quello che hai già raccontato di te all’interno del tuo primo EP “In foto vengo male”?
«Questo brano apre un nuovo capitolo della mia musica, nel mio primo EP ho raccontato tutti quelli che sono i miei limiti, in “Finalmente” c’è una sorta di rivalsa nei confronti di quegli stessi ostacoli, in qualche modo è come se li avessi accettati per quello che sono. Ho capito che non bisogna mai vergognarsi delle proprie cicatrici, dagli errori si può crescere, i difetti ci distinguono l’uno dall’altro e raccontano la nostra storia».
A livello musicale, invece, quali sonorità avete scelto per rendere al meglio il significato di parole così di peso? Credi di aver raggiunto la giusta quadra?
«Diciamo che c’è sempre una ricerca in atto, con “In foto vengo male” ho voluto in qualche modo distaccarmi dal mondo autorale, dalle canzoni che avevo scritto per altri. Ad un certo punto mi sembrava di voler fuggire da quella che è la mia vera natura, in “Finalmente” non c’è più solo la voglia di esprimermi, ma anche il bisogno di essere compresa, perché l’obiettivo di qualsiasi artista è sempre quello di arrivare a più persone possibili e per farlo è necessario sentirsi capiti».
Un concetto espresso anche attraverso il videoclip, cosa avete voluto trasmettere con le immagini dirette dal regista Enea Colombi?
«Innanzitutto ci tengo a precisare che Enea è un talento pazzesco, nonostante sia giovanissimo ha delle idee incredibili e un entusiasmo che mi ha subito coinvolta perché, oggi come oggi, la comunicazione visiva è importantissima e aiuta a veicolare la musica a 360 gradi. Protagonisti del video sono i volti dei ragazzi, le storie e i loro rispettivi disagi. Il messaggio che abbiamo voluto trasmettere è che ognuno deve essere libero di sentirsi autentico, nel bene e nel male, senza aver paura delle proprie azioni o di mostrarsi per com’è fatto veramente».
Il regolamento di quest’anno prevede per la prima volta la possibilità, in caso di vittoria, di calcare il palco dell’Ariston il prossimo febbraio. Mi incuriosisce chiederti su cosa ti sei basata per la scelta del brano da presentare a Sanremo Giovani, in parole povere: “Finalmente” è la tua carta vincente oppure hai preferito conservare l’asso nella manica per l’eventuale partecipazione al Festival?
«Sicuramente ho lasciato un qualcosa di altrettanto forte nell’eventualità di un passaggio, un pezzo che prosegue in qualche modo il discorso di “Finalmente”, ma sono due canzoni diverse tra loro, non riuscirei a dirti su quale verte la mia preferenza, perché raccontano entrambe la mia storia vista da due angolazioni differenti. L’altro brano, forse, è più intimo mentre in questo esterno tutto ciò che ho dentro. E poi “ogni scarrafone è bello a mamma soja” (ride, ndr), per me sono validi allo stesso modo, la scelta è stata pensata e ragionata per il tipo di palco e di contesto».
La volta precedente abbiamo parlato del processo creativo delle tue canzoni, mi hai detto che nascono in maniera spontanea e che ti lasci guidare dalla musica, senza pensare a quale sia la strada migliore. Hai più chiara la direzione da seguire oggi?
«A voglia! In realtà la mia identità artistica sarà sempre in divenire, perché è un continuo contaminarsi di ascolti e di collaborazioni, per cui non potrò mai considerare conclusa la mia crescita, ci sono sempre nuove cose da imparare nella vita. Man mano che andrò avanti sarò sempre più matura, o almeno me lo auguro (ride, ndr), intendo come donna e, di conseguenza, si rifletterà nelle cose che scrivo. Già se penso a “Fiori sui balconi” e “Finalmente” noto una grande evoluzione, chissà in futuro! Sicuramente il processo creativo sarà sempre libero e spontaneo, così come ti avevo raccontato l’altra volta, questo mi sento di potertelo garantire. Cercherò sempre di esprimermi in maniera sincera, senza andare incontro al gusto di qualcuno, piuttosto incuriosendo e convincendo quante più persone possibili».
Personalmente mi hai convinto già da “Due volte”, pezzo che reputo tra i più belli degli ultimi anni, peccato non averne fatto un singolo… ma vabbè. Tra i “detrattori” di Federica Abbate, invece, c’è chi sostiene che il tuo punto debole sia la mancanza di presenza sul palco, cosa gli rispondi?
«Che credo abbiano ragione (sorride, ndr), è possibile perché negli ultimi anni mi sono concentrata fondamentalmente sulla scrittura, non ho mai fatto una tournée, tutto quello che riguarda la mia immagine e la mia presenza sul palco è una presa di coscienza continua. Sto ancora imparando tante cose, riconosco che ci sono diversi elementi su cui lavorare, venendo dal mio percorso da cantautrice riconosco nel live la parte che ho messo meno a fuoco sino ad ora, non ho ancora avuto modo di crescere veramente da quel punto di vista».
Per concludere, cosa ti aspetti da Sanremo Giovani? Qual è il tuo personale augurio?
«La mia speranza è quella di farmi conoscere da quante più persone possibili, andare al Festival potrebbe essere l’occasione giusta, in più sarebbe meraviglioso poter portare su quel palco il pezzo di cui ti accennavo prima, rappresenterebbe una giusta congiunzione astrale, il brano giusto al momento giusto. Il mio augurio è che la scelta ruoti in una prospettiva futura, che questa doppia opportunità vada nelle mani di qualcuno che possa andare avanti nel tempo e non durare solo un paio di mesi, sfruttandola realmente a fondo con tutte le implicazioni di crescita che ne comporta, perché siamo tutti artisti emergenti che hanno ancora tanto da lavorare, ma credo che nelle vita ci siano cose che non puoi imparare, che te le porti dentro sin dalla nascita. Più che il “migliore”, mi auguro vinca chi ha maggiore consapevolezza della propria verità artistica».
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Nico Donvito
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