A tu per tu con il cantautore marchigiano, disponibile in radio e in digital download con “Ballare ballare”
Si scrive cantautore, si legge Stefano Fucili, artista che nel corso della sua carriera ha pubblicato cinque album in studio e collaborato con diversi grandi nomi del panorama musicale italiano, uno su tutti: Lucio Dalla. “Ballare ballare” è il titolo del singolo che segna l’inizio del suo nuovo percorso discografico, la cui uscita è prevista entro la fine del 2019. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Stefano, partiamo dal tuo nuovo singolo “Ballare ballare”, che sapore ha per te?
«Sapore di sale, di mare, di spiaggia, di mojito, d’estate e di baci. E’ una canzone che ben si adatta a questa stagione, anche se al suo interno racchiude un significato un po’ più profondo, una riflessione che parte dai piccoli disagi quotidiani che tutti viviamo e dalla voglia di leggerezza, di tornare a sognare momenti magici, di provare l’ebrezza di un colpo di fulmine, di innamorarsi».
Chi ha collaborato con te a questo progetto?
«Per quanto riguarda la produzione artistica Raf Marchesini e Giordano Donati, il brano è stato pubblicato dall’etichetta RNC Music, che tendenzialmente si occupa di musica dance e che lavora molto bene all’estero. Il testo è mio, la musica l’abbiamo elaborata insieme a Raf e Giordano, un po’ come gli altri pezzi dell’album che stiamo completando».
Dal punto di vista musicale, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«La mia storia è legata alla canzone d’autore, con delle basi che spaziano dal folk al pop, passando per il rock. Con questo brano c’è stata un po’ una svolta, come direbbe Jovanotti: “l’inizio di una nuova era”, nel senso che ho aggiunto ritmica ed elettronica, pur mantenendo una struttura acustica con l’uso delle chitarre, un po’ alla Coldplay o alla U2 se vogliamo. Una mescolanza di sonorità che mi è stata ispirata dagli ascolti della nuova ondata indie italiana, il mio prossimo disco avrà un po’ questa direzione».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Stefano Chichì?
«L’idea del burattino-scheletro mi è venuta passeggiando per la mia città Fano, ispirato da un artista di strada che muoveva così bene il suo pupazzo tanto da renderlo vivo. L’ho trovato in linea con i contrasti che si alternano nella canzone, dai momenti più down della nostra vita quotidiana a quelli vissuti più intensamente, il tutto ha come filo conduttore l’importanza del contatto umano».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«I miei genitori mi raccontano che già all’età di quattro anni, quando ascoltavo le canzoni in macchina, cercavo di cantarle con un inglese maccheronico. E’ una questione ancestrale, la musica fa parte di me da sempre, poi ho cominciato a suonare la chitarra nei primi gruppi nelle cantine, un percorso durato tanti anni che mi ha sicuramente forgiato.».
Quali ascolti hanno accompagnato e ispirato la tua crescita?
«Sicuramente, per una questione anagrafica, tante band come i Police, poi ho ascoltato sia new wave che punk-rock internazionale. Per quanto riguarda la musica italiana, la canzone d’autore e il cantautorato mi hanno segnato profondamente, da Francesco De Gregori a Ivano Fossati, passando per Eugenio Finardi, fino ad arrivare a Lucio Dalla con cui ho avuto il grande onore di collaborare per diverso tempo».
C’è una caratteristica di Lucio come uomo e artista che ti ha colpito maggiormente e che ricordi particolarmente?
«Come uomo, in assoluto, il suo atteggiamento. Nonostante sia uno dei più importanti artisti della storia della musica italiana, si è sempre rapportato con gli altri in maniera rispettosa, quello che mi ha sempre colpito è la sua grande umiltà, probabilmente perché anche lui veniva da una lunga gavetta, mi raccontava che i suoi primi dieci anni di carriera sono stati difficili, ha ricevuto un sacco di “sportellate”, come le chiamava lui, addirittura in qualche serata gli hanno pure tirato i pomodori. Dal punto di vista artistico, invece, sono affascinato dalla sua incredibile curiosità, dalla voglia di fare qualcosa di nuovo, personalmente faccio tesoro di questa visione e del suo esempio».
Cosa pensi dell’attuale settore discografico?
«Di sicuro ritmo, melodia, elettronica, chitarre e testi di contenuto. Viviamo in un periodo dove tutto va troppo velocemente, la tecnologia che amo e che trovo estremamente utile, alle volte, ci rende un po’ aridi. Ogni tanto bisogna fermarci e riscoprire i veri valori della vita, i rapporti con le persone che contano, questo sarà un po’ il fil rouge di tutto l’album, scritto in un’ottica inizialmente molto personale che, piano piano, allarga lo sguardo verso l’universale».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«La musica è quel qualcosa che rende la vita migliore, verso una dimensione che ti porta a distaccarti dalla realtà e, a volte, a farti vivere le cose ancora più intensamente, poi ti permette di condividere una passione con altre persone. Scriverla, suonarla, cantarla e ballarla… è una delle cose più belle della vita. Cosa mi ha insegnato non lo so, ma attraverso la vita riesco a cogliere il meglio di ciò che c’è intorno».
Nico Donvito
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