A tu per tu con la band toscana, disponibile in radio con il nuovo singolo estivo intitolato “Ho fame”
Hanno fame di musica e una grandissima voglia di suonare dal vivo gli Street Clerks, gruppo musicale composto da Valerio Fanciano, Francesco Giommi, Alexander Woodbury e Cosimo Ravenni, che abbiamo conosciuto in occasione della loro partecipazione nel corso della settima edizione italiana di X Factor e incontrato diverse volte, anche in occasione della pubblicazione del loro ultimo disco “Com’è andata la rivoluzione?“, rilasciato a maggio del 2018. “Ho fame” è il titolo del singolo che segna l’inizio del loro nuovo percorso, un pezzo solare e leggero, che ben si presta per essere ascoltato nel corso di questa afosa stagione estiva.
Ciao ragazzi, bentrovati! Partiamo dal vostro nuovo singolo “Ho fame”, che sapore ha per voi?
«Ha un sapore estivo, forse pure un po’ vintage, le sonorità ci fanno venire in mente le fotografie ingiallite delle varie riviere italiane di fine anni 70’ e inizio anni ’80. Il tema è volutamente e apparentemente leggero, anche se dietro la fame c’è un discorso legato alle ansie con cui ognuno di noi fa i conti quotidianamente. Questo pezzo rappresenta per noi l’inizio di un nuovo percorso, stiamo cercando di mettere a fuoco la nostra identità dopo l’uscita del disco “Com’è andata la rivoluzione?” che, in qualche modo, rappresentava una playlist dei nostri primi dieci anni di attività, perché raccoglieva canzoni scritte in un lasso di tempo abbastanza lungo. L’attuale intento è quello di focalizzarci maggiormente su quello che siamo diventati oggi, sia dal punto di vista del suono che della scrittura».
Nel testo affrontate i tormenti quotidiani, il fatto che l’estate non sia sempre così perfetta come vogliono inculcarci o come ci piace credere…
«Assolutamente sì, abbiamo voluto zoommare aspetti che d’estate vengono tralasciati perché, nonostante il clima di festa, in ognuno di noi albergano ansie e preoccupazioni, i pensieri non vanno in vacanza. “Ho fame” affronta con leggerezza un argomento molto comune, soprattutto durante questa stagione in cui cerchiamo di riposarci e di staccare, senza riuscire a farlo mai totalmente».
Che rapporto avete con la bella stagione?
«Oltre che mangiare, come cantiamo nella canzone, ci piace molto il mare, rilassarci in spiaggia… anche se, essendo una band, cerchiamo di avere sempre il calendario pieno di concerti, perché quello che ci piace più fare è suonare. La nostra estate ideale, infatti, si divide tra gli spettacoli dal vivo nelle varie piazze di sera e le giornate passate a rosolarci prendendo il sole. Diciamo che abbiamo fame di musica e tanta voglia di suonare».
Un argomento che ritorna di estrema attualità ogni estate è il lasso di tempo che deve intercorrere tra il pranzo e il bagno, c’è chi dice due, c’è chi tre, voi nella canzone parlate di quattro ore. Su quali studi scientifici si basa questo verso?
«Non ci basiamo su nessuna ricerca scientifica in particolare, bensì sui consigli che le nostre mamme ci hanno sempre dato sin da bambini. A quanto pare per completare tutto il processo di digestione ci vogliono quattro ore, magari realmente ce ne vogliono pure due o tre, ma per andare sul sicuro abbiamo deciso di cantare quattro, in realtà anche per una questione di metrica, perché nel testo serviva una parola con due sillabe, quindi abbiamo abbondato, il che non fa mai male, così le nonne e i nonni ci dicono che siamo stati bravi (ridono, ndr), metti caso che mangi qualcosa di pesante due ore non bastano. La musica ha una grossa responsabilità, anche sotto questo punto di vista!».
Dal punto di vista delle sonorità, invece, quanto conta recuperare un po’ dal passato per distaccarsi dalle solite cose attualmente in circolazione?
«Nella musica di oggi, qualsiasi cosa viene realizzata ha comunque dei riferimenti al passato, chi più chi meno. E’ automatico, inevitabile, perché è stato già fatto il grosso per quanto riguarda l’innovazione, sia a livello melodico e armonico che per l’aspetto strumentale attraverso l’introduzione dell’elettronica. Il segreto è quello di cercare di pescare dal passato delle cose belle riproponendole in maniera innovativa, chi meglio lo fa vince».
Qual è il vostro pensiero sui tormentoni?
«Personalmente non abbiamo nulla contro i tormentoni, ma se ci fosse meno reggaeton sarebbe un bene (sorridono, ndr), questo per un nostro gusto musicale. Non abbiamo scritto “Ho fame” con l’intento di costruire a tavolino un papabile tormentone, questo pezzo è venuto da solo, siamo felici del risultato molto orecchiabile, così abbiamo pensato di farlo uscire d’estate, proprio perché la gente è in vacanza e non ha bisogno di troppi pensieri, un brano deve necessariamente essere il più immediato possibile. L’obiettivo era quello di scrivere una canzone che fosse adatta per questa stagione, tutto il resto sono variabili che non dipendono certamente da noi».
Cosa aggiungono le immagini del videoclip diretto da Stefano Poggioni?
«La troviamo un’operazione giusta e pertinente, ovviamente il merito è tutto del regista che ha voluto ricreare un’ambientazione che richiama i film di Wes Anderson, grazie all’uso di colori pastello che regalano al risultato finale suggestioni vintage e un po’ surreali. Le immagini del videoclip si basano molto sulla regolarità delle forme e dei movimenti, se noti le ballerine si muovono sempre in maniera sincronizzata, la posizione dei lettini e delle cabine è simmetrica e precisa, che sottolinea il concetto legato a quel tipo di ansia che ti invade nella leggerezza dell’estate. Tutta questa ricerca della perfezione entra in netto contrasto con la spensieratezza che contraddistingue questo periodo dell’anno, ringraziamo Stefano per essere riuscito a tradurre visivamente questo concetto».
Che ruolo gioca la musica per voi nel vostro quotidiano?
«Adesso occupa il 100% del nostro tempo, ci reputiamo molto fortunati perché riusciamo a vivere di questa nostra passione, questa responsabilità ci porta a volte a prendere con meno leggerezza quello che stiamo facendo, perché negli anni è diventato un vero e proprio lavoro, ma il divertimento resta per noi la base di tutto. Cerchiamo sempre di mettere davanti questo aspetto, senza farci troppo travolgere da tutto il resto, perché pensiamo sia l’unico modo per continuare ad esprime totalmente noi stessi, conservando lo stesso spirito di quando abbiamo cominciato a suonare insieme».
Archiviato il tempo della prova costume, cosa dobbiamo aspettarci dal vostro prossimo futuro?
«Con questo pezzo è partito un nuovo step musicale che chiude definitivamente quello di “Com’è andata la rivoluzione?”, per cui stiamo già lavorando a cose nuove e non vediamo l’ora di farle uscire. Per il momento stiamo ragionando in termini di singoli, per allinearci con l’andazzo dell’odierno mercato discografico. Essendo noi molto affezionati agli anni ’60, ai Beatles e a tante altre band, il concetto di concept album è ormai lontano da anni, anche se il nostro obiettivo resta comunque quello di racchiudere in futuro i nostri brani in un disco, anche se l’epoca in cui viviamo tende più verso le playlist di Spotify».
Per concludere, dove e a chi desiderate arrivare con la vostra musica?
«A tutti, nessuno escluso, facciamo quello che ci viene e quello che ci piace; sin dalla partecipazione ad X Factor abbiamo dimostrato il nostro desiderio di voler arrivare ad un pubblico più vasto possibile, pur sapendo benissimo di non poter piacere a tutti. Sul dove, sai, è una domanda che ci poniamo anche noi, perché ci piacerebbe poter riuscire a portare la nostra musica anche fuori i confini nazionali, avendo uno dei nostri componenti americano e, dunque, di madrelingua inglese. Ovviamente abbiamo ancora da farci conoscere anche in Italia, nonostante abbiamo girato in lungo e in largo ci sono ancora tanti posti dove desideriamo ancora suonare. Poi, tra gli obiettivi c’è sicuramente la volontà di tentare il Festival di Sanremo, è una vetrina che ci piace molto, chissà, magari un giorno».
Nico Donvito
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