venerdì 22 Novembre 2024

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Sgrò: “La contaminazione è alla base di tutto” – INTERVISTA

A tu per tu con il giovane cantautore toscano, in uscita con il suo nuovo singolo intitolato “Non siamo al centro del mondo

A sei mesi di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Francesco Sgrò, meglio noto semplicemente con lo pseudonimo di Sgrò, in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo Non siamo al centro del mondo feat. Fanfara Station, disponibile a partire scorso 15 luglio.

Ciao Francesco, bentrovato. Partiamo da “Non siamo al centro del  mondo”, come sono nati il brano e l’incontro con i Fanfara Station? 

«La prima cosa a nascere di “Non siamo al  centro del mondo” è stato il ritornello, del quale musica e testo sono nati  insieme. All’inizio lo cantavo in prima persona, era infatti “non sono al centro del  mondo”. Poi, però, registrandomi e risentendomi, ho subito avvertito che la  prima persona non dava aperture, non aveva potenza, era troppo schiacciata su  di sé, così ho usato il plurale ed è stato come spalancare una finestra. Finalmente entrava la luce del mondo.  

Emotivamente il ritornello nasce da un sentimento molto forte di rifiuto verso  ogni forma di autonarrazione assolutoria. Nel periodo in cui l’ho scritto avevo  una gran voglia di smentire tutte le sicurezze acquisite. Avevo voglia di  contaminarmi con qualcosa di diverso, di andare alla scoperta di paesaggi  nuovi. Ed è qui che, una volta sentita la canzone, entra in campo Andrea  Ciacchini, produttore artistico del mondo musicale di Sgrò fin da “Macedonia”, il mio primo disco. È stato Andrea infatti a farmi ascoltare i Fanfara Station e a  immaginare questo possibile incontro». 

Quanto conta la contaminazione nella tua musica in generale e quanto  ha contato per questo pezzo? 

«La contaminazione è alla base di tutto. Richiedo contaminazione da ogni cosa, anche dalle amicizie, dalle relazioni, anche dalle parole che leggo o che ascolto. Pretendo contaminazione da me e dagli altri. Anche nel primo disco ho cercato  di contaminarmi con mondi sonori molto differenti, penso alle batterie e alle  ritmiche di Stefano Tamborrino. “Non siamo al centro del mondo” vive di  contaminazione». 

Cosa ti affascina di preciso della world music? 

«Le timbriche degli strumenti, la loro voce. Per me, occidentale in tutto e per tutto,  quei colori sono i colori del viaggio, dell’esplorazione, della scoperta». 

Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano? 

«La musica non è neanche più musica, cioè non è una categoria, ma ingloba tutto, è l’insieme più ampio che racchiude tutto quello che faccio. Non è la  musica a fare parte del mio quotidiano, ma è il quotidiano che fa parte della  musica. È lei a farmi avere un posto nel mondo. Se la perdo, perdo l’indirizzo di  casa, ma soprattutto perdo il nome, l’identità». 

A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi piuttosto onnivoro?

«Non ho mai capito quella frase che si legge e si sente spesso per cui chi  risponde che ascolta di tutto è uno che non capisce di musica. Per uno che ama  la musica è normale e sano ascoltare di tutto. Restare fedeli a un genere può  significare masturbarsi, cioè tentare di fare a meno dell’altro rinchiudendosi in un  ideale protetto dagli attacchi esterni. La fedeltà, in musica, non mi sembra un  valore, perlomeno per me, e penso anche per chiunque faccia musica. Il  tradimento, a livello di ascolto musicale, è un’esperienza che spiazza, ma  fortifica. Io per esempio ascolto molta musica cosiddetta classica e molto rap.  Ne ho proprio bisogno». 

Qual è la lezione più importante che senti di aver tratto dalla musica fino  ad oggi? 

«Che solo se si nasce si può crescere. Cioè, che solo se si rende pubblico un  proprio lavoro artistico, condividendolo con gli altri, si può pensare di maturare e  di migliorare. Perché pubblicare è uscire allo scoperto, è vedersi da fuori, nei  pregi e nei difetti».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.